LETTERA APOSTOLICA DEL SOMMO PONTEFICE
GIOVANNI PAOLO II
TERTIO MILLENNIO ADVENIENTE
ALL'EPISCOPATO, AL CLERO E AI FEDELI
CIRCA LA PREPARAZIONE
DEL GIUBILEO DELL'ANNO 2000
Ai Vescovi
Ai sacerdoti e ai diaconi
Ai religiosi e alle religiose
A tutti i fedeli laici
1. Mentre ormai s'avvicina il terzo millennio della nuova era, il pensiero va spontaneamente alle parole dell'apostolo Paolo: « Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna » (Gal 4, 4). La pienezza del tempo si identifica con il mistero dell'Incarnazione del Verbo, Figlio consustanziale al Padre e con il mistero della Redenzione del mondo. San Paolo sottolinea in questo brano che il Figlio di Dio è nato da donna, nato sotto la Legge, venuto nel mondo per riscattare quanti erano sotto la Legge, affinché potessero ricevere l'adozione a figli. Ed aggiunge: « Che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! ». La sua conclusione è davvero consolante: « Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio » (Gal 4, 6-7).
Questa presentazione paolina del mistero della Incarnazione contiene la rivelazione del mistero trinitario e della continuazione della missione del Figlio nella missione dello Spirito Santo. L'Incarnazione del Figlio di Dio, il suo concepimento, la sua nascita sono il presupposto dell'invio dello Spirito Santo. Il testo di san Paolo lascia così trasparire la pienezza del mistero dell'Incarnazione redentrice.
I
« GESÙ CRISTO È LO STESSO IERI, OGGI ... »
(Eb 13, 8)
2. Nel suo Vangelo Luca ci ha trasmesso una concisa descrizione delle circostanze riguardanti la nascita di Gesù: « In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra (...). Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo » (2, 1.3-7).
Si compiva così quanto l'angelo Gabriele aveva predetto nell'Annunciazione. Alla Vergine di Nazaret egli si era rivolto con queste parole: « Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te » (1, 28). Queste parole avevano turbato Maria e per questo il Messaggero divino si era affrettato ad aggiungere: « Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo (...). Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio » (1, 30- 32.35). La risposta di Maria all'angelico messaggio fu univoca: « Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto » (1, 38). Mai nella storia dell'uomo tanto dipese, come allora, dal consenso dell'umana creatura.(1)
3. Giovanni, nel Prologo del suo Vangelo, riassume in una sola frase tutta la profondità del mistero dell'Incarnazione. Egli scrive : « E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità » (1, 14). Per Giovanni, nel concepimento e nella nascita di Gesù si attua l'Incarnazione del Verbo eterno, consustanziale al Padre.
L'Evangelista si riferisce al Verbo che in principio era presso Dio, per mezzo del quale è stato fatto tutto ciò che esiste; il Verbo nel quale era la vita, vita che era la luce degli uomini (cf. 1, 1-5). Del Figlio unigenito, Dio da Dio, l'apostolo Paolo scrive che fu « generato prima di ogni creatura » (Col 1, 15). Dio crea il mondo per mezzo del Verbo. Il Verbo è l'eterna Sapienza, il Pensiero e l'Immagine sostanziale di Dio, « irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza » (Eb 1, 3). Egli, generato eternamente ed eternamente amato dal Padre, come Dio da Dio e Luce da Luce, è il principio e l'archetipo di tutte le cose da Dio create nel tempo.
Il fatto che il Verbo eterno abbia assunto nella pienezza dei tempi la condizione di creatura conferisce all'evento di Betlemme di duemila anni fa un singolare valore cosmico. Grazie al Verbo, il mondo delle creature si presenta come « cosmo », cioè come universo ordinato. Ed è ancora il Verbo che, incarnandosi, rinnova l'ordine cosmico della creazione. La Lettera agli Efesini parla del disegno che Dio ha prestabilito in Cristo, « per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè diricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra » (1, 10).
4. Cristo, Redentore del mondo, è l'unico Mediatore tra Dio e gli uomini e non vi è un altro nome sotto il cielo nel quale possiamo essere salvati (cf. At 4, 12). Leggiamo nella Lettera agli Efesini: in Lui « abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia. Dio l'ha abbondantemente riversata su di noi con ogni sapienza e intelligenza (...) secondo quanto, nella sua benevolenza, aveva in Lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi » (Ef 1, 7-10). Cristo, Figlio consustanziale al Padre, è dunque Colui che rivela il disegno di Dio nei riguardi di tutta la creazione e, in particolare, nei riguardi dell'uomo. Come afferma in modo suggestivo il Concilio Vaticano II, Egli « svela ... pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione ».(2) Gli mostra questa vocazione rivelando il mistero del Padre e del suo amore. « Immagine del Dio invisibile », Cristo è l'uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio deformata dal peccato. Nella sua natura umana, immune da ogni peccato ed assunta nella Persona divina del Verbo, la natura comune ad ogni essere umano viene elevata ad altissima dignità: « Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato ».(3)
5. Questo « farsi uno di noi » del Figlio di Dio è avvenuto nella più grande umiltà, sicché non meraviglia che la storiografia profana, presa da fatti più clamorosi e da personaggi maggiormente in vista, non gli abbia dedicato all'inizio che fuggevoli, anche se significativi, cenni. Riferimenti a Cristo si trovano, ad esempio, nelle Antichità Giudaiche, opera redatta a Roma dallo storico Giuseppe Flavio tra il 93 e il 94 (4) e soprattutto negli Annali di Tacito, composti tra il 115 e il 120; in essi, riferendo dell'incendio di Roma del 64, falsamente imputato da Nerone ai cristiani, lo storico fa esplicito cenno a Cristo « suppliziato ad opera del procuratore Ponzio Pilato sotto l'impero di Tiberio ».(5) Anche Svetonio nella biografia dell'imperatore Claudio, scritta intorno al 121, ci informa circa l'espulsione dei Giudei da Roma perché « sotto istigazione di un certo Cresto suscitavano frequenti tumulti ».(6) Fra gli interpreti è convinzione diffusa che tale passo si riferisca a Gesù Cristo, divenuto motivo di contesa all'interno dell'ebraismo romano. Di rilievo, a riprova della rapida diffusione del cristianesimo, è pure la testimonianza di Plinio il Giovane, governatore della Bitinia, il quale riferisce all'imperatore Traiano, tra il 111 ed il 113, che un gran numero di persone solevano raccogliersi « in un giorno stabilito, prima dell'alba, per cantare alternatamente un inno a Cristo come a un Dio ».(7)
Ma il grande evento, che gli storici non cristiani si limitano a menzionare, acquista la sua luce piena negli scritti del Nuovo Testamento che, pur essendo documenti di fede, non sono meno attendibili, nell'insieme dei loro riferimenti, anche come testimonianze storiche. Cristo, vero Dio e vero uomo, Signore del cosmo è anche Signore della storia, di cui è « l'Alfa e l'Omega » (Ap 1, 8; 21, 6), « il Principio e la Fine » (Ap 21, 6). In Lui il Padre ha detto la parola definitiva sull'uomo e sulla sua storia. È quanto esprime con efficace sintesi la Lettera agli Ebrei: « Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio » (1, 1-2).
6. Gesù è nato dal Popolo eletto, a compimento della promessa fatta ad Abramo e costantemente ricordata dai profeti. Questi parlavano a nome e in luogo di Dio. L'economia dell'Antico Testamento, infatti, è essenzialmente ordinata a preparare e ad annunziare la venuta di Cristo Redentore dell'universo e del suo Regno messianico. I libri dell'Antica Alleanza sono così testimoni permanenti di una attenta pedagogia divina.(8) In Cristo questa pedagogia raggiunge la sua meta: Egli infatti non si limita a parlare « a nome di Dio » come i profeti, ma è Dio stesso che parla nel suo Verbo eterno fatto carne. Tocchiamo qui il punto essenziale per cui il cristianesimo si differenzia dalle altre religioni, nelle quali s'è espressa sin dall'inizio la ricerca di Dio da parte dell'uomo. Nel cristianesimo l'avvio è dato dall'Incarnazione del Verbo. Qui non è soltanto l'uomo a cercare Dio, ma è Dio che viene in Persona a parlare di sé all'uomo ed a mostrargli la via sulla quale è possibile raggiungerlo. È quanto proclama il Prologo del Vangelo di Giovanni: « Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato » (1, 18). Il Verbo Incarnato è dunque il compimento dell'anelito presente in tutte le religioni dell'umanità: questo compimento è opera di Dio e va al di là di ogni attesa umana. È mistero di grazia.
In Cristo la religione non è più un « cercare Dio come a tentoni » (cf. At 17, 27), ma risposta di fede a Dio che si rivela: risposta nella quale l'uomo parla a Dio come al suo Creatore e Padre; risposta resa possibile da quell'Uomo unico che è al tempo stesso il Verbo consustanziale al Padre, nel quale Dio parla ad ogni uomo ed ogni uomo è reso capace di rispondere a Dio. Più ancora, in quest'Uomo risponde a Dio l'intera creazione. Gesù Cristo è il nuovo inizio di tutto: tutto in lui si ritrova, viene accolto e restituito al Creatore dal quale ha preso origine. In tal modo, Cristo è il compimento dell'anelito di tutte le religioni del mondo e, per ciò stesso, ne è l'unico e definitivo approdo. Se da una parte Dio in Cristo parla di sé all'umanità, dall'altra, nello stesso Cristo, l'umanità intera e tutta la creazione parlano di sé a Dio - anzi, si donano a Dio. Tutto così ritorna al suo principio. Gesù Cristo è la ricapitolazione di tutto (cf. Ef 1, 10) e insieme il compimento di ogni cosa in Dio: compimento che è gloria di Dio. La religione che si fonda in Gesù Cristo è religione della gloria, è un esistere in novità di vita a lode della gloria di Dio (cf. Ef 1, 12). Tutta la creazione, in realtà, è manifestazione della sua gloria; in particolare l'uomo (vivens homo) è epifania della gloria di Dio, chiamato a vivere della pienezza della vita in Dio.
7. In Gesù Cristo Dio non solo parla all'uomo, ma lo cerca. L'Incarnazione del Figlio di Dio testimonia che Dio cerca l'uomo. Di questa ricerca Gesù parla come del ricupero di una pecorella smarrita (cf. Lc 15, 1-7). È una ricerca che nasce nell'intimo di Dio e ha il suo punto culminante nell'Incarnazione del Verbo. Se Dio va in cerca dell'uomo, creato ad immagine e somiglianza sua, lo fa perché lo ama eternamente nel Verbo e in Cristo lo vuole elevare alla dignità di figlio adottivo. Dio dunque cerca l'uomo, che è sua particolare proprietà, in maniera diversa di come lo è ogni altra creatura. Egli è proprietà di Dio in base ad una scelta di amore: Dio cerca l'uomo spinto dal suo cuore di Padre.
