PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO IN
NIGERIA, BENIN, GABON E GUINEA EQUATORIALE
SANTA MESSA
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Cotonou (Benin), 17 febbraio 1982
Cari fratelli e sorelle.
1. Rendiamo grazie a Dio!
Che la Buona Novella di Gesù sia sempre la vostra gioia! Che il suo Vangelo penetri sempre, con la sua luce e la sua forza, nel profondo dei vostri cuori, delle vostre famiglie, dei vostri costumi, di tutte le realtà della vostra vita di Beninesi! Che esso sia la vostra salvezza! E che vi mantenga molto uniti!
Cari Beninesi, ecco il messaggio che mediteremo. Ma innanzi tutto una parola di cordiale saluto.
Voi siete rinomati per la vostra squisita ospitalità di cui anche io godo questa mattina. Consentitemi allora, a mia volta, di cominciare col salutare gli stranieri vostri ospiti, i nostri amici Togolesi.
Cari figli e figlie del Togo, voi siete venuti appositamente, insieme con i vostri Vescovi, per pregare con il Papa, come due anni fa ad Accra. Leggo però nel vostro sguardo un po’ di tristezza: purtroppo, anche in questa occasione, non potrò rendervi visita. Spero di farlo un giorno, se Dio lo permetterà. Io so che nel vostro Paese avete delle comunità cristiane numerose e piene di vita, e voi siete già molto presenti nei miei pensieri e nel mio cuore. Ditelo ai vostri compatrioti quando sarete ritornati a casa. E l’omelia che rivolgerò ora ai vostri vicini del Benin, si riferirà, in gran parte, anche a voi.
2. “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni” (Mt 28,19).
Cari figli e figlie del Benin, la Buona Novella affidata dal Cristo ai suoi Apostoli il giorno dell’Ascensione, è giunta fino a qui. Il Benin, a sua volta, dopo tanti altri popoli come quello di Roma di cui io sono il Vescovo, come quello della Polonia dove ho le mie radici, ha accolto i messaggeri della Buona Novella. “Quanto son belli i piedi di coloro che recano un lieto annunzio di bene!” dice la Scrittura citata da san Paolo (Rm 10,15). Accadde centoventi anni or sono: i missionari che arrivarono da voi non venivano per conto loro, erano stati inviati. “E come annunzieranno [il Signore], senza essere prima inviati?” (Rm 10,15). Essi erano inviati dalla Chiesa in nome del Cristo che aveva detto: “Andate... [in] tutte le nazioni” (Mt 28,19). Date gratuitamente quanto voi stessi avete gratuitamente ricevuto.
Il vostro Paese aveva vissuto a lungo senza conoscere il Vangelo. “E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi?” (Rm 10,14). E tuttavia, nel suo lento progredire, il Benin non era privo di valori umani, di valori religiosi.
Una saggezza ancestrale presiedeva ai rapporti familiari, alla vita del villaggio e dello Stato. Uno spirito profondamente religioso caratterizzava, e tuttora distingue, gli abitanti del paese. Dio non era lontano da ciascuno di loro perché anch’essi erano della sua stirpe, come affermava san Paolo nei riguardi degli Ateniesi. Erano stati maturati e preparati dalla loro storia millenaria, che si perde nella notte dei tempi, e da prove indubbie. Mistero della Provvidenza, la quale permise in ogni caso che il vero volto del Salvatore fosse loro rivelato per dissipare le ombre e le incertezze, per convertire ciò che, come presso altri popoli adepti di una religione naturale, doveva essere corretto, purificato, elevato per instaurare nei cuori l’amore di Dio e l’amore verso i fratelli quale Gesù aveva insegnato.
Una nuova tappa aveva inizio.
