BREVE
QUOD IOANNES
IL VESCOVO BENEDETTO,
SERVO DEI SERVI DI DIO.
A PERPETUA MEMORIA
Il fatto che Giovanni vide sul monte Sion una schiera di vergini « seguire l’Agnello dovunque andasse » e udì « emettere un dolcissimo cantico che nessuno poteva comprendere », mostra chiaramente che presso Dio la pura verginità è considerata un modo di vivere certamente più conforme alla natura angelica che a quella umana. Senza dubbio all’interno dell’eletto gruppo delle Vergini prudenti, la venerabile serva di Dio Anna di San Bartolomeo, monaca professa dell’Ordine delle Carmelitane Scalze, discepola e compagna della Santa Madre Teresa, può essere giustamente riconosciuta come una che con la lampada fornita di olio andò incontro allo Sposo che tardava, e da lui che veniva fu trovata e riconosciuta pronta, degna di entrare con lui alle nozze. Come nella Riforma della Spiritualità Carmelitana Teresa sembrò un nuovo Elia, che ricondusse l’antico Ordine fondato dal Santo Profeta sul Monte Carmelo alla primitiva regola, così Anna fu vista come un nuovo Eliseo, lei che, accogliendo lo spirito della santa maestra e Madre legislatrice che spirava tra le sue braccia, portò a termine le opere iniziate da Teresa, le ampliò e compì cose mirabili nella propria vita.
Nella stessa regione in cui era nata Santa Teresa, entro i confini della Diocesi di Avila in Spagna, nel villaggio di Armendral, vicino alla città di Baldense, il 1° ottobre 1549 nacque la venerabile serva di Dio dai pii coniugi Ferdinando Garzia e Maria Mancanas; battezzata con l’acqua lustrale nella chiesa parrocchiale di quel villaggio, le fu dato il nome di Anna. Si racconta che durante la celebrazione del rito, sopra il fonte battesimale una celeste luce sfolgorò simile a quella di una stella, come per far conoscere ai presenti che quella bambina « era stata data come luce per illuminare le genti », per portare loro la salvezza. Educata religiosamente dai genitori, fin dall’infanzia brillò per fama di pietà e innocenza di vita. Infatti, la fanciulla, di indole non comune, più che nei giochi infantili era solita trascorrere il tempo nel silenzio e nella solitudine. Immersa nella contemplazione delle cose celesti, era attratta verso Dio da un ardente amore e, misericordiosa verso i poveri, cercava di provvedere alle loro necessità con un fervoroso esercizio della carità e sottraendo cibi dalla mensa.
All’età di dieci anni, privata di entrambi i genitori, passò sotto la protezione dei fratelli che le affidarono la sorveglianza delle pecore. Umilmente accettò l’ufficio assegnato e, mentre pascolava il gregge, trovò nuove delizie nei campi. Le dolci melodie degli uccelli invitavano la mente della fanciulla a ricordare il Creatore, ed ella, non di rado rapita in estasi, era ricreata dalla presenza di Gesù Cristo, in forma di bambino che si coricava nel suo grembo. A quel tempo, spinta dalla esigenza di una vita interiore, desiderò ritirarsi in un Monastero di vergini, e, rifiutate le nozze che i fratelli le avevano preparato, superati con energia tutti gli ostacoli, ai assoggettò, nel Monastero delle Carmelitane Scalze che veniva allora costruito ad Avila, a quella regola religiosa alla quale, grazie ad una visione soprannaturale, aveva conosciuto di essere chiamata per volontà di Dio.
Ammessa tra le sorelle converse alla rigidissima osservanza di quell’Ordine, continuamente cercò di raggiungere la perfezione della vita religiosa, con un cammino tanto rapido che, per l’eccellenza delle virtù, nelle quali si protendeva quale modello, fu ritenuta degna, pur riluttante, di ottenere il velo nero. In lei infatti appariva chiaramente una mirabile umiltà, un eccezionale ardore nell’obbedire e la pazienza nel sopportare qualsiasi pena, una scrupolosissima osservanza dei precetti anche minimi, una applicazione ininterrotta alla preghiera alla quale si dedicava giorno e notte: con l’animo spesso staccato dai sensi, era colmata molto abbondantemente dei doni della grazia divina. Giglio di purezza, consacratasi a Dio fin dai primi anni, conservò, all’interno della stretta clausura, un abito penitenziale e represse l’innocente corpo con digiuni, flagelli, cilici e altri ricercati strumenti di penitenza.