Perché lo cerca? Perché l'uomo si è da lui allontanato, nascondendosi come Adamo tra gli alberi del paradiso terrestre (cf. Gn 3, 8-10). L'uomo si è lasciato sviare dal nemico di Dio (cf. Gn 3, 13). Satana lo ha ingannato persuadendolo di essere egli stesso dio e di poter conoscere, come Dio, il bene e il male, governando il mondo a suo arbitrio senza dover tenere conto della volontà divina (cf. Gn 3, 5). Cercando l'uomo tramite il Figlio, Dio vuole indurlo ad abbandonare le vie del male, nelle quali tende ad inoltrarsi sempre di più. « Fargli abbandonare » quelle vie, vuol dire fargli capire che si trova su strade sbagliate; vuol dire sconfiggere il male diffuso nella storia umana. Sconfiggere il male: ecco la Redenzione. Essa si realizza nel sacrificio di Cristo, grazie al quale l'uomo riscatta il debito del peccato e viene riconciliato con Dio. Il Figlio di Dio si è fatto uomo, assumendo un corpo e un'anima nel grembo della Vergine, proprio per questo: per fare di sé il perfetto sacrificio redentore. La religione dell'Incarnazione è la religione della Redenzione del mondo attraverso il sacrificio di Cristo, in cui è contenuta la vittoria sul male, sul peccato e sulla stessa morte. Cristo, accettando la morte sulla croce, contemporaneamente manifesta e dà la vita, poiché risorge e la morte non ha più alcun potere su di lui.
8. La religione che trae origine dal mistero della Incarnazione redentiva è la religione del « rimanere nell'intimo di Dio », del partecipare alla sua stessa vita. Ne parla san Paolo nel passo riportato all'inizio: « Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! » (Gal 4, 6). L'uomo eleva la sua voce a somiglianza di Cristo, il quale si rivolgeva « con forti grida e lacrime » (Eb 5, 7) a Dio, specialmente nel Getsemani e sulla croce: l'uomo grida a Dio come ha gridato Cristo e testimonia così di partecipare alla sua figliolanza per opera dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo, che il Padre ha mandato nel nome del Figlio, fa sì che l'uomo partecipi alla vita intima di Dio. Fa sì che l'uomo sia anche figlio, a somiglianza di Cristo, ed erede di quei beni che costituiscono la parte del Figlio (cf. Gal 4, 7). In questo consiste la religione del « rimanere nella vita intima di Dio », alla quale l'Incarnazione del Figlio di Dio dà inizio. Lo Spirito Santo, che scruta le profondità di Dio (cf. 1 Cor 2, 10), introduce noi uomini in tali profondità in virtù del sacrificio di Cristo.
II
IL GIUBILEO DELL'ANNO 2000
9. Parlando della nascita del Figlio di Dio, san Paolo la situa nella « pienezza del tempo » (cf. Gal 4, 4). Il tempo in realtà si è compiuto per il fatto stesso che Dio, con l'Incarnazione, si è calato dentro la storia dell'uomo. L'eternità è entrata nel tempo: quale « compimento » più grande di questo? Quale altro « compimento » sarebbe possibile? Qualcuno ha pensato a certi cicli cosmici arcani, nei quali la storia dell'universo, e in particolare dell'uomo, costantemente si ripeterebbe. L'uomo sorge dalla terra e alla terra ritorna (cf. Gn 3, 19): questo è il dato di evidenza immediata. Ma nell'uomo vi è un'insopprimibile aspirazione a vivere per sempre. Come pensare ad una sua sopravvivenza al di là della morte? Alcuni hanno immaginato varie forme di reincarnazione: in dipendenza da come egli ha vissuto nel corso dell'esistenza precedente, si troverebbe a sperimentare una nuova esistenza più nobile o più umile, fino a raggiungere la piena purificazione. Questa credenza, molto radicata in alcune religioni orientali, sta ad indicare, tra l'altro, che l'uomo non intende rassegnarsi alla irrevocabilità della morte. È convinto della propria natura essenzialmente spirituale ed immortale.
La rivelazione cristiana esclude la reincarnazione e parla di un compimento che l'uomo è chiamato a realizzare nel corso di un'unica esistenza sulla terra. Questo compimento del proprio destino l'uomo lo raggiunge nel dono sincero di sé, un dono che è reso possibile soltanto nell'incontro con Dio. È in Dio, pertanto, che l'uomo trova la piena realizzazione di sé: questa è la verità rivelata da Cristo. L'uomo compie se stesso in Dio, che gli è venuto incontro mediante l'eterno suo Figlio. Grazie alla venuta di Dio sulla terra, il tempo umano, iniziato nella creazione, ha raggiunto la sua pienezza. « La pienezza del tempo », infatti, è soltanto l'eternità, anzi Colui che è eterno, cioè Dio. Entrare nella « pienezza del tempo » significa dunque raggiungere il termine del tempo ed uscire dai suoi confini, per trovarne il compimento nell'eternità di Dio.
10. Nel cristianesimo il tempo ha un'importanza fondamentale. Dentro la sua dimensione viene creato il mondo, al suo interno si svolge la storia della salvezza, che ha il suo culmine nella « pienezza del tempo » dell'Incarnazione e il suo traguardo nel ritorno glorioso del Figlio di Dio alla fine dei tempi. In Gesù Cristo, Verbo incarnato, il tempo diventa una dimensione di Dio, che in se stesso è eterno. Con la venuta di Cristo iniziano gli « ultimi tempi » (cf. Eb 1, 2), l'« ultima ora » (cf. 1 Gv 2, 18), inizia il tempo della Chiesa che durerà fino alla Parusia.
Da questo rapporto di Dio col tempo nasce il dovere di santificarlo. È quanto si fa, ad esempio, quando si dedicano a Dio singoli tempi, giorni o settimane, come già avveniva nella religione dell'Antica Alleanza e avviene ancora, anche se in modo nuovo, nel cristianesimo. Nella liturgia della Veglia pasquale il celebrante, mentre benedice il cero che simboleggia il Cristo risorto, proclama: « Il Cristo ieri e oggi, Principio e Fine, Alfa e Omega. A lui appartengono il tempo e i secoli. A lui la gloria e il potere per tutti i secoli in eterno ». Egli pronuncia queste parole incidendo sul cero la cifra dell'anno in corso. Il significato del rito è chiaro: esso mette in evidenza il fatto che Cristo è il Signore del tempo; è il suo principio e il suo compimento; ogni anno, ogni giorno ed ogni momento vengono abbracciati dalla sua Incarnazione e Risurrezione, per ritrovarsi in questo modo nella « pienezza del tempo ». Per questo anche la Chiesa vive e celebra la liturgia nello spazio dell'anno. L'anno solare viene così pervaso dall'anno liturgico, che riproduce in un certo senso l'intero mistero dell'Incarnazione e della Redenzione, iniziando dalla prima Domenica d'Avvento e terminando nella solennità di Cristo, Re e Signore dell'universo e della storia. Ogni domenica ricorda il giorno della risurrezione del Signore.
11. Su tale sfondo diventa comprensibile l'usanza dei Giubilei, che ha inizio nell'Antico Testamento e ritrova la sua continuazione nella storia della Chiesa. Gesù di Nazaret, recatosi un giorno nella sinagoga della sua città, si alzò per leggere (cf. Lc 4, 16-30). Gli venne dato il rotolo del profeta Isaia, nel quale egli lesse il seguente passo: « Lo Spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l'anno di misericordia del Signore » (61, 1-2).
Il Profeta parlava del Messia. « Oggi - aggiunse Gesù - si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi » (Lc 4, 21), facendo capire che il Messia annunziato dal Profeta era proprio lui e che in lui prendeva avvio il « tempo » tanto atteso: era giunto il giorno della salvezza, la « pienezza del tempo ». Tutti i Giubilei si riferiscono a questo « tempo » e riguardano la missione messianica di Cristo, venuto come « consacrato con l'unzione » dello Spirito Santo, come « mandato dal Padre ». È lui ad annunziare la buona novella ai poveri. È lui a portare la libertà a coloro che ne sono privi, a liberare gli oppressi, a restituire la vista ai ciechi (cf. Mt 11, 4-5; Lc 7, 22). In tal modo egli realizza « un anno di grazia del Signore », che annunzia non solo con la parola, ma prima di tutto con le sue opere. Giubileo, cioè « un anno di grazia del Signore », è la caratteristica dell'attività di Gesù e non soltanto la definizione cronologica di una certa ricorrenza.
12. Le parole e le opere di Gesù costituiscono in questo modo il compimento dell'intera tradizione dei Giubilei dell'Antico Testamento. È noto che il Giubileo era un tempo dedicato in modo particolare a Dio. Esso cadeva ogni settimo anno, secondo la Legge di Mosè: era l'« anno sabbatico », durante il quale si lasciava riposare la terra e venivano liberati gli schiavi. L'obbligo della liberazione degli schiavi veniva regolato da prescrizioni dettagliate contenute nel Libro dell'Esodo (23, 10-11), del Levitico (25, 1-28), del Deuteronomio (15, 1-6) e cioè, praticamente, in tutta la legislazione biblica, la quale acquista così questa peculiare dimensione. Nell'anno sabbatico, oltre alla liberazione degli schiavi, la Legge prevedeva il condono di tutti i debiti, secondo precise prescrizioni. E tutto ciò doveva essere fatto in onore di Dio. Quanto riguardava l'anno sabbatico valeva anche per quello « giubilare », che cadeva ogni cinquant'anni. Nell'anno giubilare però le usanze di quello sabbatico erano ampliate e celebrate ancor più solennemente. Leggiamo nel Levitico: « Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia » (25, 10). Una delle conseguenze più significative dell'anno giubilare era la generale « emancipazione » di tutti gli abitanti bisognosi di liberazione. In questa occasione ogni israelita rientrava in possesso della terra dei suoi padri, se eventualmente l'aveva venduta o persa cadendo in schiavitù. Non si poteva essere privati in modo definitivo della terra, poiché essa apparteneva a Dio, né gli israeliti potevano rimanere per sempre in una situazione di schiavitù, dato che Dio li aveva « riscattati » per sé come esclusiva proprietà liberandoli dalla schiavitù in Egitto.
13. Anche se i precetti dell'anno giubilare restarono in gran parte una prospettiva ideale - più una speranza che una realizzazione concreta, divenendo peraltro una prophetia futuri in quanto preannuncio della vera liberazione che sarebbe stata operata dal Messia venturo - sulla base della normativa giuridica in essi contenuta si venne delineando una certa dottrina sociale, che si sviluppò poi più chiaramente a partire dal Nuovo Testamento. L'anno giubilare doveva restituire l'eguaglianza tra tutti i figli d'Israele, schiudendo nuove possibilità alle famiglie che avevano perso le loro proprietà e perfino la libertà personale. Ai ricchi invece l'anno giubilare ricordava che sarebbe venuto il tempo in cui gli schiavi israeliti, divenuti nuovamente uguali a loro, avrebbero potuto rivendicare i loro diritti. Si doveva proclamare, nel tempo previsto dalla Legge, un anno giubilare, venendo in aiuto ad ogni bisognoso. Questo esigeva un governo giusto. La giustizia, secondo la Legge di Israele, consisteva soprattutto nella protezione dei deboli ed un re doveva distinguersi in questo, come afferma il Salmista: « Egli libererà il povero che invoca e il misero che non trova aiuto, avrà pietà del debole e del povero e salverà la vita dei suoi miseri » (Sal 72 1, 12-13). Le premesse di simile tradizione erano strettamente teologiche, collegate prima di tutto con la teologia della creazione e con quella della divina Provvidenza. Era convinzione comune, infatti, che solo a Dio, come Creatore, spettasse il « dominium altum », cioè la signoria su tutto il creato e in particolare sulla terra (cf. Lv 25, 23). Se nella sua Provvidenza Dio aveva donato la terra agli uomini, ciò stava a significare che l'aveva donata a tutti. Perciò le ricchezze della creazione erano da considerarsi come un bene comune dell'intera umanità. Chi possedeva questi beni come sua proprietà, ne era in verità soltanto un amministratore, cioè un ministro tenuto ad operare in nome di Dio, unico proprietario in senso pieno, essendo volontà di Dio che i beni creati servissero a tutti in modo giusto. L'anno giubilare doveva servire proprio al ripristino anche di questa giustizia sociale. Nella tradizione dell'anno giubilare ha così una delle sue radici la dottrina sociale della Chiesa, che ha avuto sempre un suo posto nell'insegnamento ecclesiale e si è particolarmente sviluppata nell'ultimo secolo, soprattutto a partire dall'Enciclica Rerum novarum.
14. Occorre sottolineare tuttavia ciò che Isaia esprime con le parole: « predicare un anno di grazia del Signore ». Il Giubileo, per la Chiesa, è proprio questo « anno di grazia »: anno della remissione dei peccati e delle pene per i peccati, anno della riconciliazione tra i contendenti, anno di molteplici conversioni e di penitenza sacramentale ed extra- sacramentale. La tradizione degli anni giubilari è legata alla concessione di indulgenze in modo più largo che in altri periodi. Accanto ai Giubilei che ricordano il mistero dell'Incarnazione, al compiersi dei cento, dei cinquanta e dei venticinque anni, vi sono poi quelli che commemorano l'evento della Redenzione: la croce di Cristo, la sua morte sul Golgota e la sua risurrezione. La Chiesa, in queste circostanze, proclama « un anno di grazia del Signore » e si adopera affinché di questa grazia possano più ampiamente usufruire tutti i fedeli. Ecco perché i Giubilei vengono celebrati non soltanto « in Urbe », ma anche « extra Urbem »: tradizionalmente ciò avveniva l'anno successivo alla celebrazione « in Urbe ».
15. Nella vita delle singole persone i Giubilei sono legati solitamente alla data di nascita, ma si celebrano anche gli anniversari del Battesimo, della Cresima, della prima Comunione, dell'Ordinazione sacerdotale o episcopale, del sacramento del Matrimonio. Alcuni di questi anniversari hanno un riscontro nell'ambito laico, ma i cristiani attribuiscono sempre ad essi un carattere religioso. Nella visione cristiana, infatti, ogni Giubileo - quello del 25° di Sacerdozio o di Matrimonio, detto « d'argento », o quello del 50°, detto « d'oro », o quello del 60°, detto « di diamante » - costituisce un particolare anno di grazia per la singola persona che ha ricevuto uno dei Sacramenti elencati. Quanto abbiamo detto dei Giubilei individuali può essere pure applicato alle comunità o alle istituzioni. Così dunque si celebra il centenario, o il millennio di fondazione di una città o di un comune. Nell'ambito ecclesiale si festeggiano i Giubilei delle parrocchie e delle diocesi. Tutti questi Giubilei personali o comunitari rivestono nella vita dei singoli e delle comunità un ruolo importante e significativo.
Su tale sfondo, i duemila anni dalla nascita di Cristo (prescindendo dall'esattezza del computo cronologico) rappresentano un Giubileo straordinariamente grande non soltanto per i cristiani, ma indirettamente per l'intera umanità, dato il ruolo di primo piano che il cristianesimo ha esercitato in questi due millenni. Significativamente il computo del decorso degli anni si fa quasi dappertutto a partire dalla venuta di Cristo nel mondo, la quale diventa così il centro anche del calendario oggi più utilizzato. Non è forse anche questo un segno del contributo impareggiabile recato alla storia universale dalla nascita di Gesù di Nazaret?
16. Il termine « Giubileo » parla di gioia; non soltanto di gioia interiore, ma di un giubilo che si manifesta all'esterno, poiché la venuta di Dio è un evento anche esteriore, visibile, udibile e tangibile, come ricorda san Giovanni (cf. 1 Gv 1, 1). È giusto quindi che ogni attestazione di gioia per tale venuta abbia una sua manifestazione esteriore. Essa sta ad indicare che la Chiesa gioisce per la salvezza. Invita tutti alla gioia e si sforza di creare le condizioni, affinché le energie salvifiche possano essere comunicate a ciascuno. Il 2000 segnerà perciò la data del Grande Giubileo.
Quanto al contenuto, questo Grande Giubileo sarà, in un certo senso, uguale ad ogni altro. Ma sarà, al tempo stesso, diverso e di ogni altro più grande. La Chiesa infatti rispetta le misure del tempo: ore, giorni, anni, secoli. Sotto questo aspetto essa cammina al passo con ogni uomo, rendendo consapevole ciascuno di come ognuna di queste misure sia intrisa della presenza di Dio e della sua azione salvifica. In questo spirito la Chiesa gioisce, rende grazie, chiede perdono, presentando suppliche al Signore della storia e delle coscienze umane.
Tra le suppliche più ardenti di questa ora eccezionale, all'avvicinarsi del nuovo Millennio, la Chiesa implora dal Signore che cresca l'unità tra tutti i cristiani delle diverse Confessioni fino al raggiungimento della piena comunione. Esprimo l'auspicio che il Giubileo sia l'occasione propizia di una fruttuosa collaborazione nella messa in comune delle tante cose che ci uniscono e che sono certamente di più di quelle che ci dividono. Quanto gioverebbe in tale prospettiva che, nel rispetto dei programmi delle singole Chiese e Comunità, si raggiungessero intese ecumeniche nella preparazione e realizzazione del Giubileo: esso acquisterà così ancora più forza testimoniando al mondo la decisa volontà di tutti i discepoli di Cristo di conseguire al più presto la piena unità nella certezza che « nulla è impossibile a Dio ».
III
LA PREPARAZIONE DEL GRANDE GIUBILEO
17. Ogni giubileo è preparato nella storia della Chiesa dalla divina Provvidenza. Ciò vale anche per il Grande Giubileo dell'Anno 2000. Convinti di ciò, noi oggi guardiamo con senso di gratitudine non meno che di responsabilità a quanto è avvenuto nella storia dell'umanità a partire dalla nascita di Cristo, e soprattutto agli eventi tra il Mille e il Duemila. Ma in modo tutto particolare ci volgiamo con sguardo di fede a questo nostro secolo, cercandovi ciò che rende testimonianza non solo alla storia dell'uomo, ma anche all'intervento divino nelle umane vicende.
18. In questa prospettiva si può affermare che il Concilio Vaticano II costituisce un evento provvidenziale, attraverso il quale la Chiesa ha avviato la preparazione prossima al Giubileo del secondo Millennio. Si tratta infatti di un Concilio simile ai precedenti, eppure tanto diverso; un Concilio concentrato sul mistero di Cristo e della sua Chiesa ed insieme aperto al mondo. Questa apertura è stata la risposta evangelica all'evoluzione recente del mondo con le sconvolgenti esperienze del XX secolo, travagliato da una prima e da una seconda guerra mondiale, dall'esperienza dei campi di concentramento e da orrendi eccidi. Quanto è successo mostra più che mai che il mondo ha bisogno di purificazione; ha bisogno di conversione.
Si ritiene spesso che il Concilio Vaticano II segni una epoca nuova nella vita della Chiesa. Ciò è vero, ma allo stesso tempo è difficile non notare che l'Assemblea conciliare ha attinto molto dalle esperienze e dalle riflessioni del periodo precedente, specialmente dal patrimonio del pensiero di Pio XII. Nella storia della Chiesa, « il vecchio » e « il nuovo » sono sempre profondamente intrecciati tra loro. Il « nuovo » cresce dal « vecchio », il « vecchio » trova nel « nuovo » una sua più piena espressione. Così è stato per il Concilio Vaticano II e per l'attività dei Pontefici legati all'Assemblea conciliare, iniziando da Giovanni XXIII, proseguendo con Paolo VI e Giovanni Paolo I, fino al Papa attuale.
Ciò che è stato da essi compiuto durante e dopo il Concilio, il magistero non meno che l'azione di ciascuno di loro ha certamente recato un contributo significativo alla preparazione di quella nuova primavera di vita cristiana che dovrà essere rivelata dal Grande Giubileo, se i cristiani saranno docili all'azione dello Spirito Santo.
19. Il Concilio, pur non assumendo i toni severi di Giovanni Battista, quando sulle rive del Giordano esortava alla penitenza ed alla conversione (cf. Lc 3, 1-17), ha manifestato in sé qualcosa dell'antico Profeta, additando con nuovo vigore agli uomini di oggi il Cristo, l'« Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo » (cf. Gv 1, 29), il Redentore dell'uomo, il Signore della storia. Nell'Assise conciliare la Chiesa, proprio per essere pienamente fedele al suo Maestro, si è interrogata sulla propria identità, riscoprendo la profondità del suo mistero di Corpo e di Sposa di Cristo. Ponendosi in docile ascolto della Parola di Dio, ha riaffermato la universale vocazione alla santità; ha provveduto alla riforma della liturgia, « fonte e culmine » della sua vita; ha dato impulso al rinnovamento di tanti aspetti della sua esistenza a livello universale e nelle Chiese locali; si è impegnata per la promozione delle varie vocazioni cristiane, da quella dei laici a quella dei religiosi, dal ministero dei diaconi a quello dei sacerdoti e dei Vescovi; ha riscoperto, in particolare, la collegialità episcopale, espressione privilegiata del servizio pastorale svolto dai Vescovi in comunione col Successore di Pietro. Sulla base di questo profondo rinnovamento, il Concilio si è aperto ai cristiani delle altre Confessioni, agli aderenti ad altre religioni, a tutti gli uomini del nostro tempo. In nessun altro Concilio si è parlato con altrettanta chiarezza dell'unità dei cristiani, del dialogo con le religioni non cristiane, del significato specifico dell'Antica Alleanza e di Israele, della dignità della coscienza personale, del principio della libertà religiosa, delle diverse tradizioni culturali all'interno delle quali la Chiesa svolge il proprio mandato missionario, dei mezzi di comunicazione sociale.
20. Un'enorme ricchezza di contenuti ed un nuovo tono, prima sconosciuto, nella presentazione conciliare di questi contenuti, costituiscono quasi un annuncio di tempi nuovi. I Padri conciliari hanno parlato con il linguaggio del Vangelo, con il linguaggio del Discorso della Montagna e delle Beatitudini. Nel messaggio conciliare Dio è presentato nella sua assoluta signoria su tutte le cose, ma anche come garante dell'autentica autonomia delle realtà temporali.
La miglior preparazione alla scadenza bimillenaria, pertanto, non potrà che esprimersi nel rinnovato impegno di applicazione, per quanto possibile fedele, dell'insegnamento del Vaticano II alla vita di ciascuno e di tutta la Chiesa. Con il Concilio è stata come inaugurata l'immediata preparazione al Grande Giubileo del 2000, nel senso più ampio della parola. Se cerchiamo qualcosa di analogo nella liturgia, si potrebbe dire che l'annuale liturgia dell'Avvento è il tempo più vicino allo spirito del Concilio. L'Avvento ci prepara, infatti, all'incontro con Colui che era, che è e che costantemente viene (cf. Ap 4, 8).