3. Oggi, prima di ogni altra cosa, noi rendiamo grazie a Dio per questi centoventi anni di evangelizzazione. Già il mio predecessore Giovanni XXIII vi indirizzava, 1’8 settembre 1961, per il centenario, una bella Lettera portatavi dal Cardinale Decano del Sacro Collegio. Io faccio mio quel messaggio. Oggi il Papa viene fisicamente in mezzo a voi per celebrare le meraviglie di Dio e confermare il vostro cammino nella fede. Così mi è stato concesso dalla Provvidenza che mi ha salvato dall’attentato del 13 maggio scorso, ed anche di questo voi rendete grazie insieme con me.
Chi potrà mai descrivere gli sforzi segreti, cosparsi di gioia e di sacrifici, dei pionieri del Vangelo e dei loro successori, durante questo periodo di Cristianesimo? Hanno avuto bisogno di molta pazienza, di molta fede, soprattutto di molto amore verso i Beninesi, per farli accedere a poco a poco alla pienezza della vita cristiana e delle responsabilità nella Chiesa. I loro corpi riposano nella terra di questo Paese. “Se il chicco di grano caduto in terra... muore, produce molto frutto” (Gv 12,24). Oggi la Chiesa, simile a un albero dalle radici robuste, è cresciuta, a cominciare dai figli di questo popolo. Ella ha ormai i suoi sacerdoti e i suoi Vescovi, i suoi religiosi indigeni. Ed anche un membro del Sacro Collegio dei Cardinali! Senza rifarne tutta la storia, guardiamo piuttosto la Chiesa del Benin quale si presenta attualmente.
Porre in rilievo gli aspetti positivi che, grazie a Dio, le sono propri e che sono motivi di speranza su cui deve fondarsi il suo progresso, non è cedere al trionfalismo. La Chiesa nel Benin ha conosciuto ritardi, sofferenze, tentazioni e forse abbandoni. Ella continua ad essere lucidamente cosciente delle sue debolezze e deficienze, ma non è evidente che sta ritrovando un vigore nuovo, una nuova vitalità? Un movimento di conversione non cessa di operarsi fra voi, cari fratelli e sorelle del Benin.
La fede diventa più forte e più profonda in molti di voi, e voi ne sentite maggiormente l’esigenza.
Avete imparato e imparerete a conoscerla meglio, a renderne conto. Sapete il valore e la vitale necessità della partecipazione alle celebrazioni religiose. Si vedono anche moltiplicarsi gruppi di preghiera di giovani e di adulti. Le vocazioni sacerdotali – ecco un buon segno – fioriscono più numerose. Parecchi laici acconsentono, a titolo gratuito, ad essere catechisti dei loro fratelli. Altri si preparano ad un apostolato da attuare nel proprio ambiente studentesco, operaio o rurale. Gli strumenti della catechesi sono oggetto di rinnovamento mediante la utilizzazione delle vie più consone alla vostra geniale inclinazione, come il celebre canto regale hanyé. Nello stesso modo, la liturgia è viva, con riti espressivi che nulla tolgono alla dignità e alla preghiera. La testimonianza della carità seguita a manifestarsi in alcuni campi della vita sociale, là dove è possibile, in particolare nelle attività di assistenza sanitaria, negli ospedali e nei dispensari. Insieme con i vostri compatrioti, voi vi preoccupate seriamente di promuovere la giustizia, la pace e la prosperità del vostro Paese.
È necessario dire che una nuova primavera si apre per la Chiesa nel Benin? Io me lo auguro di tutto cuore con voi. Affidiamo tale primavera alla grazia di Dio. Ed io vengo per prima cosa proprio ad incoraggiare questa rinascita, invitandovi a farla crescere, a fortificarla.
4. Tuttavia, fratelli e sorelle del Benin, siate vigilanti!
Una nuova tappa si presenta davanti a voi. L’evangelizzazione deve proseguire, estendersi ad altri e, soprattutto, penetrare più profondamente nel le realtà della vostra vita personale.