La legislatrice Madre Teresa, guida della famiglia delle Carmelitane, molto ammirata dello splendore di così grandi virtù, vide nella venerabile Anna quella compagna delle proprie fatiche, della quale Dio l’aveva già preavvisata in una rivelazione. La venerabile Serva di Dio fu molto unita a Santa Teresa, che volle l’umile e analfabeta conversa come sorella intima e compagna amatissima, tanto che, sia nella fondazione di nuovi Monasteri sia nel governo della famiglia religiosa, si avvalse del suo valido aiuto e del suo prudente consiglio. A lei la Santa Fondatrice affidò i più difficili e delicati affari dell’Ordine appena fondato, ed ella li adempì, come ispirata dallo spirito divino, in modo così eccellente che spesso la stessa Madre, oculatissima conoscitrice della vera santità, non esitò ad affermare che in sé vi era per lo meno una parvenza di santità, mentre nella sorella Anna la santità era autentica. Per molti anni stette vicino alla Fondatrice come collaboratrice pia e solerte nel portare avanti e consolidare l’Ordine delle Carmelitane e, resa conforme alla maestra di perfezione e di santità nel sopportare queste fatiche, ne ottenne lo spirito. Quando la Santa Madre Teresa convolò al premio celeste, abbandonandosi nelle braccia della figlia diletta e addormentandosi nel Signore, da quel giorno le braccia della venerabile Anna, come per ricordare la fragranza delle sue virtù, emanarono un sorprendente profumo.
La venerabile Serva di Dio sopravvisse quarant’anni alla Madre Legislatrice, portò a compimento e fece crescere l’opera immane incominciata da Teresa con alacre impegno e animo virile. Portò la famiglia delle Carmelitane in Francia e in Belgio: fondò quattro fiorentissimi Monasteri dello stesso Ordine a Parigi, a Pontroise, a Tours e ad Anversa, dove concluse l’operosa vita. Invero, in queste fondazioni mostrò esempi singolari di costanza invincibile e di cristiana fortezza. Non si risparmiò nessuna fatica, non si concesse nessun riposo. Né gli aspri sentieri, né le minacce degli eretici, né le calunnie, né le persecuzioni distolsero la venerabile Serva di Dio dal proposito di diffondere il suo carisma. Confidando con speranza divina in Colui che « sceglie le cose deboli del mondo per confondere i forti », donna debole, quasi indotta, portò felicemente al fine desiderato tutte quelle cose che, benché difficili, aveva affrontato. Priora vigilantissima, preposta al governo dei Monasteri che aveva fondato, mostrò alle monache, con l’esempio della sua vita integerrima, un cammino sicuro di cristiana perfezione. Come « una colomba che pone il nido nella parte più alta dell’imboccatura », rivolse sempre lo sguardo a Dio. Eccellendo nelle virtù teologali non meno che in quelle morali, con somma devozione osservò non solo i comandamenti di Dio e della Chiesa, ma anche gli ammaestramenti evangelici. Come dice Gregorio: «Quanto più lo Spirito Santo irradia i cuori di grande luce, tanto più li arricchisce di un maggior dono di umiltà », ella acquistò, con molta umiltà, fama per tutte le sue virtù. Si distinse dunque già in vita con grandissima considerazione di santità, essendo deliziata da visioni celesti e, nello stesso tempo, per fama di profezia, di scienza infusa e dono delle lingue, di rivelazione di cose segrete e scrutamento dei cuori, insigne per doni soprannaturali. Era così influente per la sua grande fama di prudenza che uomini di qualsiasi ordine e condizione, anche Principi e Vescovi insigni per dignità ecclesiastica, si rivolgevano alla venerabile Serva di Dio per ottenere consiglio su importanti affari. Tra loro giova ricordare la Serenissima Infanta di Spagna, i potenti del Palazzo Imperiale di Polonia, il Cardinale Borgia della Santa Romana Chiesa, il governatore Arciduca di Anversa, il Vescovo di Segovia e la stessa Cristianissima Regina delle Gallie. Infine, sazia di giorni non meno che di opere buone, ad Anversa, il 7 giugno 1626, convolò al premio celeste con una morte molto serena. Fu sepolta con una cerimonia funebre trionfale, con la partecipazione di un incalcolabile numero di fedeli confluiti a torme per vedere il sacro corpo.