21. Nel cammino di preparazione all'appuntamento del 2000 si inserisce la serie di Sinodi, iniziata dopo il Concilio Vaticano II: Sinodi generali e Sinodi continentali, regionali, nazionali e diocesani. Il tema di fondo è quello dell'evangelizzazione, anzi della nuova evangelizzazione, le cui basi sono state poste dall'Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi di Paolo VI, pubblicata nel 1975 dopo la terza Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi. Questi Sinodi costituiscono già per se stessi parte della nuova evangelizzazione: nascono dalla visione del Concilio Vaticano II sulla Chiesa; aprono un ampio spazio alla partecipazione dei laici, dei quali definiscono la specifica responsabilità nella Chiesa; sono espressione della forza che Cristo ha donato a tutto il Popolo di Dio, facendolo partecipe della propria missione messianica, missione profetica, sacerdotale e regale. Molto eloquenti sono a tale riguardo le affermazioni del secondo capitolo della Costituzione dogmatica Lumen gentium. La preparazione al Giubileo dell'Anno 2000 si attua così, a livello universale e locale, in tutta la Chiesa, animata da una consapevolezza nuova della missione salvifica ricevuta da Cristo. Questa consapevolezza si manifesta con significativa evidenza nelle Esortazioni postsinodali dedicate alla missione dei laici, alla formazione dei sacerdoti, alla catechesi, alla famiglia, al valore della penitenza e della riconciliazione nella vita della Chiesa e dell'umanità e, prossimamente, alla vita consacrata.
22. Specifici compiti e responsabilità, in vista del Grande Giubileo dell'Anno 2000, spettano al ministero del Vescovo di Roma. In qualche modo hanno operato in questa prospettiva tutti i Pontefici del secolo che sta per concludersi. Col programma di rinnovare tutto in Cristo, san Pio X cercò di prevenire i tragici sviluppi che la situazione internazionale di inizio del secolo andava maturando. La Chiesa era consapevole di dover agire in modo deciso per favorire e difendere i beni così fondamentali della pace e della giustizia, di fronte all'affermarsi nel mondo contemporaneo di tendenze opposte. I Pontefici del periodo preconciliare si mossero in tal senso con grande impegno, ciascuno da una propria angolatura particolare: Benedetto XV si trovò di fronte alla tragedia della prima guerra mondiale; Pio XI dovette misurarsi con le minacce dei sistemi totalitari o non rispettosi della libertà umana in Germania, in Russia, in Italia, in Spagna e, prima ancora, in Messico. Pio XII intervenne nei confronti della gravissima ingiustizia rappresentata dal totale disprezzo della dignità umana, quale si ebbe durante la seconda guerra mondiale. Egli diede luminosi orientamenti anche per la nascita di un nuovo assetto mondiale dopo la caduta dei sistemi politici antecedenti.
Nel corso del secolo, inoltre, sulle orme di Leone XIII, i Papi hanno ripreso sistematicamente i temi della dottrina sociale cattolica, trattando delle caratteristiche di un giusto sistema nel campo dei rapporti tra lavoro e capitale. Basti pensare all'Enciclica Quadragesimo anno di Pio XI, ai numerosi interventi di Pio XII, alla Mater et Magistra e alla Pacem in terris di Giovanni XXIII, alla Populorum progressio e alla Lettera Apostolica Octogesima adveniens di Paolo VI. Sull'argomento sono ritornato ripetutamente io stesso, dedicando l'Enciclica Laborem exercens in modo specifico all'importanza del lavoro umano, mentre con la Centesimus annus ho inteso ribadire, dopo cento anni, la validità della dottrina della Rerum novarum. Con l'Enciclica Sollicitudo rei socialis avevo precedentemente riproposto in modo sistematico l'intera dottrina sociale della Chiesa sullo sfondo del confronto tra i due blocchi Est-Ovest e del pericolo di una guerra nucleare. I due elementi della dottrina sociale della Chiesa - la tutela della dignità e dei diritti della persona nell'ambito di un giusto rapporto tra lavoro e capitale e la promozione della pace - si sono incontrati in tale testo e si sono fusi insieme. Alla causa della pace intendono inoltre servire gli annuali Messaggi pontifici del 1o gennaio, pubblicati a partire dal 1968, sotto il pontificato di Paolo VI.
23. L'attuale pontificato sin dal primo documento parla del Grande Giubileo in modo esplicito, invitando a vivere il periodo di attesa come « un nuovo avvento ».(9) Su questo tema è ritornato poi molte altre volte, soffermandovisi ampiamente nell'Enciclica Dominum et vivificantem.(10) Di fatto, la preparazione dell'Anno 2000 diventa quasi una sua chiave ermeneutica. Non si vuole certo indulgere ad un nuovo millenarismo, come da parte di qualcuno si fece allo scadere del primo millennio; si vuole invece suscitare una particolare sensibilità per tutto ciò che lo Spirito dice alla Chiesa e alle Chiese (cf. Ap 2, 7 ss.), come pure alle singole persone attraverso i carismi al servizio dell'intera comunità. Si intende sottolineare ciò che lo Spirito suggerisce alle varie comunità, dalle più piccole, come la famiglia, sino alle più grandi come le nazioni e le organizzazioni internazionali, senza trascurare le culture, le civiltà e le sane tradizioni. L'umanità, nonostante le apparenze, continua ad attendere la rivelazione dei figli di Dio e vive di tale speranza come nel travaglio del parto, secondo l'immagine utilizzata con tanta forza da san Paolo nella Lettera ai Romani (cf. 8, 19-22).
24. I pellegrinaggi del Papa sono divenuti un elemento importante nell'impegno di realizzazione del Concilio Vaticano II. Iniziati da Giovanni XXIII, nell'imminenza dell'inaugurazione del Concilio, con un pellegrinaggio significativo a Loreto e ad Assisi (1962), hanno avuto un cospicuo incremento con Paolo VI, il quale, dopo essersi recato anzitutto in Terra Santa (1964), compì altri nove grandi viaggi apostolici che lo portarono a diretto contatto con le popolazioni dei vari continenti.
Il pontificato attuale ha ampliato ancor più tale programma, cominciando dal Messico, in occasione della III Conferenza Generale dell'Episcopato Latino Americano, tenutasi a Puebla nel 1979. Vi è stato poi, in quello stesso anno, il pellegrinaggio in Polonia durante il Giubileo per il 900o anniversario della morte di santo Stanislao vescovo e martire.
Le successive tappe di questo peregrinare sono conosciute. I pellegrinaggi sono diventati sistematici, raggiungendo le Chiese particolari in tutti i continenti, con una cura attenta per lo sviluppo dei rapporti ecumenici con i cristiani delle diverse confessioni. Sotto quest'ultimo profilo rivestono un rilievo particolare le visite in Turchia (1979), in Germania (1980), in Inghilterra e Galles e in Scozia (1982), in Svizzera (1984), nei Paesi Scandinavi (1989) ed ultimamente nei Paesi Baltici (1993).
Al momento presente, tra le mete di pellegrinaggio vivamente desiderate, vi è, oltre a Sarajevo in Bosnia ed Erzegovina, il Medio Oriente: il Libano, Gerusalemme e la Terra Santa. Sarebbe molto eloquente se, in occasione dell'Anno 2000, fosse possibile visitare tutti quei luoghi che si trovano sul cammino del Popolo di Dio dell'Antica Alleanza, a partire dai luoghi di Abramo e di Mosè, attraverso l'Egitto e il Monte Sinai, fino a Damasco, città che fu testimone della conversione di san Paolo.
25. Nella preparazione dell'Anno 2000 hanno un proprio ruolo da svolgere le singole Chiese, che con i loro Giubilei celebrano tappe significative nella storia della salvezza dei diversi popoli. Tra questi Giubilei locali o regionali, eventi di somma grandezza sono stati il millennio del Battesimo della Rus' nel 1988,(11) come pure i cinquecento anni dall'inizio della evangelizzazione nel continente americano (1492). Accanto ad eventi di così vasto raggio, anche se non di portata universale, occorre ricordarne altri non meno significativi: per esempio, il millennio del Battesimo della Polonia nel 1966 e del Battesimo dell'Ungheria nel 1968, insieme con i seicento anni del Battesimo della Lituania nel 1987. Ricorreranno inoltre prossimamente il 1500° anniversario del Battesimo di Clodoveo re dei Franchi (496), e il 1400° anniversario dell'arrivo di sant'Agostino a Canterbury (597), inizio dell'evangelizzazione del mondo anglosassone.
Per quanto riguarda l'Asia, il Giubileo riporterà il pensiero all'apostolo Tommaso, che già all'inizio dell'era cristiana, secondo la tradizione, recò l'annuncio evangelico in India, dove intorno al 1500 sarebbero poi giunti i missionari dal Portogallo. Cade quest'anno il settimo centenario dell'evangelizzazione della Cina (1294) e ci apprestiamo a fare memoria della diffusione dell'opera missionaria nelle Filippine con la costituzione della sede metropolitana di Manila (1595), come del quarto centenario dei primi martiri in Giappone (1597).
In Africa, dove pure il primo annuncio risale all'epoca apostolica, insieme ai 1650 anni della consacrazione episcopale del primo Vescovo degli Etiopi, san Frumenzio (c. 340) e ai cinquecento anni dall'inizio dell'evangelizzazione dell'Angola nell'antico regno del Congo (1491), nazioni quali il Camerun, la Costa d'Avorio, la Repubblica Centroafricana, il Burundi, il Burkina-Faso stanno celebrando i rispettivi centenari dell'arrivo dei primi missionari nei loro territori. Altre nazioni africane lo hanno celebrato da poco.
Come tacere poi delle Chiese d'Oriente, i cui antichi Patriarcati si richiamano così da vicino all'eredità apostolica e le cui venerande tradizioni teologiche, liturgiche e spirituali costituiscono un'enorme ricchezza, che è patrimonio comune di tutta la cristianità? Le molteplici ricorrenze giubilari di queste Chiese e delle Comunità che in esse riconoscono l'origine della loro apostolicità evocano il cammino di Cristo nei secoli e approdano anch'esse al grande Giubileo della fine del secondo millennio.
Vista in questa luce, tutta la storia cristiana ci appare come un unico fiume, al quale molti affluenti recano le loro acque. L'Anno 2000 ci invita ad incontrarci con rinnovata fedeltà e con approfondita comunione sulle sponde di questo grande fiume: il fiume della Rivelazione, del cristianesimo e della Chiesa, che scorre attraverso la storia dell'umanità a partire dall'evento accaduto a Nazaret, e poi a Betlemme duemila anni fa. È veramente il « fiume » che con i suoi « ruscelli », secondo l'espressione del Salmo, « rallegra la città di Dio » (cf. Sal 46 1, 5).
26. Nella prospettiva della preparazione dell'Anno 2000 si situano anche gli Anni Santi dell'ultimo scorcio di questo secolo. È ancora fresco nella memoria l'Anno Santo che il Papa Paolo VI indisse nel 1975; nella stessa linea è stato celebrato successivamente il 1983 come Anno della Redenzione. Un'eco forse ancora maggiore ha avuto l'Anno Mariano 1987-88, molto atteso e vissuto profondamente nelle singole Chiese locali, specialmente nei santuari mariani del mondo intero. L'Enciclica Redemptoris Mater, allora pubblicata, ha posto in evidenza l'insegnamento conciliare sulla presenza della Madre di Dio nel mistero di Cristo e della Chiesa: il Figlio di Dio duemila anni fa si è fatto uomo per opera dello Spirito Santo ed è nato dall'Immacolata Vergine Maria. L'Anno Mariano è stato quasi una anticipazione del Giubileo, contenendo in sé molto di quanto dovrà esprimersi pienamente nell'Anno 2000.
27. È difficile non rilevare che l'Anno Mariano ha preceduto da vicino gli eventi del 1989. Sono eventi che non possono non sorprendere per la loro vastità e specialmente per il loro rapido svolgimento. Gli anni ottanta si erano andati caricando di un pericolo crescente, sulla scia della « guerra fredda »; il 1989 ha portato con sé una soluzione pacifica, che ha avuto quasi la forma di uno sviluppo « organico ». Alla sua luce ci si sente indotti a riconoscere un significato addirittura profetico all'Enciclica Rerum novarum: quanto il Papa Leone XIII vi scrive sul tema del comunismo trova in questi eventi una puntuale verifica, come ho sottolineato nell'Enciclica Centesimus annus.(12) Si poteva del resto percepire che, nella trama di quanto accaduto, era all'opera con premura materna la mano invisibile della Provvidenza: « Si dimentica for se una donna del suo bambino...? » (Is 49, 15).
