DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI ALL'INCONTRO PROMOSSO
DALLA FONDAZIONE "GRAVISSIMUM EDUCATIONIS"
Sala Clementina
Venerdì, 18 marzo 2022
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Noi siamo abituati a sentire notizie delle guerre, ma lontane. Siria, Yemen… abituali. Adesso la guerra si è avvicinata, è a casa nostra, praticamente. E questo ci fa pensare sulla “selvaticità” della natura umana, fino a dove siamo capaci di arrivare. Assassini dei nostri fratelli. Grazie, Mons. Guy-Réal Thivierge, per questa lettera che lei ha portato, che è una chiamata, attira l’attenzione su quello che sta succedendo. Noi parliamo di educazione, e quando uno pensa all’educazione pensa a bambini, ragazzi… Pensiamo a tanti soldati che sono inviati al fronte, giovanissimi, soldati russi, poveretti. Pensiamo a tanti soldati giovani ucraini; pensiamo agli abitanti, i giovani, le giovani, bambini, bambine… Questo succede vicino a noi. Il Vangelo ci chiede soltanto di non guardare da un’altra parte, che è proprio l’atteggiamento più pagano dei cristiani: il cristiano, quando si abitua a guardare da un’altra parte, lentamente diventa un pagano travestito da cristiano. Per questo ho voluto incominciare con questo, con questa riflessione. Non è lontana, la guerra: è alle porte di casa. Cosa faccio io? Qui a Roma, al “Bambin Gesù”, ci sono bambini feriti dai bombardamenti. A casa, li portano a casa. Prego? Faccio digiuno? Faccio penitenza? O vivo spensieratamente, come viviamo normalmente le guerre lontane? Una guerra sempre – sempre! – è la sconfitta dell’umanità, sempre. Noi, colti, che lavoriamo nell’educazione, siamo sconfitti da questa guerra, perché da un’altra parte siamo responsabili. Non esistono le guerre giuste: non esistono!
Cari amici,
do il benvenuto a tutti voi, che partecipate al Congresso Internazionale “Educare alla democrazia in un mondo frammentato”, promosso dalla Fondazione pontificia Gravissimum Educationis.
Ringrazio il Cardinale Versaldi per le sue parole di introduzione e sono grato a ciascuno di voi per aver apportato la ricchezza del proprio contesto culturale, del proprio settore professionale e di ricerca. Questo vostro incontro affronta in prospettiva educativa il tema della democrazia. Un tema molto attuale, e anche molto dibattuto. Ma non è certo frequente che esso venga affrontato dal punto di vista dell’educazione. E invece questa impostazione, che appartiene in modo speciale alla tradizione della Chiesa, è l’unica in grado di dare risultati di lungo periodo.
Vorrei proporvi una breve riflessione a partire dalla Parola che il Signore ci rivolge nel Vangelo della liturgia di oggi, cioè la parabola dei vignaioli omicidi (Mt 21,33-43.45-46). Gesù mette in guardia da una tentazione che è di tutti e di tutti i tempi: la tentazione del possesso. I vignaioli della parabola, accecati dalla brama di impadronirsi della vigna, non esitano a usare la violenza e a uccidere. Questo ci ricorda che quando l’uomo rinnega la propria vocazione di collaboratore dell’opera di Dio e presume di mettersi al suo posto, perde la dignità di figlio e si trasforma in nemico dei suoi fratelli. Si trasforma in Caino.
I beni del creato sono offerti a tutti e a ciascuno in proporzione dei bisogni, perché nessuno accumuli il superfluo né qualcun altro manchi del necessario. Al contrario, quando il possesso egoistico riempie i cuori, le relazioni e le strutture politiche e sociali, allora l’essenza della democrazia è avvelenata. E diventa una democrazia formale, non reale.
Mi soffermo su due degenerazioni: il totalitarismo e il secolarismo. Sono degenerazioni della democrazia.
San Giovanni Paolo II ha sottolineato che uno Stato è totalitario quando «tende ad assorbire in sé la nazione, la società, la famiglia, le comunità religiose e le stesse persone» (Enc. Centesimus annus, 45). Esercitando una sopraffazione ideologica, lo Stato totalitario svuota di valore i diritti fondamentali della persona e della società, fino a sopprimere la libertà. È una sopraffazione ideologica, e noi possiamo parlare delle colonizzazioni ideologiche, che vanno avanti e ci portano a questo.
