PAPA FRANCESCO
UDIENZA GENERALE
Cortile San Damaso
Mercoledì, 2 settembre 2020
Catechesi - “Guarire il mondo”: 5. La solidarietà e la virtù della fede
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Dopo tanti mesi riprendiamo il nostro incontro faccia a faccia e non schermo a schermo. Faccia a faccia. Questo è bello! L’attuale pandemia ha evidenziato la nostra interdipendenza: siamo tutti legati, gli uni agli altri, sia nel male che nel bene. Perciò, per uscire migliori da questa crisi, dobbiamo farlo insieme. Insieme, non da soli, insieme. Da soli no, perché non si può! O si fa insieme o non si fa. Dobbiamo farlo insieme, tutti quanti, nella solidarietà. Questa parola oggi vorrei sottolinearla: solidarietà.
Come famiglia umana abbiamo l’origine comune in Dio; abitiamo in una casa comune, il pianeta-giardino, la terra in cui Dio ci ha posto; e abbiamo una destinazione comune in Cristo. Ma quando dimentichiamo tutto questo, la nostra interdipendenza diventa dipendenza di alcuni da altri – perdiamo questa armonia dell’interdipendenza nella solidarietà – aumentando la disuguaglianza e l’emarginazione; si indebolisce il tessuto sociale e si deteriora l’ambiente. È sempre lo stesso modo di agire.
Pertanto, il principio di solidarietà è oggi più che mai necessario, come ha insegnato San Giovanni Paolo II (cfr Enc. Sollicitudo rei socialis, 38-40). In un mondo interconnesso, sperimentiamo che cosa significa vivere nello stesso “villaggio globale”. È bella questa espressione: il grande mondo non è altra cosa che un villaggio globale, perché tutto è interconnesso. Però non sempre trasformiamo questa interdipendenza in solidarietà. C’è un lungo cammino fra l’interdipendenza e la solidarietà. Gli egoismi – individuali, nazionali e dei gruppi di potere – e le rigidità ideologiche alimentano al contrario «strutture di peccato» (ibid., 36).
«La parola “solidarietà” si è un po’ logorata e a volte la si interpreta male, ma indica molto di più di qualche atto sporadico di generosità. È di più! Richiede di creare una nuova mentalità che pensi in termini di comunità, di priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte di alcuni» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 188). Questo significa solidarietà. Non è solo questione di aiutare gli altri – questo è bene farlo, ma è di più –: si tratta di giustizia (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1938-1940). L’interdipendenza, per essere solidale e portare frutti, ha bisogno di forti radici nell’umano e nella natura creata da Dio, ha bisogno di rispetto dei volti e della terra.
La Bibbia, fin dall’inizio, ci avverte. Pensiamo al racconto della Torre di Babele (cfr Gen 11,1-9), che descrive ciò che accade quando cerchiamo di arrivare al cielo – la nostra meta – ignorando il legame con l’umano, con il creato e con il Creatore. È un modo di dire: questo accade ogni volta che uno vuole salire, salire, senza tenere conto degli altri. Io solo! Pensiamo alla torre. Costruiamo torri e grattacieli, ma distruggiamo la comunità. Unifichiamo edifici e lingue, ma mortifichiamo la ricchezza culturale. Vogliamo essere padroni della Terra, ma roviniamo la biodiversità e l’equilibrio ecologico. Vi ho raccontato in qualche altra udienza di quei pescatori di San Benedetto del Tronto che sono venuti quest’anno e mi hanno detto: “Abbiamo tolto dal mare 24 tonnellate di rifiuti, dei quali la metà era plastica”. Pensate! Questi hanno lo spirito di prendere i pesci, sì, ma anche i rifiuti e portarli fuori per pulire il mare. Ma questo [inquinamento] è rovinare la terra, non avere solidarietà con la terra che è un dono e l’equilibrio ecologico.
Ricordo un racconto medievale che descrive questa “sindrome di Babele”, che è quando non c’è solidarietà. Questo racconto medievale dice che, durante la costruzione della torre, quando un uomo cadeva – erano schiavi – e moriva nessuno diceva nulla, al massimo: “Poveretto, ha sbagliato ed è caduto”. Invece, se cadeva un mattone, tutti si lamentavano. E se qualcuno era il colpevole, era punito! Perché? Perché un mattone era costoso da fare, da preparare, da cuocere. C’era bisogno di tempo e di lavoro per fare un mattone. Un mattone valeva di più della vita umana. Ognuno di noi pensi cosa succede oggi. Purtroppo anche oggi può succedere qualcosa del genere. Cade qualche quota del mercato finanziario – lo abbiamo visto sui giornali in questi giorni – e la notizia è in tutte le agenzie. Cadono migliaia di persone a causa della fame, della miseria e nessuno ne parla.