Dopo il 1989 sono emersi, però, nuovi pericoli e nuove minacce. Nei Paesi dell'ex blocco orientale, dopo la caduta del comunismo, è apparso il grave rischio dei nazionalismi, come mostrano purtroppo le vicende dei Balcani e di altre aree vicine. Ciò costringe le nazioni europee ad un serio esame di coscienza, nel riconoscimento di colpe ed errori storicamente commessi, in campo economico e politico, nei riguardi di nazioni i cui diritti sono stati sistematicamente violati dagli imperialismi sia del secolo scorso che del presente.
28. Attualmente, sulla scia dell'Anno Mariano, stiamo vivendo, in analoga prospettiva, l'Anno della Famiglia, il cui contenuto si collega strettamente col mistero dell'Incarnazione e con la storia stessa dell'uomo. Si può dunque nutrire la speranza che l'Anno della Famiglia, inaugurato a Nazaret, diventi, come l'Anno Mariano, una ulteriore, significativa tappa della preparazione al Grande Giubileo.
In tale prospettiva ho indirizzato una Lettera alle Famiglie, nella quale ho inteso riproporre la sostanza dell'insegnamento ecclesiale sulla famiglia portandolo, per così dire, all'interno di ogni focolare domestico. Nel Concilio Vaticano II la Chiesa ha riconosciuto come uno dei suoi compiti quello di valorizzare la dignità del Matrimonio e della famiglia.(13) L'Anno della Famiglia intende contribuire all'attuazione del Concilio in questa dimensione. È perciò necessario che la preparazione al Grande Giubileo passi, in un certo senso, attraverso ogni famiglia. Non è stato forse attraverso una famiglia, quella di Nazaret, che il Figlio di Dio ha voluto entrare nella storia dell'uomo?
IV
LA PREPARAZIONE IMMEDIATA
29. Sullo sfondo di questo vasto panorama sorge la domanda: si può ipotizzare uno specifico programma di iniziative per la preparazione immediata del Grande Giubileo? Per la verità, quanto sopra si è detto già presenta alcuni elementi di un tale programma.
Una previsione più dettagliata di iniziative « ad hoc », per non essere artificiale e di difficile applicazione nelle singole Chiese, che vivono in condizioni così diversificate, deve risultare da una consultazione allargata. Consapevole di ciò, ho voluto interpellare al riguardo i Presidenti delle Conferenze Episcopali e, in particolare, i Padri Cardinali.
Sono riconoscente ai venerati Membri del Collegio Cardinalizio che, riuniti in Concistoro Straordinario il 13 e 14 giugno 1994, hanno elaborato in merito numerose proposte ed hanno indicato utili orientamenti. Ugualmente ringrazio i Fratelli nell'Episcopato, i quali in vario modo non hanno mancato di farmi pervenire apprezzati suggerimenti, che ho ben tenuto presenti nello stendere questa mia Lettera Apostolica.
30. Una prima indicazione, emersa con chiarezza dalla consultazione, è quella relativa ai tempi della preparazione. Al 2000 mancano ormai pochi anni: è sembrato opportuno articolare questo periodo in due fasi riservando la fase propriamente preparatoria agli ultimi tre anni. Si è ritenuto infatti che un periodo più lungo avrebbe finito per accumulare eccessivi contenuti, attenuando la tensione spirituale.
Si è giudicato pertanto conveniente avvicinarsi alla storica data con una prima fase di sensibilizzazione dei fedeli su tematiche più generali, per poi concentrare la preparazione diretta e immediata in una seconda fase, quella appunto di un triennio, tutta orientata alla celebrazione del mistero di Cristo Salvatore.
a) Prima fase
31. La prima fase avrà dunque carattere antepreparatorio: dovrà servire a ravvivare nel popolo cristiano la coscienza del valore e del significato che il Giubileo del 2000 riveste nella storia umana. Recando con sé la memoria della nascita di Cristo, esso è intrinsecamente segnato da una connotazione cristologica.
Conformemente all'articolazione della fede cristiana in parola e sacramento, sembra importante unire insieme, anche in questa singolare ricorrenza, la struttura della memoria con quella della celebrazione, non limitandosi a ricordare l'evento solo concettualmente, ma rendendone presente il valore salvifico mediante l'attualizzazione sacramentale. La ricorrenza giubilare dovrà confermare nei cristiani di oggi la fede in Dio rivelatosi in Cristo, sostenerne la speranza protesa nell'aspettativa della vita eterna, ravvivarne la carità, operosamente impegnata nel servizio ai fratelli.
Nel corso della prima fase (dal 1994 al 1996) la Santa Sede, grazie anche alla creazione di un apposito Comitato, non mancherà di suggerire alcune linee di riflessione e di azione a livello universale, mentre un analogo impegno di sensibilizzazione sarà svolto, in maniera più capillare, da Commissioni simili nelle Chiese locali. Si tratta, in qualche modo, di continuare quanto realizzato nella preparazione remota e, contemporaneamente, di approfondire gli aspetti più caratteristici dell'evento giubilare.
32. Il Giubileo è sempre un tempo di particolare grazia, « un giorno benedetto dal Signore »: come tale, esso ha - lo si è già rilevato - un carattere gioioso. Il Giubileo dell'Anno 2000 vuol essere una grande preghiera di lode e di ringraziamento soprattutto per il dono dell'Incarnazione del Figlio di Dio e della Redenzione da Lui operata. Nell'anno giubilare i cristiani si porranno con rinnovato stupore di fede di fronte all'amore del Padre, che ha dato il suo Figlio, « perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna » (Gv 3, 16). Essi eleveranno inoltre con intima partecipazione il loro ringraziamento per il dono della Chiesa, fondata da Cristo come « sacramento, cioè segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano ».(14) Il loro ringraziamento si estenderà infine ai frutti di santità maturati nella vita di tanti uomini e donne che in ogni generazione ed in ogni epoca storica hanno saputo accogliere senza riserve il dono della Redenzione.
Tuttavia la gioia di ogni Giubileo è in particolare modo unagioia per la remissione delle colpe, la gioia della conversione. Sembra perciò opportuno mettere nuovamente in primo piano ciò che costituì il tema del Sinodo dei Vescovi nel 1984, cioè la penitenza e la riconciliazione.(15) Quel Sinodo fu un evento estremamente significativo nella storia della Chiesa postconciliare. Esso riprese la questione sempre attuale della conversione (« metanoia »), che è la condizione preliminare per la riconciliazione con Dio tanto delle singole persone quanto delle comunità.
33. È giusto pertanto che, mentre il secondo Millennio del cristianesimo volge al termine, la Chiesa si faccia carico con più viva consapevolezza del peccato dei suoi figli nel ricordo di tutte quelle circostanze in cui, nell'arco della storia, essi si sono allontanati dallo spirito di Cristo e del suo Vangelo, offrendo al mondo, anziché la testimonianza di una vita ispirata ai valori della fede, lo spettacolo di modi di pensare e di agire che erano vere forme di antitestimonianza e di scandalo.
La Chiesa, pur essendo santa per la sua incorporazione a Cristo, non si stanca di fare penitenza: essa riconosce sempre come propri, davanti a Dio e davanti agli uomini, i figli peccatori. Afferma al riguardo la Lumen gentium: « La Chiesa che comprende nel suo seno i peccatori, santa insieme e sempre bisognosa di purificazione, incessantemente si applica alla penitenza e al suo rinnovamento ».(16)
La Porta Santa del Giubileo del 2000 dovrà essere simbolicamente più grande delle precedenti, perché l'umanità, giunta a quel traguardo, si lascerà alle spalle non soltanto un secolo, ma un millennio. È bene che la Chiesa imbocchi questo passaggio con la chiara coscienza di ciò che ha vissuto nel corso degli ultimi dieci secoli. Essa non può varcare la soglia del nuovo millennio senza spingere i suoi figli a purificarsi, nel pentimento, da errori, infedeltà, incoerenze, ritardi. Riconoscere i cedimenti di ieri è atto di lealtà e di coraggio che ci aiuta a rafforzare la nostra fede, rendendoci avvertiti e pronti ad affrontare le tentazioni e le difficoltà dell'oggi.
34. Tra i peccati che esigono un maggiore impegno di penitenza e di conversione devono essere annoverati certamente quelli che hanno pregiudicato l'unità voluta da Dio per il suo Popolo. Nel corso dei mille anni che si stanno concludendo, ancor più che nel primo millennio, la comunione ecclesiale, « talora non senza colpa di uomini d'entrambe le parti »,(17) ha conosciuto dolorose lacerazioni che contraddicono apertamente alla volontà di Cristo e sono di scandalo al mondo.(18) Tali peccati del passato fanno sentire ancora, purtroppo, il loro peso e permangono come altrettante tentazioni anche nel presente. È necessario farne ammenda, invocando con forza il perdono di Cristo.
In quest'ultimo scorcio di millennio, la Chiesa deve rivolgersi con più accorata supplica allo Spirito Santo implorando da Lui la grazia dell'unità dei cristiani. È questo un problema cruciale per la testimonianza evangelica nel mondo. Soprattutto dopo il Concilio Vaticano II sono state molte le iniziative ecumeniche intraprese con generosità ed impegno: si può dire che tutta l'attività delle Chiese locali e della Sede Apostolica abbia assunto in questi anni un respiro ecumenico. Il Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei Cristiani è divenuto uno dei principali centri propulsori del processo verso la piena unità.
Siamo però tutti consapevoli che il raggiungimento di questo traguardo non può essere solo frutto di sforzi umani, pur indispensabili. L'unità, in definitiva, è dono dello Spirito Santo. A noi è chiesto di assecondare questo dono senza indulgere a leggerezze e reticenze nella testimonianza della verità, ma mettendo in atto generosamente le direttive tracciate dal Concilio e dai successivi documenti della Santa Sede, apprezzati anche da molti tra i cristiani non in piena comunione con la Chiesa cattolica.
Ecco, dunque, uno dei compiti dei cristiani incamminati verso l'anno 2000. L'avvicinarsi della fine del secondo millennio sollecita tutti ad un esame di coscienza e ad opportune iniziative ecumeniche, così che al Grande Giubileo ci si possa presentare, se non del tutto uniti, almeno molto più prossimi a superare le divisioni del secondo millennio. È necessario al riguardo - ognuno lo vede - uno sforzo enorme. Bisogna proseguire nel dialogo dottrinale, ma soprattutto impegnarsi di più nella preghiera ecumenica. Essa s'è molto intensificata dopo il Concilio, ma deve crescere ancora coinvolgendo sempre più i cristiani, in sintonia con la grande invocazione di Cristo, prima della Passione: « Padre ... siano anch'essi in noi una cosa sola » (Gv 17, 21).
35. Un altro capitolo doloroso, sul quale i figli della Chiesa non possono non tornare con animo aperto al pentimento, è costituito dall'acquiescenza manifestata, specie in alcuni secoli, a metodi di intolleranza e persino di violenza nel servizio alla verità.
