EPISTOLA
NOBIS, AD CATHOLICAM
DEL PAPA BENEDETTO XV
AL REVERENDO PADRE DON PASQUALE MORGANTI, ARCIVESCOVO DEI RAVENNATI E VESCOVO DEI CERVESI,
IN OCCASIONE DEL SESTO CENTENARIO DELLA MORTE
DI DANTE ALIGHIERI
Venerabile Fratello,
salute e Apostolica Benedizione.
A Noi, chiamati recentemente al governo della Chiesa cattolica (per quanto immeritamente) dall’eterno Fondatore della Chiesa stessa, tu hai voluto offrire una testimonianza di devozione e di deferenza, anche a nome del Comitato che sta preparando le solenni celebrazioni in onore del divino Alighieri, mentre sta per compiersi il sesto secolo da quando quella splendida luce dei poeti si è spenta in codesta antichissima città. Proprio questa prova di venerazione e di amore verso di Noi richiede che da Noi sia espressa la profonda soddisfazione dell’animo Nostro, derivante dalla tua cortesissima lettera e che a te e ai membri della stessa commissione porgiamo molti ringraziamenti. Per quanto riguarda la vostra nobile iniziativa, pensiamo che anzitutto sia doveroso riconoscere che i Nostri illustri Predecessori, di cui cerchiamo di seguire le orme, hanno sempre protetto le belle arti e le lettere, e hanno colmato di meritate lodi e di onori quegli uomini che per acume d’ingegno e per vastità di cultura diedero lustro al loro secolo e affidarono all’eternità il loro nome.
Nel numero di costoro è da ascrivere certamente l’Alighieri, cui non sappiamo se alcun poeta può essere paragonato dopo quell’Omero degli antichissimi tempi.
Ma inoltre (e ciò è più importante) si aggiunge una certa particolare ragione per cui riteniamo che sia da celebrare il suo solenne anniversario con memore riconoscenza e con grande concorso di popolo, per il fatto che l’Alighieri è nostro. Infatti il poeta fiorentino, come ognuno sa, congiunse l’amore per la natura all’amore per la religione e conformò la sua mente ai precetti desunti dall’intima fede cattolica e nutrì il suo animo con i più puri ed elevati sensi di umanità e di giustizia. Che se poi, afflitto dalle amarezze e dalle tribolazioni dell’esilio e sospinto dallo spirito di parte, parve talora allontanarsi dalla equanimità di giudizio, tuttavia non avvenne mai ch’egli deflettesse dalle verità della dottrina cristiana. Infatti chi potrà negare che il nostro Dante abbia alimentato e rafforzato la fiamma dell’ingegno e la virtù poetica traendo ispirazione dalla fede cattolica, a tal segno che cantò in un poema quasi divino i sublimi misteri della religione? Non vi è dunque alcuno che non riconosca il dovere di celebrare un nome così insigne con una riconoscente commemorazione e con la massima ammirazione da parte di tutti i cattolici ovunque si estende la terra. Il programma delle celebrazioni che Ci hai sottoposto, elaborato dal predetto Comitato con lo scopo di commemorare degnamente, da parte dei cattolici, il sesto centenario della morte dell’Alighieri, è di tale importanza che non si può immaginare nulla di più degno. Infatti, per onorare giustamente la memoria del poeta, che per l’eccellenza del suo canto meritò il titolo di divino, e che in versi, né prima né poi uditi, tramandò altissime verità di fede, che cosa vi può essere di più appropriato che restaurare e decorare con maestria il tempio dove egli, negli ultimi momenti della sua vita, innalzò l’animo a Dio, dove furono resi giusti onori alla sua salma, dove le sue gloriosissime spoglie riposano in pace?
Dunque, per due motivi approviamo caldamente quel programma di celebrazione e di onoranze che voi avete elaborato; essendo esso strettamente congiunto alla fede cattolica, non solo si accorda del tutto con i cattolici, ma corrisponde perfettamente alla religiosità dell’immortale poeta. Perciò facciamo sinceri voti perché tra tutti i cattolici, anche se dispersi in lontane regioni, sorga una nobile e generosa gara per celebrare la memoria del sommo vate; e questo giovi al nome cristiano e risulti degno dell’immortale poeta. Per quanto Ci riguarda, non vogliamo che manchi al vostro proposito e alla vostra iniziativa, intesa a preparare le celebrazioni dell’Alighieri con grande e adeguata solennità, quel consenso che recentemente avete ottenuto anche dal Nostro Predecessore Pio X di felice memoria. Ma siccome abbiamo intenzione di offrire il nostro obolo (secondo le possibilità della Sede Apostolica) per restaurare la casa di San Francesco in modo che essa, restituita all’antica dignità esteriore e allo splendore dell’arte originaria, diventi più maestosa e più degna delle ceneri di un uomo tanto grande, abbiamo deciso di erogare dieci mila lire italiane e abbiamo disposto che ti siano inviate. Frattanto, come propiziatrice dei doni celesti e come testimonianza della Nostra benevolenza, a te, venerabile Fratello, al clero e a tutti i fedeli a te affidati impartiamo con amore nel Signore l’Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 28 ottobre 1914, nel primo anno del Nostro Pontificato.
BENEDICTUS PP. XV
Copyright © Libreria Editrice Vaticana
Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana