PAPA FRANCESCO
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE
La salvezza secondo Francesco
Mercoledì, 10 aprile 2013
(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 84, Giov. 11/04/2013)
«Il Signore non ci salva con una lettera, con un decreto, ma ci ha salvato» e continua a salvarci con il «suo amore», restituendo agli uomini «dignità e speranza». Nella consueta messa del mattino, celebrata nella cappella della Domus Sanctae Marthae, mercoledì 10 aprile, Papa Francesco ha parlato della salvezza cristiana, illustrandone il significato più autentico: quell’amore di Dio che attraverso il suo Figlio unigenito «si è fatto uno di noi, ha camminato con noi».
Commentando l’orazione colletta, il Pontefice ha sottolineato infatti che nella prima preghiera della messa in pratica è stato detto al Signore: «Tu nella Pasqua hai fatto due cose: hai ristabilito l’uomo nella sua dignità perduta». E, di conseguenza, gli «hai dato la speranza». Questa — ha spiegato — «è la salvezza. Il Signore ci dà la dignità che abbiamo perduto. Quella dignità di figli ristabilisce la dignità, e anche ci dà la speranza. Una dignità che va avanti, fino all’incontro definitivo con lui. Questa è la strada della salvezza, e questo è bello: lo fa l’amore soltanto. Siamo degni, siamo donne e uomini di speranza».
Accade tuttavia che a volte «noi vogliamo salvare noi stessi e crediamo di farcela. “Io salvo me stesso!”. Non lo diciamo così, ma nella vita lo facciamo, così». Per esempio quando pensiamo: «Io mi salvo con i soldi. Sono sicuro, ho dei soldi, non c’è problema … Ho dignità: la dignità di una persona ricca». Ma — ha avvertito Papa Francesco — tutto ciò «non basta. Pensiamo alla parabola del Vangelo, di quell’uomo che aveva il granaio tutto pieno e dice: “Ne farò un altro, per avere di più e poi dormirò tranquillo”. E il Signore gli risponde: “Sciocco! Questa sera morirai”. Quella salvezza non va, è una salvezza provvisoria, una salvezza apparente», come quelle volte in cui ci illudiamo di «salvarci con la vanità, con l’orgoglio», credendoci «potenti», mascherando «la nostra povertà, i nostri peccati con la vanità, l’orgoglio»: tutte cose che finiscono, mentre la vera salvezza ha a che fare con la dignità e la speranza ricevute grazie all’amore di Dio — ha aggiunto facendo riferimento al brano del Vangelo di Giovanni (3, 16-21) proclamato poco prima — che ha inviato il suo Figlio per salvarci.
Da qui l’invito del Papa a fare «un atto di fede» dicendo: «Signore, io credo. Credo nel Tuo amore. Credo che il Tuo amore mi abbia salvato. Credo che il Tuo amore mi abbia dato quella dignità che non avevo. Credo che il Tuo amore mi dia la speranza». Ecco allora che diventa «bello credere nell’amore», perché «quella è la verità. È la verità della nostra vita».
Un invito a credere nell’amore di Dio ripetuto di nuovo dal Pontefice al termine dell’omelia, con l’esortazione conclusiva ad aprire «il cuore perché questo amore venga, ci riempia e ci spinga ad amare gli altri».
Insieme con il Santo Padre hanno concelebrato, tra gli altri, i cardinali Angelo Sodano, decano del Collegio, e Angelo Comastri, presidente della Fabbrica di San Pietro; l’arcivescovo di Zaleh e Furzol dei Greco-melkiti, in Libano, il basiliano Issam Youhanna Darwich; e i vescovi Vittorio Lanzani, delegato della Fabbrica di San Pietro, ed Eusebio Hernández Sola, presule agostiniano di Tarazona, in Spagna, con il padre Mario Bettero, anch’egli dell’ordine di Sant’Agostino, parroco della basilica vaticana. Tra i presenti: il ministro dell’Interno del Governo italiano, Anna Maria Cancellieri, con alcuni familiari, le suore di Santa Marta che prestano servizio nella residenza del cardinale decano, un gruppo di religiose dell’ordine del Santissimo Salvatore di Santa Brigida, con la superiora generale Tekla Famiglietti, e dipendenti della Fabbrica di San Pietro.
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