È vero che un corretto giudizio storico non può prescindere da un'attenta considerazione dei condizionamenti culturali del momento, sotto il cui influsso molti possono aver ritenuto in buona fede che un'autentica testimonianza alla verità comportasse il soffocamento dell'altrui opinione o almeno la sua emarginazione. Molteplici motivi spesso convergevano nel creare premesse di intolleranza, alimentando un'atmosfera passionale alla quale solo grandi spiriti veramente liberi e pieni di Dio riuscivano in qualche modo a sottrarsi. Ma la considerazione delle circostanze attenuanti non esonera la Chiesa dal dovere di rammaricarsi profondamente per le debolezze di tanti suoi figli, che ne hanno deturpato il volto, impedendole di riflettere pienamente l'immagine del suo Signore crocifisso, testimone insuperabile di amore paziente e di umile mitezza. Da quei tratti dolorosi del passato emerge una lezione per il futuro, che deve indurre ogni cristiano a tenersi ben saldo all'aureo principio dettato dal Concilio: « La verità non si impone che in forza della stessa verità, la quale penetra nelle menti soavemente e insieme con vigore ».(19)
36. Un serio esame di coscienza è stato auspicato da numerosi Cardinali e Vescovi soprattutto per la Chiesa del presente. Alle soglie del nuovo Millennio i cristiani devono porsi umilmente davanti al Signore per interrogarsi sulle responsabilità che anch'essi hanno nei confronti dei mali del nostro tempo. L'epoca attuale, infatti, accanto a molte luci, presenta anche non poche ombre.
Come tacere, ad esempio, dell'indifferenza religiosa, che porta molti uomini di oggi a vivere come se Dio non ci fosse o ad accontentarsi di una religiosità vaga, incapace di misurarsi con il problema della verità e con il dovere della coerenza? A ciò sono da collegare anche la diffusa perdita del senso trascendente dell'esistenza umana e lo smarrimento in campo etico, persino nei valori fondamentali del rispetto della vita e della famiglia. Una verifica si impone pure ai figli della Chiesa: quanto sono anch'essi toccati dall'atmosfera di secolarismo e relativismo etico? E quanta parte di responsabilità devono anch'essi riconoscere, di fronte alla dilagante irreligiosità, per non aver manifestato il genuino volto di Dio, a causa dei « difetti della propria vita religiosa, morale e sociale »? (20)
Non si può infatti negare che la vita spirituale attraversi, in molti cristiani, un momento di incertezza che coinvolge non solo la vita morale, ma anche la preghiera e la stessa rettitudine teologale della fede. Questa, già messa alla prova dal confronto col nostro tempo, è talvolta disorientata da indirizzi teologici erronei, che si diffondono anche a causa della crisi di obbedienza nei confronti del Magistero della Chiesa.
E quanto alla testimonianza della Chiesa nel nostro tempo, come non provare dolore per il mancato discernimento, diventato talvolta persino acquiescenza, di non pochi cristiani di fronte alla violazione di fondamentali diritti umani da parte di regimi totalitari? E non è forse da lamentare, tra le ombre del presente, la corresponsabilità di tanti cristiani in gravi forme di ingiustizia e di emarginazione sociale? C'è da chiedersi quanti, tra essi, conoscano a fondo e pratichino coerentemente le direttive della dottrina sociale della Chiesa.
L'esame di coscienza non può non riguardare anche la ricezione del Concilio, questo grande dono dello Spirito alla Chiesa sul finire del secondo millennio. In che misura la Parola di Dio è divenuta più pienamente anima della teologia e ispiratrice di tutta l'esistenza cristiana, come chiedeva la Dei Verbum? È vissuta la liturgia come « fonte e culmine » della vita ecclesiale, secondo l'insegnamento della Sacrosanctum Concilium? Si consolida, nella Chiesa universale e in quelle particolari, l'ecclesiologia di comunione della Lumen gentium, dando spazio ai carismi, ai ministeri, alle varie forme di partecipazione del Popolo di Dio, pur senza indulgere a un democraticismo e a un sociologismo che non rispecchiano la visione cattolica della Chiesa e l'autentico spirito del Vaticano II? Una domanda vitale deve riguardare anche lo stile dei rapporti tra Chiesa e mondo. Le direttive conciliari - offerte nella Gaudium et spes e in altri documenti - di un dialogo aperto, rispettoso e cordiale, accompagnato tuttavia da un attento discernimento e dalla coraggiosa testimonianza della verità, restano valide e ci chiamano a un impegno ulteriore.
37. La Chiesa del primo millennio nacque dal sangue dei martiri: «Sanguis martyrum - semen christianorum ».(21) Gli eventi storici legati alla figura di Costantino il Grande non avrebbero mai potuto garantire uno sviluppo della Chiesa quale si verificò nel primo millennio, se non fosse stato per quella seminagione di martiri e per quel patrimonio di santità che caratterizzarono le prime generazioni cristiane. Al termine del secondo millennio, la Chiesa è diventata nuovamente Chiesa di martiri. Le persecuzioni nei riguardi dei credenti - sacerdoti, religiosi e laici - hanno operato una grande semina di martiri in varie parti del mondo. La testimonianza resa a Cristo sino allo spargimento del sangue è divenuta patrimonio comune di cattolici, ortodossi, anglicani e protestanti, come rilevava già Paolo VI nella omelia per la canonizzazione dei martiri ugandesi.(22)
È una testimonianza da non dimenticare. La Chiesa dei primi secoli, pur incontrando notevoli difficoltà organizzative, si è adoperata per fissare in appositi martirologi la testimonianza dei martiri. Tali martirologi sono stati aggiornati costantemente attraverso i secoli, e nell'albo dei santi e dei beati della Chiesa sono entrati non soltanto coloro che hanno versato il sangue per Cristo, ma anche maestri della fede, missionari, confessori, vescovi, presbiteri, vergini, coniugi, vedove, figli.
Nel nostro secolo sono ritornati i martiri, spesso sconosciuti, quasi « militi ignoti » della grande causa di Dio. Per quanto è possibile non devono andare perdute nella Chiesa le loro testimonianze. Come è stato suggerito nel Concistoro, occorre che le Chiese locali facciano di tutto per non lasciar perire la memoria di quanti hanno subito il martirio, raccogliendo la necessaria documentazione. Ciò non potrà non avere anche un respiro ed una eloquenza ecumenica. L'ecumenismo dei santi, dei martiri, è forse il più convincente. La communio sanctorum parla con voce più alta dei fattori di divisione. Il martyrologium dei primi secoli costituì la base del culto dei santi. Proclamando e venerando la santità dei suoi figli e figlie, la Chiesa rendeva sommo onore a Dio stesso; nei martiri venerava il Cristo, che era all'origine del loro martirio e della loro santità. Si è sviluppata successivamente la prassi della canonizzazione, che tuttora perdura nella Chiesa cattolica e in quelle ortodosse. In questi anni si sono moltiplicate le canonizzazioni e le beatificazioni. Esse manifestano la vivacità delle Chiese locali, molto più numerose oggi che nei primi secoli e nel primo millennio. Il più grande omaggio, che tutte le Chiese renderanno a Cristo alla soglia del terzo millennio, sarà la dimostrazione dell'onnipotente presenza del Redentore mediante i frutti di fede, di speranza e di carità in uomini e donne di tante lingue e razze, che hanno seguito Cristo nelle varie forme della vocazione cristiana.
Sarà compito della Sede Apostolica, nella prospettiva del terzo Millennio, aggiornare i martirologi per la Chiesa universale, prestando grande attenzione alla santità di quanti anche nel nostro tempo sono vissuti pienamente nella verità di Cristo. In special modo ci si dovrà adoperare per il riconoscimento dell'eroicità delle virtù di uomini e donne che hanno realizzato la loro vocazione cristiana nel Matrimonio: convinti come siamo che anche in tale stato non mancano frutti di santità, sentiamo il bisogno di trovare le vie più opportune per verificarli e proporli a tutta la Chiesa a modello e sprone degli altri sposi cristiani.
38. Un'ulteriore esigenza sottolineata dai Cardinali e dai Vescovi è quella di Sinodi a carattere continentale, sulla scia di quelli già celebrati per l'Europa e per l'Africa. L'ultima Conferenza Generale dell'Episcopato Latino-americano ha accolto, in sintonia con l'Episcopato Nord-americano, la proposta di un Sinodo per le Americhe sulle problematiche della nuova evangelizzazione in due parti dello stesso continente tanto diverse tra loro per origine e storia, e sulle tematiche della giustizia e dei rapporti economici internazionali, tenendo conto dell'enorme divario tra il Nord e il Sud.
Un Sinodo a carattere continentale sembra opportuno per l'Asia, dove più marcata è la questione dell'incontro del cristianesimo con le antichissime culture e religioni locali. Una grande sfida, questa, per l'evangelizzazione, dato che sistemi religiosi come il buddismo o l'induismo si propongono con un chiaro carattere soteriologico. Esiste allora l'urgente bisogno che, in occasione del Grande Giubileo, si illustri e approfondisca la verità su Cristo come unico Mediatore tra Dio e gli uomini e unico Redentore del mondo, ben distinguendolo dai fondatori di altre grandi religioni, nelle quali pur si trovano elementi di verità, che la Chiesa considera con sincero rispetto, vedendovi un riflesso della Verità che illumina tutti gli uomini.(23) Nel 2000 dovrà risuonare con forza rinnovata la proclamazione della verità: « Ecce natus est nobis Salvator mundi ».
Anche per l'Oceania potrebbe essere utile un Sinodo regionale. In questo Continente esiste, tra l'altro, il dato di popolazioni aborigene, che evocano in modo singolare alcuni aspetti della preistoria del genere umano. In tale Sinodo, dunque, un tema da non trascurare, insieme con altri problemi del Continente, dovrebbe essere l'incontro del cristianesimo con quelle antichissime forme di religiosità, significativamente caratterizzate da un orientamento monoteistico.
b) Seconda fase
39. Sulla base di questa vasta azione sensibilizzatrice sarà poi possibile affrontare la seconda fase, quella propriamente preparatoria. Essa si svilupperà nell'arco di tre anni, dal 1997 al 1999. La struttura ideale per tale triennio, centrato su Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, non può che essere teologica, cioè trinitaria.
I anno: Gesù Cristo
40. Il primo anno, 1997, sarà pertanto dedicato alla riflessione su Cristo, Verbo del Padre, fattosi uomo per opera dello Spirito Santo. Occorre infatti porre in luce il carattere spiccatamente cristologico del Giubileo, che celebrerà l'Incarnazione del Figlio di Dio, mistero di salvezza per tutto il genere umano. Il tema generale, proposto per questo anno da molti Cardinali e Vescovi, è: «Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo, ieri, oggi e sempre » (cf. Eb 13, 8).
Tra i contenuti cristologici prospettati nel Concistoro emergono i seguenti: la riscoperta di Cristo Salvatore ed Evangelizzatore, con particolare riferimento al capitolo quarto del Vangelo di Luca, dove il tema del Cristo mandato ad evangelizzare e quello del Giubileo si intrecciano; l'approfondimento del mistero della sua Incarnazione e della sua nascita dal grembo verginale di Maria; la necessità della fede in Lui per la salvezza. Per conoscere la vera identità di Cristo, occorre che i cristiani, soprattutto nel corso di questo anno, tornino con rinnovato interesse alla Bibbia, « sia per mezzo della sacra liturgia ricca di parole divine, sia mediante la pia lettura, sia per mezzo delle iniziative adatte a tale scopo e di altri sussidi ».(24) Nel testo rivelato, infatti, è lo stesso Padre celeste che ci si fa incontro amorevolmente e si intrattiene con noi manifestandoci la natura del Figlio unigenito e il suo disegno di salvezza per l'umanità.(25)
41. L'impegno di attualizzazione sacramentale sopra accennato potrà far leva, nel corso dell'anno, sulla riscoperta del Battesimo come fondamento dell'esistenza cristiana, secondo la parola dell'Apostolo: « Quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo » (Gal 3, 27). Il Catechismo della Chiesa Cattolica, da parte sua, ricorda che il Battesimo costituisce « il fondamento della comunione tra tutti i cristiani, anche con quanti non sono ancora nella piena comunione con la Chiesa cattolica ».(26) Proprio sotto il profilo ecumenico, questo sarà un anno molto importante per volgere insieme lo sguardo a Cristo unico Signore, nell'impegno di diventare in Lui una cosa sola, secondo la sua preghiera al Padre. La sottolineatura della centralità di Cristo, della Parola di Dio e della fede non dovrebbe mancare di suscitare nei cristiani di altre Confessioni interesse e favorevole accoglienza.
