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CONCISTORO SEGRETO 

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XV
AL SACRO COLLEGIO

NOSTIS PROFECTO

Palazzo Apostolico Vaticano
6 dicembre 1915

 

 

Venerabili Fratelli. Vi sono note, senza dubbio, le difficoltà che C’impedirono di convocare prima d’ora il Sacro Collegio, e se oggi Ci è dato finalmente di rivedervi numerosi in questa nobile aula, non è perché quelle difficoltà siano venute meno, ma perché abbiamo temuto che da un ulteriore ritardo potesse soffrir danno il buon andamento di questa Curia Romana. Imperocché non pochi sono i vuoti che, sia nello scorso anno, sia in questo, si sono successivamente verificati nel Sacro Collegio; e se in ogni tempo al Romano Pontefice avrebbe recato dolore la perdita di consiglieri sù illuminati e di così fidi assistenti, tanto più abbiamo a dolercene Noi, che assumemmo il governo della Chiesa in questo periodo storico gravissimo.

Per fermo, nonostante che immense rovine si sian già accumulate nel corso di questi sedici mesi; nonostante che cresca nei cuori il desiderio della pace, e alla pace anelino nel pianto sù numerose famiglie; nonostante che Noi abbiamo adoperato ogni mezzo che valesse in qualche modo ad affrettare la pace e a comporre le discordie, pur nondimeno questa guerra fatale imperversa ancora per mare e per terra, mentre, d’altra parte, sovrasta alla misera Armenia l’estrema rovina. Quella stessa Lettera che, nell’anniversario dell’inizio della guerra, indirizzammo ai popoli belligeranti ed ai loro Capi, quantunque avesse sù riverente accoglienza, non produsse tuttavia i benèfici effetti, che se ne attendevano.

Vicario in terra di Colui ch’è il Re Pacifico, il Principe della Pace, non possiamo non commuoverCi sempre più per la sventura di tanti Nostri figli e non levare di continuo le Nostre braccia supplichevoli al Dio delle misericordie, scongiurandolo con tutto il cuore che si degni di porre ormai un termine colla sua potenza a questo sanguinoso conflitto. E mentre procuriamo, per quanto è da Noi, di alleviarne le dolorose conseguenze con quegli opportuni provvedimenti che vi sono ben noti, Ci sentiamo mossi dall’Apostolico ufficio ad inculcare nuovamente l’unico mezzo che possa presto condurre all’estinzione dell’immane conflagrazione. Per preparare la pace, quale è ardentemente desiderata da tutta intera l’umanità, cioè una pace giusta, duratura e non profittevole ad una soltanto delle parti belligeranti, la via, che può veramente menare ad un felice risultato, è quella che fu già sperimentata e trovata buona in simili circostanze e che Noi ricordammo nella medesima Nostra Lettera: che cioè, in uno scambio d’idee, diretto o indiretto, siano, con animo volenteroso e con serena coscienza, esposte finalmente con chiarezza e debitamente vagliate le aspirazioni di ciascuno, eliminando le ingiuste ed impossibili e tenendo conto, con equi compensi ed accordi se occorra, di quelle giuste e possibili. Naturalmente, come in tutte le controversie umane che vogliano dirimersi per opera dei contendenti medesimi, è assolutamente necessario che da una parte e dall’altra dei belligeranti si ceda su qualche punto e si rinunzi a qualcuno degli sperati vantaggi; e ciascuno dovrebbe far di buon grado tali concessioni, anche se costassero qualche sacrificio, per non assumere, innanzi a Dio e agli uomini, l’enorme responsabilità della continuazione d’una carneficina di cui non vi ha esempio, e che, prolungata ancora, potrebbe ben essere per l’Europa il principio della decadenza da quel grado di prospera civiltà, al quale la religione cristiana l’aveva innalzata.