Il secolarismo radicale, a sua volta ideologico, deforma lo spirito democratico in maniera più sottile e subdola: eliminando la dimensione trascendente, esso indebolisce, e a poco a poco annulla, ogni apertura al dialogo. Se non esiste una verità ultima, le idee e le convinzioni umane possono essere facilmente sfruttate per scopi di potere. «L’umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano», diceva Benedetto XVI (Enc. Caritas in veritate, 78). E qui c’è la differenza, piccola ma sostanziale, fra una sana laicità e un avvelenato laicismo. Quando la laicità diventa ideologia, si trasforma in laicismo, e questo avvelena i rapporti e anche le democrazie.
A queste degenerazioni, avete opposto il potere trasformante dell’educazione. In alcune Università del mondo, ad esempio, avete avviato attività di formazione, cercando le strategie più efficaci per trasmettere i principi democratici, per educare alla democrazia. Vi invito a proseguire su questa linea e condivido alcune proposte, che affido a tutti voi, impegnati nei diversi ambiti.
1. Alimentare nei giovani la sete della democrazia. Si tratta di aiutarli a capire e apprezzare il valore di vivere in un sistema democratico, sempre perfettibile ma capace di tutelare la partecipazione dei cittadini (cfr Centesimus annus, 46), la libertà di scelta, di azione e di espressione. E ad andare sulla strada dell’universalità contro l’uniformità. Il veleno è l’uniformità. E che i giovani imparino la differenza e anche la pratichino.
2. Insegnare ai giovani che il bene comune è impastato con l’amore. Non può essere difeso con la forza militare. Una comunità o una nazione che voglia affermarsi con la forza lo fa a danno di altre comunità o altre nazioni, e diventa fomentatrice di ingiustizie, disuguaglianze e violenze. La via della distruzione è facile da imboccare, ma produce tante macerie; solo l’amore può salvare la famiglia umana. Su questo, stiamo vivendo l’esempio più brutto vicino a noi.
3. Educare i giovani a vivere l’autorità come servizio. C’è bisogno di formare «persone disponibili a mettersi al servizio della comunità» (Messaggio per il lancio del Patto Educativo, 12 settembre 2019). Tutti noi siamo chiamati a un servizio di autorità, nella famiglia, nel lavoro, nella vita sociale. Esercitare l’autorità non è facile: è un servizio. Non dimentichiamoci che Dio ci affida certi ruoli non per l’affermazione personale ma perché, con la nostra opera, cresca tutta la comunità. Quando l’autorità va oltre i diritti della società, delle persone, diventa autoritarismo e diventa alla fine dittatura. L’autorità è una cosa molto equilibrata, ma è una cosa bellissima che dobbiamo imparare e insegnare ai giovani perché imparino a gestirla.
Sono tre percorsi educativi orientati, come direbbe San Paolo VI, alla civiltà dell’amore, e chiedono di essere portati avanti con coraggio e creatività. Mi pare che si possano ben inserire nel quadro del Patto Educativo, che abbiamo avviato insieme con la Congregazione per l’Educazione Cattolica. E colgo proprio l’occasione per rilanciare tale Patto, questa alleanza che si propone di aggregare quanti hanno a cuore l’educazione delle giovani generazioni, e che può diventare uno strumento per perseguire il bene comune globale. Nel contesto provocato dalla guerra in Ucraina risalta ancora di più il valore di questo Patto Educativo, in ordine a promuovere la fraternità universale nell’unica famiglia umana, basata sull’amore. La preghiera per la pace va infatti accompagnata da un paziente impegno educativo, affinché i ragazzi e i giovani maturino la decisa consapevolezza che i conflitti non si risolvono con la violenza, non si risolvono con la sopraffazione, ma con il confronto e il dialogo. Ci saranno sempre dei conflitti: insegnare ai giovani come risolvere un conflitto. Non con la violenza, non con la sopraffazione ma con il confronto, il sano confronto, e il dialogo.
Cari amici, vi ringrazio per il vostro lavoro. Di cuore benedico tutti voi e i vostri cari, le vostre istituzioni e il vostro lavoro. Grazie! Di cuore do questa benedizione a tutti. E vi chiedo per favore di non dimenticarvi di pregare per me. Grazie!
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