42. Tutto dovrà mirare all'obiettivo prioritario del Giubileo che è il rinvigorimento della fede e della testimonianza dei cristiani. È necessario, pertanto, suscitare in ogni fedele un vero anelito alla santità, un desiderio forte di conversione e di rinnovamento personale in un clima di sempre più intensa preghiera e di solidale accoglienza del prossimo, specialmente quello più bisognoso.
Il primo anno sarà, dunque, il momento favorevole per la riscoperta della catechesi nel suo significato e valore originario di « insegnamento degli Apostoli » (At 2, 42) circa la persona di Gesù Cristo ed il suo mistero di salvezza. Di grande utilità, a questo scopo, si rivelerà l'approfondimento del Catechismo della Chiesa Cattolica, che presenta « con fedeltà ed in modo organico l'insegnamento della Sacra Scrittura, della Tradizione vivente nella Chiesa e nel Magistero autentico, come pure l'eredità spirituale dei Padri, dei santi e delle sante della Chiesa, per permettere di conoscere meglio il mistero cristiano e di ravvivare la fede del popolo di Dio ».(27) Per essere realisti, non si dovrà trascurare di illuminare la coscienza dei fedeli sugli errori riguardo alla persona di Cristo, mettendo nella giusta luce le opposizioni contro di Lui e contro la Chiesa.
43. La Vergine Santa, che sarà presente in modo per così dire « trasversale » lungo tutta la fase preparatoria, verrà contemplata in questo primo anno soprattutto nel mistero della sua divina Maternità. È nel suo grembo che il Verbo si è fatto carne! L'affermazione della centralità di Cristo non può essere dunque disgiunta dal riconoscimento del ruolo svolto dalla sua Santissima Madre. Il suo culto, se ben illuminato, in nessun modo può portare detrimento « alla dignità e all'efficacia di Cristo, unico Mediatore ».(28) Maria infatti addita perennemente il suo Figlio divino e si propone a tutti i credenti come modello di fede vissuta. « La Chiesa, pensando a Lei piamente e contemplandola alla luce del Verbo fatto uomo, penetra con venerazione e più profondamente nell'altissimo mistero dell'Incarnazione e si va ognor più conformando al suo Sposo ».(29)
II anno: lo Spirito Santo
44. Il 1998, secondo anno della fase preparatoria, sarà dedicato in modo particolare allo Spirito Santo ed alla sua presenza santificatrice all'interno della Comunità dei discepoli di Cristo. « Il grande Giubileo, conclusivo del secondo Millennio - scrivevo nell'Enciclica Dominum et vivificantem - (...) ha un profilo pneumatologico, poiché il mistero dell'incarnazione si è compiuto "per opera dello Spirito Santo". L'ha "operato" quello Spirito che - consostanziale al Padre e al Figlio - è, nell'assoluto mistero di Dio uno e trino, la Persona-amore, il dono increato, che è fonte eterna di ogni elargizione proveniente da Dio nell'ordine della creazione, il principio diretto e, in certo senso, il soggetto dell'autocomunicazione di Dio nell'ordine della grazia. Di questa elargizione, di questa divina autocomunicazione il mistero dell'Incarnazione costituisce il culmine ».(30)
La Chiesa non può prepararsi alla scadenza bimillenaria « in nessun altro modo, se non nello Spirito Santo. Ciò che "nella pienezza del tempo" si è compiuto per opera dello Spirito Santo, solo per opera sua può ora emergere dalla memoria della Chiesa ».(31)
Lo Spirito, infatti, attualizza nella Chiesa di tutti i tempi e di tutti i luoghi l'unica Rivelazione portata da Cristo agli uomini, rendendola viva ed efficace nell'animo di ciascuno: « Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto » (Gv 14, 26).
45. Rientra pertanto negli impegni primari della preparazione al Giubileo la riscoperta della presenza e dell'azione dello Spirito, che agisce nella Chiesa sia sacramentalmente, soprattutto mediante la Confermazione, sia attraverso molteplici carismi, compiti e ministeri da Lui suscitati per il bene di essa: « Uno è lo Spirito, il quale per l'utilità della Chiesa distribuisce i suoi vari doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e alle necessità dei servizi (cf. 1 Cor 12, 1-11). Fra questi doni viene al primo posto la grazia degli Apostoli, alla cui autorità lo stesso Spirito sottomette anche i carismatici (cf. 1 Cor 14). Ed è ancora lo Spirito stesso che, con la sua forza e mediante l'intima connessione delle membra, produce e stimola la carità tra i fedeli ».(32)
Lo Spirito è anche per la nostra epoca l'agente principale della nuova evangelizzazione. Sarà dunque importante riscoprire lo Spirito come Colui che costruisce il Regno di Dio nel corso della storia e prepara la sua piena manifestazione in Gesù Cristo, animando gli uomini nell'intimo e facendo germogliare all'interno del vissuto umano i semi della salvezza definitiva che avverrà alla fine dei tempi.
46. In questa prospettiva escatologica, i credenti saranno chiamati a riscoprire la virtù teologale della speranza, di cui hanno « già udito l'annunzio dalla parola di verità del Vangelo » (Col 1, 5). Il fondamentale atteggiamento della speranza, da una parte, spinge il cristiano a non perdere di vista la meta finale che dà senso e valore all'intera sua esistenza e, dall'altra, gli offre motivazioni solide e profonde per l'impegno quotidiano nella trasformazione della realtà per renderla conforme al progetto di Dio.
Come ricorda l'apostolo Paolo: « Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati » (Rm 8, 22-24). I cristiani sono chiamati a prepararsi al Grande Giubileo dell'inizio del terzo millennio rinnovando la loro speranza nell'avvento definitivo del Regno di Dio, preparandolo giorno dopo giorno nel loro intimo, nella Comunità cristiana a cui appartengono, nel contesto sociale in cui sono inseriti e così anche nella storia del mondo.
È necessario inoltre che siano valorizzati ed approfonditi i segni di speranza presenti in questo ultimo scorcio di secolo, nonostante le ombre che spesso li nascondono ai nostri occhi: in campo civile, i progressi realizzati dalla scienza, dalla tecnica e soprattutto dalla medicina a servizio della vita umana, il più vivo senso di responsabilità nei confronti dell'ambiente, gli sforzi per ristabilire la pace e la giustizia ovunque siano state violate, la volontà di riconciliazione e di solidarietà fra i diversi popoli, in particolare nei complessi rapporti fra il Nord ed il Sud del mondo ...; in campo ecclesiale, il più attento ascolto della voce dello Spirito attraverso l'accoglienza dei carismi e la promozione del laicato, l'intensa dedizione alla causa dell'unità di tutti i cristiani, lo spazio dato al dialogo con le religioni e con la cultura contemporanea ...
47. La riflessione dei fedeli nel secondo anno di preparazione dovrà convergere con sollecitudine particolare sul valore dell'unità all'interno della Chiesa, a cui tendono i vari doni e carismi suscitati in essa dallo Spirito. A questo proposito si potrà opportunamente approfondire l'insegnamento ecclesiologico del Concilio Vaticano II contenuto soprattutto nella Costituzione dogmatica Lumen gentium. Questo importante documento ha espressamente sottolineato che l'unità del Corpo di Cristo è fondata sull'azione dello Spirito, è garantita dal ministero apostolico ed è sostenuta dall'amore vicendevole (cf. 1 Cor 13, 1-8). Tale approfondimento catechetico della fede non potrà non portare i membri del Popolo di Dio ad una più matura coscienza delle proprie responsabilità, come pure ad un più vivo senso del valore dell'obbedienza ecclesiale.(33)
48. Maria, che concepì il Verbo incarnato per opera dello Spirito Santo e che poi in tutta la propria esistenza si lasciò guidare dalla sua azione interiore, sarà contemplata e imitata nel corso di quest'anno soprattutto come la donna docile alla voce dello Spirito, donna del silenzio e dell'ascolto, donna di speranza, che seppe accogliere come Abramo la volontà di Dio « sperando contro ogni speranza » (Rm 4, 18). Ella ha portato a piena espressione l'anelito dei poveri di Jahvé, risplendendo come modello per quanti si affidano con tutto il cuore alle promesse di Dio.
III anno: Dio Padre
49. Il 1999, terzo ed ultimo anno preparatorio, avrà la funzione di dilatare gli orizzonti del credente secondo la prospettiva stessa di Cristo: la prospettiva del « Padre che è nei cieli » (cf. Mt 5, 45), dal quale è stato mandato ed al quale è ritornato (cf. Gv 16, 28).
« Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo » (Gv 17, 3). Tutta la vita cristiana è come un grande pellegrinaggio verso la casa del Padre, di cui si riscopre ogni giorno l'amore incondizionato per ogni creatura umana, ed in particolare per il « figlio perduto » (cf. Lc 15, 11-32). Tale pellegrinaggio coinvolge l'intimo della persona allargandosi poi alla comunità credente per raggiungere l'intera umanità.
Il Giubileo, centrato sulla figura di Cristo, diventa così un grande atto di lode al Padre: « Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi ed immacolati al suo cospetto nella carità » (Ef 1, 3-4).
50. In questo terzo anno il senso del « cammino verso il Padre » dovrà spingere tutti a intraprendere, nell'adesione a Cristo Redentore dell'uomo, un cammino di autentica conversione, che comprende sia un aspetto « negativo » di liberazione dal peccato sia un aspetto « positivo » di scelta del bene, espresso dai valori etici contenuti nella legge naturale, confermata e approfondita dal Vangelo. È questo il contesto adatto per la riscoperta e la intensa celebrazione del sacramento della Penitenza nel suo significato più profondo. L'annuncio della conversione come imprescindibile esigenza dell'amore cristiano è particolarmente importante nella società attuale, in cui spesso sembrano smarriti gli stessi fondamenti di una visione etica dell'esistenza umana.
Sarà pertanto opportuno, specialmente in questo anno, mettere in risalto la virtù teologale della carità, ricordando la sintetica e pregnante affermazione della prima Lettera di Giovanni: « Dio è amore » (4, 8.16). La carità, nel suo duplice volto di amore per Dio e per i fratelli, è la sintesi della vita morale del credente. Essa ha in Dio la sua scaturigine e il suo approdo.