Poiché, in verità, « il giusto sarà sempre ricordato », dopo che il corpo fu deposto nel sepolcro, anche gli anni successivi confermarono, senza ombra di dubbio, la fama delle sue virtù. Di conseguenza, trascorsi appena un anno o due dalla gloriosa morte della sorella Anna di San Bartolomeo, presso questa Sede Apostolica fu aperta la Causa della stessa Serva di Dio, come si usava in quel tempo. Dal momento in cui fu riconosciuto dal Papa Urbano VIII di felice memoria, Nostro Predecessore, come viene chiamato, il Sigillo della Commissione a favore dell’introduzione della Causa, per mezzo di un Breve preparato dall’Autorità Apostolica per un processo « di notorietà generale » si era già giunti al punto da potere, a buon diritto, iniziare l’indagine sull’eroicità delle virtù. Ma, soprattutto a causa della costituzione del nuovo diritto circa il processo della canonizzazione dei Servi di Dio, sopravvenuta nel frattempo, la Causa, tanto presto iniziata, subì un lungo ritardo; e soltanto nell’anno 1735 il Papa Clemente XII di felice memoria, Nostro Predecessore, sancì con solenne decreto che le virtù, nelle quali la Serva di Dio si era distinta, avevano raggiunto l’eroicità. Riconosciute queste cose, per quasi due secoli su questa Causa scese il silenzio: ma Noi abbiamo ritenuto opportuno romperlo. In forza della Nostra Autorità Apostolica, con decreto emanato il 25 febbraio dell’anno corrente, abbiamo dichiarato che le due guarigioni, che già erano a disposizione, sono da attribuire a un vero e proprio miracolo, tanto da poter riconoscere a questa eccellente Causa la grandezza tanto a lungo desiderata. In seguito una sola cosa restava da superare, essendo già stato approvato il giudizio sia delle virtù, sia del duplice miracolo: cioè che fossero interrogati i Cardinali dei Sacri Riti perché giudicassero se la venerabile Serva di Dio fosse degna di essere annoverata con sicurezza tra le Beate. Dimostrò questo il Nostro Venerabile Fratello Antonio Vico, Cardinale Presbitero di Santa Romana Chiesa, Vescovo di Porto e di Santa Rufina, Relatore della Causa, nelle Assemblee generali del 3 marzo dell’anno corrente, in Vaticano, davanti a Noi, e tutti, tanto i Cardinali preposti all’osservanza dei Sacri Riti, quanto i Padri Consultori che erano presenti, risposero affermativamente con voto unanime. Noi invero, pur non avendo tralasciato di dichiarare che Ci auguriamo « vicino il giorno solenne nel quale si possa attribuire il nome e il culto dei Beati a questa fedelissima compagna di Santa Teresa » e che pertanto Ci sarebbe molto gradito « poter donare a Noi e al popolo cristiano una nuova mediatrice presso Dio, arricchita di un così nobile titolo », tuttavia, su un argomento tatto importante, abbiamo deciso di rinviare la sentenza definitiva per poter chiedere l’aiuto della divina sapienza ed una maggior luce. Infine il 25 marzo di quest’anno, vale a dire la Domenica di Passione, celebrata molto devotamente l’Eucaristia, chiamati e presenti il Cardinale di Santa Romana Chiesa Antonio Vico, Vescovo di Porto e di Santa Rufina, Pro-Prefetto della Sacra Congregazione e Relatore della Causa, nonché il Reverendo Padre Alessandro Verde, Segretario della stessa Congregazione, e il Reverendo Padre Angelo Mariani, Promotore della Santa Fede, con solenne decreto abbiamo dichiarato che si poteva procedere con sicurezza alla solenne Beatificazione della venerabile Serva di Dio Anna di San Bartolomeo. Stando così le cose, sollecitati dalle preghiere di tutto l’Ordine delle Carmelitane Scalze, in virtù della Nostra Autorità Apostolica, in forza di questo documento diamo la facoltà di chiamare in avvenire col nome di Beata la venerabile Serva di Dio Anna di San Bartolomeo, monaca professa dell’Ordine delle Carmelitane Scalze, di mostrare il suo corpo e i suoi resti, cioè le reliquie — ma non nelle celebrazioni solenni — alla pubblica venerazione, e di decorare le sue immagini con raggi. Inoltre con la stessa Nostra Autorità Apostolica concediamo che si reciti il suo Ufficio e si celebri ogni anno la Messa comune delle Vergini, ma con orazioni proprie da Noi approvate. Nello stesso modo, in verità, concediamo che si celebri la Messa e si reciti l’Ufficio solamente nella Diocesi di Anversa, o Malines, e, in tutte le chiese e oratòri frequentati dall’Ordine delle Carmelitane Scalze, da tutti coloro che sono tenuti a recitare le ore canoniche. Per quanto concerne le Messe, siano celebrate da tutti i Sacerdoti che convengono nelle chiese in cui si compie la festa della stessa Beata, nel rispetto del decreto della Congregazione dei Sacri Riti (3862 Urbis et Orbis) emanato il giorno 9 dicembre dell’anno 1895. Infine diamo la facoltà di celebrare il rito della Beatificazione della Venerabile Serva di Dio Anna di San Bartolomeo nel corso di un triduo da celebrare entro un anno dalla Beatificazione, nella Diocesi e nelle chiese suddette a norma del decreto o istruzione della Congregazione dei Sacri Riti del 16 dicembre 1902; disponiamo che ciò avvenga in giorni da stabilirsi da parte del Vescovo, all’interno dell’anno successivo alla celebrazione del rito nella Basilica Vaticana. Nonostante le Costituzioni, le Ordinazioni Apostoliche e i decreti emanati di non culto, e qualsiasi altra cosa contraria.
Vogliamo poi che alle copie della presente Lettera, ancorché stampate, purché sottoscritte di pugno dal Segretario della Congregazione dei Sacri Riti e munite del sigillo del Prefetto, si presti, anche nei dibattiti giudiziari, lo stesso credito — quale espressione della Nostra volontà — che si presterebbe a questa Lettera se fosse mostrata.
Dato a Roma, presso San Pietro, sotto l’anello del Pescatore, il giorno 10 aprile 1917, anno terzo del Nostro Pontificato.
BENEDICTUS PP. XV
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