Diametralmente opposta a Babele è la Pentecoste, lo abbiamo sentito all’inizio dell’udienza (cfr At 2,1-3). Lo Spirito Santo, scendendo dall’alto come vento e fuoco, investe la comunità chiusa nel cenacolo, le infonde la forza di Dio, la spinge a uscire, ad annunciare a tutti Gesù Signore. Lo Spirito crea l’unità nella diversità, crea l’armonia. Nel racconto della Torre di Babele non c’era l’armonia; c’era quell’andare avanti per guadagnare. Lì, l’uomo era un mero strumento, mera “forza-lavoro”, ma qui, nella Pentecoste, ognuno di noi è uno strumento, ma uno strumento comunitario che partecipa con tutto sé stesso all’edificazione della comunità. San Francesco d’Assisi lo sapeva bene, e animato dallo Spirito dava a tutte le persone, anzi, alle creature, il nome di fratello o sorella (cfr LS, 11; cfr San Bonaventura, Legenda maior, VIII, 6: FF 1145). Anche il fratello lupo, ricordiamo.
Con la Pentecoste, Dio si fa presente e ispira la fede della comunità unita nella diversità e nella solidarietà. Diversità e solidarietà unite in armonia, questa è la strada. Una diversità solidale possiede gli “anticorpi” affinché la singolarità di ciascuno – che è un dono, unico e irripetibile – non si ammali di individualismo, di egoismo. La diversità solidale possiede anche gli anticorpi per guarire strutture e processi sociali che sono degenerati in sistemi di ingiustizia, in sistemi di oppressione (cfr Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 192). Quindi, la solidarietà oggi è la strada da percorrere verso un mondo post-pandemia, verso la guarigione delle nostre malattie interpersonali e sociali. Non ce n’è un’altra. O andiamo avanti con la strada della solidarietà o le cose saranno peggiori. Voglio ripeterlo: da una crisi non si esce uguali a prima. La pandemia è una crisi. Da una crisi si esce o migliori o peggiori. Dobbiamo scegliere noi. E la solidarietà è proprio una strada per uscire dalla crisi migliori, non con cambiamenti superficiali, con una verniciata così e tutto è a posto. No. Migliori!
Nel mezzo della crisi, una solidarietà guidata dalla fede ci permette di tradurre l’amore di Dio nella nostra cultura globalizzata, non costruendo torri o muri – e quanti muri si stanno costruendo oggi - che dividono, ma poi crollano, ma tessendo comunità e sostenendo processi di crescita veramente umana e solida. E per questo aiuta la solidarietà. Faccio una domanda: io penso ai bisogni degli altri? Ognuno si risponda nel suo cuore.
Nel mezzo di crisi e tempeste, il Signore ci interpella e ci invita a risvegliare e attivare questa solidarietà capace di dare solidità, sostegno e un senso a queste ore in cui tutto sembra naufragare. Possa la creatività dello Spirito Santo incoraggiarci a generare nuove forme di familiare ospitalità, di feconda fraternità e di universale solidarietà. Grazie.
Saluti
Je salue cordialement les pèlerins de langue française. En ces temps difficiles que nous traversons je vous encourage à répondre dans la foi aux appels que l’Esprit-Saint nous adresse à faire preuve de solidarité envers les personnes que nous rencontrons et qui comptent sur notre soutien fraternel. Que Dieu vous bénisse !
[Saluto di cuore i pellegrini di lingua francese. In questi tempi difficili che stiamo attraversando, vi incoraggio a rispondere nella fede agli appelli che lo Spirito Santo ci rivolge, affinché diamo prova di solidarietà verso le persone che incontriamo e che contano sul nostro sostegno fraterno. Dio vi benedica!]
I cordially greet the English-speaking faithful. My thoughts turn especially to young people returning to school in the coming weeks. Upon all of you and your families I invoke the joy and peace of our Lord Jesus Christ. God bless you!
[Saluto cordialmente i fedeli di lingua inglese. Il mio pensiero va in modo particolare ai giovani che riprenderanno la scuola nelle prossime settimane. Su voi e sulle vostre famiglie invoco la gioia e la pace di Cristo. Dio vi benedica!]
Herzlich grüße ich die Gläubigen deutscher Sprache. Es freut mich sehr, dass bei den Generalaudienzen nun wieder eine persönliche Begegnung von Angesicht zu Angesicht möglich ist. Solche Unmittelbarkeit brauchen wir als soziale Wesen und sie tut unserer Seele gut. Bitten wir den Herrn, dass die Krise die Menschheit nicht entzweit, sondern immer näher zusammenrücken lässt.