51. In questa prospettiva, ricordando che Gesù è venuto ad « evangelizzare i poveri » (Mt 11, 5; Lc 7, 22), come non sottolineare più decisamente l'opzione preferenziale della Chiesa per i poveri e gli emarginati? Si deve anzi dire che l'impegno per la giustizia e per la pace in un mondo come il nostro, segnato da tanti conflitti e da intollerabili disuguaglianze sociali ed economiche, è un aspetto qualificante della preparazione e della celebrazione del Giubileo. Così, nello spirito del Libro del Levitico (25, 8-28), i cristiani dovranno farsi voce di tutti i poveri del mondo, proponendo il Giubileo come un tempo opportuno per pensare, tra l'altro, ad una consistente riduzione, se non proprio al totale condono, del debito internazionale, che pesa sul destino di molte Nazioni. Il Giubileo potrà pure offrire l'opportunità di meditare su altre sfide del momento quali, ad esempio, le difficoltà di dialogo fra culture diverse e le problematiche connesse con il rispetto dei diritti della donna e con la promozione della famiglia e del Matrimonio.
52. Ricordando, inoltre, che « Cristo (...) proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione »,(34) due impegni saranno ineludibili specialmente nel corso del terzo anno preparatorio: quello del confronto con il secolarismo e quello del dialogo con le grandi religioni.
Quanto al primo, sarà opportuno affrontare la vasta tematica della crisi di civiltà, quale è venuta manifestandosi soprattutto nell'Occidente tecnologicamente più sviluppato, ma interiormente impoverito dalla dimenticanza o dall'emarginazione di Dio. Alla crisi di civiltà occorre rispondere con la civiltà dell'amore, fondata sui valori universali di pace, solidarietà, giustizia e libertà, che trovano in Cristo la loro piena attuazione.
53. Per quanto riguarda invece l'orizzonte della coscienza religiosa, la vigilia del Duemila sarà una grande occasione, anche alla luce degli avvenimenti di questi ultimi decenni, per il dialogo interreligioso, secondo le chiare indicazioni date dal Concilio Vaticano II nella Dichiarazione Nostra aetate sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane.
In tale dialogo dovranno avere un posto preminente gli ebrei e i musulmani. Voglia Dio che a sigillo di tali intenzioni si possano realizzare anche incontri comuni in luoghi significativi per le grandi religioni monoteiste.
Si studia, in proposito, come predisporre sia storici appuntamenti a Betlemme, Gerusalemme e sul Sinai, luoghi di grande valenza simbolica, per intensificare il dialogo con gli ebrei e i fedeli dell'Islam, sia incontri con rappresentanti delle grandi religioni del mondo in altre città. Sempre tuttavia si dovrà far attenzione a non ingenerare pericolosi malintesi, ben vigilando sul rischio del sincretismo e di un facile e ingannevole irenismo.
54. In tutto questo ampio orizzonte di impegni, Maria Santissima, figlia prescelta del Padre, sarà presente allo sguardo dei credenti come esempio perfetto di amore, sia verso Dio che verso il prossimo. Come Ella stessa afferma nel cantico del Magnificat, grandi cose ha fatto in lei l'Onnipotente, il cui nome è Santo (cf. Lc 1, 49). Il Padre ha scelto Maria per una missione unica nella storia della salvezza: quella di essere Madre dell'atteso Salvatore. La Vergine ha risposto alla chiamata di Dio con una piena disponibilità: « Eccomi, sono la serva del Signore » (Lc 1, 38). La sua maternità, iniziata a Nazaret e vissuta sommamente a Gerusalemme sotto la Croce, sarà sentita in quest'anno come affettuoso e pressante invito rivolto a tutti i figli di Dio, perché facciano ritorno alla casa del Padre ascoltando la sua voce materna: « Fate quello che Cristo vi dirà » (cf. Gv 2, 5).
c) In vista della celebrazione
55. Un capitolo a sé è costituito dalla celebrazione stessa del Grande Giubileo, che avverrà contemporaneamente in Terra Santa, a Roma e nelle Chiese locali del mondo intero. Soprattutto in questa fase, la fase celebrativa, l'obiettivo sarà la glorificazione della Trinità, dalla quale tutto viene e alla quale tutto si dirige, nel mondo e nella storia. A questo mistero guardano i tre anni di preparazione immediata: da Cristo e per Cristo, nello Spirito Santo, al Padre. In questo senso la celebrazione giubilare attualizza ed insieme anticipa la meta e il compimento della vita del cristiano e della Chiesa in Dio uno e trino.
Essendo però Cristo l'unica via di accesso al Padre, per sottolinearne la presenza viva e salvifica nella Chiesa e nel mondo, si terrà a Roma, in occasione del Grande Giubileo, il Congresso eucaristico internazionale. Il Duemila sarà un anno intensamente eucaristico: nel sacramento dell'Eucaristia il Salvatore, incarnatosi nel grembo di Maria venti secoli fa, continua ad offrirsi all'umanità come sorgente di vita divina.
La dimensione ecumenica ed universale del Sacro Giubileo, potrà opportunamente essere evidenziata da un significativo incontro pancristiano. Si tratta di un gesto di grande valore e per questo, ad evitare equivoci, esso va proposto correttamente e preparato con cura, in atteggiamento di fraterna collaborazione con i cristiani di altre Confessioni e tradizioni, nonché di grata apertura a quelle religioni i cui rappresentanti volessero esprimere la loro attenzione alla gioia comune di tutti i discepoli di Cristo.
Una cosa è certa: ciascuno è invitato a fare quanto è in suo potere, perché non venga trascurata la grande sfida dell'Anno 2000, a cui è sicuramente connessa una particolare grazia del Signore per la Chiesa e per l'intera umanità.
V
« GESÙ CRISTO È LO STESSO (...) SEMPRE »
(Eb 13, 8)
56. La Chiesa perdura da 2000 anni. Come l'evangelico granello di senapa, essa cresce fino a diventare un grande albero, capace di coprire con le sue fronde l'intera umanità (cf. Mt 13, 31-32). Il Concilio Vaticano II nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa, considerando la questione dell'appartenenza alla Chiesa e della ordinazione al Popolo di Dio, così si esprime: « Tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica unità del Popolo di Dio (...) alla quale in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia, infine, tutti gli uomini, che dalla grazia di Dio sono chiamati alla salvezza ».(35) Paolo VI, da parte sua, nell'Enciclica Ecclesiam suam illustra l'universale coinvolgimento degli uomini nel disegno di Dio, sottolineando i vari cerchi del dialogo della salvezza.(36)
Alla luce di tale impostazione si può comprendere meglio anche la parabola evangelica del lievito (cf. Mt 13, 33): Cristo, come lievito divino, penetra sempre più profondamente nel presente della vita dell'umanità diffondendo l'opera della salvezza da Lui compiuta nel Mistero pasquale. Egli avvolge inoltre nel suo dominio salvifico anche tutto il passato del genere umano, cominciando dal primo Adamo.(37) A lui appartiene il futuro: « Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre » (Eb 13, 8). La Chiesa da parte sua « mira a questo solo: a continuare, sotto la guida dello Spirito Paraclito, l'opera stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità, a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere servito ».(38)
57. E perciò, sin dai tempi apostolici, continua senza interruzione la missione della Chiesa all'interno della universale famiglia umana. La prima evangelizzazione interessò soprattutto la regione del Mediterraneo. Nel corso del primo millennio le missioni, partendo da Roma e da Costantinopoli, portarono il cristianesimo nell'intero continente europeo. Contemporaneamente esse si diressero verso il cuore dell'Asia, fino all'India ed alla Cina. La fine del XV secolo, insieme con la scoperta dell'America, segnò l'inizio dell'evangelizzazione in quel grande continente, al sud e al nord. Nello stesso tempo, mentre le coste sub-sahariane dell'Africa accoglievano la luce di Cristo, san Francesco Saverio, patrono delle missioni, giungeva fino al Giappone. A cavallo dei secoli XVIII e XIX, un laico, Andrea Kim, recò il cristianesimo in Corea; in quella stessa epoca l'annuncio evangelico raggiunse la Penisola indocinese, come pure l'Australia e le isole del Pacifico.
Il XIX secolo ha registrato una grande attività missionaria tra i popoli dell'Africa. Tutte queste opere hanno dato frutti che perdurano fino ad oggi. Il Concilio Vaticano II ne dà conto nel Decreto Ad Gentes sull'attività missionaria. Dopo il Concilio la questione missionaria è stata trattata nell'Enciclica Redemptoris missio, relativa ai problemi delle missioni in quest'ultima parte del nostro secolo. La Chiesa anche in futuro continuerà ad essere missionaria: la missionarietà infatti fa parte della sua natura. Con la caduta di grandi sistemi anticristiani nel continente europeo, del nazismo prima e poi del comunismo, si impone il compito urgente di offrire nuovamente agli uomini e alle donne dell'Europa il messaggio liberante del Vangelo.(39) Inoltre, come afferma l'Enciclica Redemptoris missio, si ripete nel mondo la situazione dell'Areopago di Atene, dove parlò san Paolo.(40) Oggi sono molti gli « areopaghi », e assai diversi: sono i vasti campi della civiltà contemporanea e della cultura, della politica e dell'economia. Più l'Occidente si stacca dalle sue radici cristiane, più diventa terreno di missione, nella forma di svariati « areopaghi ».
58. Il futuro del mondo e della Chiesa appartiene alle giovani generazioni che, nate in questo secolo, saranno mature nel prossimo, il primo del nuovo millennio. Cristo attende i giovani, come attendeva il giovane che gli pose la domanda: « Che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna? » (Mt 19, 16). Alla stupenda risposta che Gesù gli diede ho fatto riferimento nella recente Enciclica Veritatis splendor, come, in precedenza, nella Lettera ai giovani di tutto il mondo del 1985. I giovani, in ogni situazione, in ogni regione della terra non cessano di porre domande a Cristo: lo incontrano e lo cercano per interrogarlo ulteriormente. Se sapranno seguire il cammino che Egli indica, avranno la gioia di recare il proprio contributo alla sua presenza nel prossimo secolo e in quelli successivi, sino al compimento dei tempi. « Gesù è lo stesso ieri, oggi e sempre ».
59. In conclusione, tornano opportune le parole della Costituzione pastorale Gaudium et spes: « La Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà all'uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza perché l'uomo possa rispondere alla suprema sua vocazione; né è dato in terra un altro nome agli uomini, in cui possano salvarsi. Crede ugualmente di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine dell'uomo nonché di tutta la storia umana. Inoltre la Chiesa afferma che al di sotto di tutti i mutamenti ci sono molte cose che non cambiano; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli. Così nella luce di Cristo, immagine del Dio invisibile, primogenito di tutte le creature, il Concilio intende rivolgersi a tutti per illustrare il mistero dell'uomo e per cooperare nella ricerca di una soluzione ai principali problemi del nostro tempo ».(41)
Mentre invito i fedeli ad elevare al Signore insistenti preghiere per ottenere i lumi e gli aiuti necessari nella preparazione e nella celebrazione del Giubileo ormai prossimo, esorto i Venerati Fratelli nell'Episcopato e le Comunità ecclesiali a loro affidate ad aprire il cuore ai suggerimenti dello Spirito. Egli non mancherà di muovere gli animi perché si dispongano a celebrare con fede rinnovata e generosa partecipazione il grande evento giubilare.
Affido questo impegno di tutta la Chiesa alla celeste intercessione di Maria, Madre del Redentore. Ella, la Madre del bell'amore, sarà per i cristiani incamminati verso il grande Giubileo del terzo millennio la Stella che ne guida con sicurezza i passi incontro al Signore. L'umile Fanciulla di Nazaret, che duemila anni fa offerse al mondo il Verbo incarnato, orienti l'umanità del nuovo millennio verso Colui che è « la luce vera, quella che illumina ogni uomo » (Gv 1, 9).
Con questi sentimenti a tutti imparto la mia Benedizione.
Dal Vaticano, il 10 novembre dell'anno 1994, diciassettesimo di Pontificato.
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