Questi i sentimenti dell’animo Nostro riguardo alla guerra, considerata in ordine ai popoli che vi si trovano disgraziatamente impigliati. Se poi consideriamo gl’inconvenienti che dal conflitto europeo son derivati alla causa cattolica ed alla Apostolica Sede, ognun vede quanto gravi essi siano e quanto lesivi della dignità del Romano Pontefice. Già altre volte, seguendo le orme dei Nostri Predecessori, lamentammo che la condizione del Romano Pontefice fosse tale da non consentirGli l’uso di quella piena libertà che gli è assolutamente necessaria pel governo della Chiesa. Ma chi non vede che ciò si è reso tanto più evidente nelle attuali circostanze? Certo, non fece difetto a coloro che governano l’Italia la buona intenzione di eliminare gl’inconvenienti; ma questo stesso dimostra chiaramente che la situazione del Romano Pontefice dipende dai poteri civili e che, col mutare degli uomini e delle circostanze, può anch’essa mutarsi ed anche aggravarsi. Nessun uomo sensato potrà affermare che una condizione sì incerta e così sottoposta all’altrui arbitrio sia proprio quella che convenga alla Sede Apostolica. Del resto, neppur si potè evitare, per la forza stessa delle cose, che si verificassero parecchi inconvenienti di un’evidente gravità. Per tacer d’altri, Ci limitiamo ad osservare che taluni degli ambasciatori o ministri, accreditati presso di Noi dai loro Sovrani, furono costretti a partire per tutelare la loro dignità personale e le prerogative del loro ufficio: il che importa per la Santa Sede la menomazione di un diritto proprio e nativo e la diminuzione d’una necessaria garanzia, del pari che la privazione del mezzo ordinario e più di ogni altro acconcio, di cui suole servirsi per trattar gli affari coi governi esteri. Ed a questo proposito dobbiamo rilevare con dolore come nell’altra parte belligerante sia persino potuto nascere il sospetto che Noi, per necessità di cose, nel trattare gli affari che riguardano i popoli in guerra, Ci lasciamo oramai regolare e guidare dai soli suggerimenti di coloro che Ci possono far sentire la loro voce. Che dire poi della cresciuta difficoltà delle comunicazioni tra Noi ed il mondo cattolico, per la quale Ci si rese così arduo il poterCi formare quel completo ed esatto giudizio sugli avvenimenti, che pur Ci sarebbe stato così utile?

Ci sembra, Venerabili Fratelli, che quanto abbiamo detto fin qui basti a mostrarvi quanto cresca di giorno in giorno il Nostro dolore, sia perché cresce spaventosamente questa carneficina di uomini, appena degna di secoli più barbari, sia perché peggiora nel tempo stesso la condizione della Sede Apostolica. Abbiamo la certezza che voi, come partecipate alle cure e sollecitudini che C’impone l’Apostolico ufficio, così condividiate questa Nostra duplice afflizione: crediamo anzi che tutto il popolo cristiano faccia eco al Nostro dolore. Ma perché dovremmo sgomentarCi, quando il Principe dei Pastori Cristo Gesù promise che non avrebbe fatto mancar mai la sua assistenza alla Chiesa e molto meno nei momenti più ardui e procellosi? All’amatissimo Redentore del genere umano salgano dunque le nostre fiduciose preghiere, accompagnate da opere di carità e di penitenza, perché Egli, ricco in misericordia, voglia affrettare il termine delle sofferenze tra le quali oggi l’umanità si dibatte.

Ma, ritornando all’argomento donde prendemmo le mosse per colmare i vuoti fattisi nel Sacro Collegio, abbiamo stabilito di darvi oggi a colleghi uomini di eminenti virtù. Li abbiamo scelti in egual numero dall’uno e dall’altro clero; li abbiamo scelti fra coloro che con plauso e con successo o hanno governato le Chiese loro affidate o hanno rappresentato all’estero la Santa Sede; o si dedicarono alla cristiana educazione della gioventù o finalmente si affaticarono per estendere il regno di Cristo. I quali tutti teniamo per fermo che Ci saranno di giovamento colla loro solerzia e col loro senno per il maggior bene della causa cattolica.

 

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