[Saluto cordialmente i fedeli di lingua tedesca. Sono molto contento che ora di nuovo è possibile un incontro personale faccia a faccia nelle Udienze generali. Come esseri sociali abbiamo bisogno di una tale immediatezza che fa bene all'anima. Preghiamo il Signore affinché la crisi, per tutta l’umanità, non sia motivo di divisione, ma di unità e solidarietà.]
Saludo cordialmente a los fieles de lengua española. He visto varias banderas españolas ahí, bienvenidos. Y también latinoamericanas de esta parte, así que no se enojan. Pido al Señor que nos conceda la gracia de una solidaridad guiada por la fe, para que el amor a Dios nos mueva a generar nuevas formas de hospitalidad familiar, de fraternidad fecunda y de acogida a los hermanos más frágiles, especialmente a los descartados por nuestras sociedades globalizadas. Que Dios los bendiga.
Dirijo uma cordial saudação aos fiéis de língua portuguesa, convidando a nunca vos cansardes de invocar o Espírito Santo, artífice da unidade da Igreja e entre os homens, para que nos ajude a buscar sempre o diálogo com todas as pessoas de boa vontade, para construirmos um mundo de paz e solidariedade. Que Deus vos abençoe a vós e a vossos entes queridos!
[Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli di lingua portoghese, invitando a non stancarvi mai di invocare lo Spirito Santo, artefice dell’unità nella Chiesa e fra gli uomini, affinché ci aiuti a cercare sempre il dialogo con tutte le persone di buona volontà, per costruire un mondo di pace e solidarietà. Dio benedica voi e quanti vi sono cari!]
أُحيّي جميعَ المؤمنينَ الناطقينَ باللغةِ العربية. وسطَ الأزماتِ والعواصف، يُكلمُنا الرّبُّ يسوع ويدعونا لنستيقظَ ونُنشِطَ هذا التضامنَ القادرَ على إعطاءِ المتانةِ والدعمِ والمعنى لهذا الوقتِ الذي يبدو فيه أنّ كلَّ شيءٍ قد غرق. ليت إبداعاتِ الروحِ القدس تُشجعُنا على ابتكارِ أشكالٍ جديدةٍ من الضيافةِ العائليةِ والأخوّةِ المثمرةِ والتضامنِ العالمي الشامل. ليباركْكُم الرّبُّ جميعًا ويحرسْكُم دائمًا من كلِّ شر!
[Saluto i fedeli di lingua araba. Nel mezzo di crisi e tempeste, il Signore ci interpella e ci invita a risvegliare e attivare questa solidarietà capace di dare solidità, sostegno e un senso a queste ore in cui tutto sembra naufragare. Possa la creatività dello Spirito Santo incoraggiarci a generare nuove forme di familiare ospitalità, di feconda fraternità e di universale solidarietà. Il Signore vi benedica tutti e vi protegga sempre da ogni male!]
Serdecznie pozdrawiam Polaków. Drodzy bracia i siostry, w minionych dniach w Polsce obchodzono 40-lecie Porozumień, które – jako owoc solidarności uciśnionych – dały początek Związkowi Zawodowemu „Solidarność” i historycznym przemianom politycznym w waszym kraju i w Europie Środkowej. Dziś mówimy o solidarności w kontekście pandemii. Zawsze aktualne jest to, co powiedział św. Jan Paweł II: „Nie ma solidarności bez miłości. Więcej, nie ma przyszłości człowieka i narodu bez miłości, […] która służy, zapomina o sobie i gotowa jest do wspaniałomyślnego dawania”. Drodzy bracia i siostry, bądźcie wierni tej miłości! Z serca wam błogosławię.
[ Saluto cordialmente i polacchi. Cari fratelli e sorelle, nei giorni scorsi in Polonia si è celebrato il 40° anniversario degli Accordi che – a partire dalla solidarietà degli oppressi – diedero inizio al Sindacato “Solidarnosc” e a storici cambiamenti politici nel vostro Paese e nell’Europa Centrale. Oggi parliamo di solidarietà nel contesto della pandemia. Ed è sempre attuale quanto ha detto San Giovanni Paolo II: «Non c’è solidarietà senza amore. Anzi, non c’è la felicità, non c’è il futuro dell’uomo e della nazione senza amore […] ; l’amore che è a servizio, che è dimentico di sé ed è disposto a donare con generosità» (cf. Sopot, 5.06.1999). Cari fratelli e sorelle, siate fedeli a questo amore! Vi benedico di cuore.]APPELLO PER IL LIBANO
Cari fratelli e sorelle, a un mese dalla tragedia che ha colpito la città di Beirut, il mio pensiero va ancora al caro Libano e alla sua popolazione particolarmente provata. E questo sacerdote che è qui, ha portato la bandiera del Libano a questa udienza.
