PAPA FRANCESCO
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE
Gioia nella sopportazione
Martedì, 7 maggio 2013
(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 105, Merc. 08-07/05/2013)
Hanno concelebrato tra gli altri i cardinali Angelo Comastri e Jorge María Mejía, i monsignori Carlos Aguiar Retes, arcivescovo di Tlalnepantla, Messico, e presidente del Consiglio episcopale latinoamericano, con il vescovo ausiliare Efraín Mendoza Cruz; Vittorio Lanzani, vescovo delegato della Fabbrica di San Pietro; Francisco Javier Chavolla Ramos, vescovo di Toluca, Messico, e Juan José Omella Omella, vescovo di Calahorra y La Calzada - Logroño, Spagna.
Le letture del giorno — tratte dagli Atti degli apostoli (16, 22-24) e dal vangelo di Giovanni (16, 5-11) — hanno offerto al Papa l’occasione per riproporre lo spirito di sopportazione testimoniato dai primi martiri cristiani. E ha ricordato in proposito la testimonianza di Paolo e Sila i quali, imprigionati, restavano in preghiera e cantavano inni a Dio. Gli altri prigionieri li ascoltavano meravigliati: «Bastonati e pieni di piaghe “cantano, pregano…. Gente un po’ strana!”. Ma loro — ha spiegato il Pontefice — erano in pace. Anche loro erano gioiosi per aver sofferto qualcosa nel nome di Gesù. Erano tranquilli. Cantavano, pregavano e soffrivano. Loro, in quel momento, erano in quello stato d’animo tanto cristiano: lo stato della pazienza. Quando Gesù comincia la strada della sua Passione, dopo la cena, “entra in pazienza”».
Entrare in pazienza: questa è «la strada che Gesù insegna a noi cristiani. Entrare in pazienza». Ma ciò «non vuol dire essere tristi. No, no, è un’altra cosa! Questo vuol dire sopportare, portare sulle spalle il peso delle difficoltà, il peso delle contraddizioni, il peso delle tribolazioni».
La sopportazione cristiana testimoniata da Paolo e Sila, è «un processo di maturità cristiana — ha spiegato il Papa — attraverso la strada della pazienza»; perché si compia è però necessario del tempo. «È come il buon vino» ha detto con un’espressione efficace, che attende pazientemente «aspettando il momento in cui è propriamente maturo».
Poi ha riproposto l’esemplarità dei martiri che «erano gioiosi di andare a dare testimonianza di Gesù. Penso, per esempio, ai martiri della collina di Nagasaki: si aiutavano l’uno con l’altro, si davano forza, parlavano di Gesù aspettando il momento della morte. E di alcune martiri romane si dice che andavano al martirio come a nozze, come a una festa, a una festa di nozze». Ma ciò non significa, ha precisato, assumere un atteggiamento masochista: si tratta semplicemente di «mettersi sulla strada di Gesù» che è stato il primo a entrare nella dimensione della pazienza, sopportando la sua Passione.
E, davanti alle tribolazioni, non si deve cedere alla tentazione del lamento, perché «un cristiano che continuamente si lamenta» smette di essere un buon cristiano e diventa «il signore o la signora lamentela». Il buon cristiano scopre, al contrario, «il silenzio nella pazienza. Quel silenzio di Gesù» il quale durante la Passione ha pronunciato solo «due o tre parole necessarie». Tuttavia non si tratta di un silenzio triste, come non è stato triste il silenzio di Gesù nel sopportare la Croce: «È doloroso, tante volte molto doloroso, ma non è triste», perché il cuore è in pace.
Dunque sopportare come Gesù, con il cuore in pace, rende felici. E quale sia l’origine di questa gioia il Papa l’ha spiegato riproponendo la prima preghiera della messa del giorno, attraverso la quale «la Chiesa dice: “Esulta il tuo popolo, Signore, per la rinnovata giovinezza della Pasqua”. Andare in pazienza rinnova la nostra giovinezza e ci fa più giovani. Il paziente è quello che, alla lunga, è più giovane! Pensiamo a quegli anziani e anziane nella casa di riposo; a quelli che hanno sopportato tanto nella vita, guardiamo gli occhi: occhi giovani, hanno uno spirito giovane e una rinnovata giovinezza. E a questo ci invita il Signore», anche «a sopportarci l’uno l’altro» con «carità e amore».
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