Come San Giovanni Paolo II disse trent’anni fa in un momento cruciale della storia del Paese, anche io quest’oggi ripeto: «Di fronte ai ripetuti drammi, che ciascuno degli abitanti di questa terra conosce, noi prendiamo coscienza dell’estremo pericolo che minaccia l’esistenza stessa del Paese. Il Libano non può essere abbandonato nella sua solitudine» (Lettera apostolica a tutti i Vescovi della Chiesa cattolica sulla situazione nel Libano, 7 settembre 1989).
Per oltre cento anni, il Libano è stato un Paese di speranza. Anche durante i periodi più bui della sua storia, i libanesi hanno conservato la loro fede in Dio e dimostrato la capacità di fare della loro terra un luogo di tolleranza, di rispetto, di convivenza unico nella regione. È profondamente vera l’affermazione che il Libano rappresenta qualcosa di più di uno Stato: il Libano «è un messaggio di libertà, è un esempio di pluralismo tanto per l’Oriente quanto per l’Occidente» (ibid.). Per il bene stesso del Paese, ma anche del mondo, non possiamo permettere che questo patrimonio vada disperso.
Incoraggio tutti i libanesi a continuare a sperare e a ritrovare le forze e le energie necessarie per ripartire. Domando ai politici e ai leader religiosi di impegnarsi con sincerità e trasparenza nell’opera di ricostruzione, lasciando cadere gli interessi di parte e guardando al bene comune e al futuro della nazione. Rinnovo altresì l’invito alla Comunità internazionale a sostenere il Paese per aiutarlo ad uscire dalla grave crisi, senza essere coinvolto nelle tensioni regionali.
In modo particolare mi rivolgo agli abitanti di Beirut, duramente provati dall’esplosione: riprendete coraggio, fratelli! La fede e la preghiera siano la vostra forza. Non abbandonate le vostre case e la vostra eredità, non fate cadere il sogno di quelli che hanno creduto nell’avvenire di un Paese bello e prospero.
Cari pastori, vescovi, sacerdoti, consacrati, consacrate, laici, continuate ad accompagnare i vostri fedeli. E a voi, vescovi e sacerdoti, chiedo zelo apostolico; vi chiedo povertà, niente lusso, povertà con il vostro povero popolo che sta soffrendo. Date voi l’esempio di povertà e di umiltà. Aiutate i vostri fedeli e il vostro popolo a rialzarsi ed essere protagonisti di una nuova rinascita. Siate tutti operatori di concordia e rinnovamento nel nome dell’interesse comune, di una vera cultura dell’incontro, del vivere insieme nella pace, di fratellanza. Una parola tanto cara a San Francesco: fratellanza. Che questa concordia sia un rinnovamento nell’interesse comune. Su questo fondamento si potrà assicurare la continuità della presenza cristiana e il vostro inestimabile contributo al Paese, al mondo arabo e a tutta la regione, in uno spirito di fratellanza fra tutte le tradizioni religiose che ci sono nel Libano.
È per questa ragione che desidero invitare tutti a vivere una giornata universale di preghiera e digiuno per il Libano, venerdì prossimo, 4 settembre. Io ho l’intenzione di inviare un mio rappresentante quel giorno in Libano per accompagnare la popolazione: andrà il Segretario di Stato a nome mio, per esprimere la mia vicinanza e solidarietà. Offriamo la nostra preghiera per tutto il Libano e per Beirut. Siamo vicini anche con l’impegno concreto della carità, come in altre occasioni simili. Invito anche i fratelli e le sorelle di altre confessioni e tradizioni religiose ad associarsi a questa iniziativa nelle modalità che riterranno più opportune, ma tutti insieme.
E adesso vi chiedo di affidare a Maria, Nostra Signora di Harissa, le nostre angosce e speranze. Sia Lei a sostenere quanti piangono i loro cari e infondere coraggio a tutti quelli che hanno perso le loro case e con esse parte della loro vita. Che interceda presso il Signore Gesù, affinché la Terra dei Cedri rifiorisca ed effonda il profumo del vivere insieme in tutta la Regione del Medio Oriente.
E adesso invito tutti, per quanto possibile, a metterci in piedi in silenzio e pregare in silenzio per il Libano.
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Saluto cordialmente voi, pellegrini qui presenti, e quanti seguono attraverso i media. Vi incoraggio a invocare spesso nelle vostre giornate lo Spirito Santo: la sua forza buona e creativa ci permette di uscire da noi stessi e di essere per gli altri un segno di conforto e di speranza.
Rivolgo un pensiero speciale agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Il Signore conosce meglio di noi stessi le attese e le necessità che portiamo nel cuore. Affidiamoci alla sua Provvidenza con piena fiducia, ricercando sempre il bene, anche quando costa.
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