Non ci sono forse molti vostri compatrioti che non conoscono ancora e veramente il Vangelo, e che non possono pertanto prestargli fede? Certamente, l’obbedienza alla fede (cf. Rm 10,16) deve sempre compiersi nel mistero della coscienza, immune da ogni costrizione esterna. Ma in concreto, come si può aderire liberamente alla Chiesa di Cristo se non si è avuto occasione di sentir predicare la fede e, specialmente, di vederla vissuta da una comunità di vicini, di amici? Penso in particolare ad alcune regioni del Nord del paese dove tuttora la prima evangelizzazione non è stata realmente effettuata. Sebbene, grazie a Dio, dei missionari stranieri vi diano un aiuto prezioso, spetta sempre più ai Beninesi, in modo speciale ai sacerdoti e alle suore, di andare a portare la Buona Novella ad altri Beninesi, di diocesi in diocesi, ed anche, perché no, al di là dei vostri confini, per esempio ad altri Africani. Io vi esorto a questa condivisione della fede. Il fatto che il Cardinale Gantin sia stato chiamato a Roma, dapprima a servizio della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, quindi per promuovere la giustizia e la pace in tutti i Paesi, non sprona la vostra Chiesa ad essere sempre più missionaria?
5. Ma desidero parlare maggiormente della seconda tappa dell’evangelizzazione. È certo che san Paolo va all’essenziale quando afferma: “... se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo” (cf. Rm 10,9). E questa è la fede nella quale siete stati battezzati. Ma lo stesso Apostolo visitava spesso le comunità da lui fondate, affinché il battesimo, cioè l’iniziazione del cristiano, avesse una risonanza in tutta la vita, ed egli dedicava la seconda parte di ogni sua lettera a descrivere il progresso dei costumi cristiani. Anche Gesù non aveva detto soltanto: “Battezzate”, ma insegnate “loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,20).
Evangelizzare significa dunque pervadere dello spirito delle beatitudini – semplicità di vita, rettitudine, purezza, giustizia, pace, coraggio e, al di sopra di tutto, amore – le relazioni quotidiane delle persone tra di loro e con Dio, quelle tra gruppi, e i rapporti nelle famiglie e nella società; e questo fino a dare un’impronta profonda, dal di dentro, mediante la luce e la forza del Vangelo, alle realtà più intime e più radicate, alle abitudini, ai criteri di giudizio, ai valori determinanti, ai centri d’interesse, alle linee di pensiero, alle fonti d’ispirazione e ai modelli di vita (senza eccettuare le istituzioni che tutto influenzano): in una parola, alle diverse culture (cf. Paolo VI, Evangelii Nuntiandi,19-20). L’innesto del Vangelo fa produrre nuovi frutti all’albero nutrito di linfa africana.
In tal modo gli uomini e le donne acquisiscono la loro autentica personalità umana e cristiana, in coerenza con se stessi, cioè con la propria anima africana.
In questa maniera, per esempio, bisogna estendere l’evangelizzazione dagli individui alle famiglie o, meglio, a tutta la vita familiare, affinché – innestati sulle altre virtù ancestrali quali la solidarietà tra famiglie e la gioia della fecondità – rifulgano sempre maggiormente l’amore personale dei coniugi vissuto nel rispetto, nell’unità e fedeltà assoluta della coppia; la cura dell’educazione dei figli e tutto quanto deriva dal Vangelo, come ho ricordato, in seguito al Sinodo, nella mia ultima esortazione apostolica.
L’evangelizzazione deve inoltre illuminare, purificare ed elevare il complesso dei costumi e delle tradizioni che permeano così fortemente l’animo dei vostri compatrioti, allo scopo di assumerne tutto ciò che può concorrere a una vita più conforme alla fede cristiana e, in definitiva, più profondamente umana. Le coscienze devono essere aiutate con sollecitudine in quest’opera di discernimento: così, affrancati dal timore, i fedeli potranno progredire in pace portando a pieno sviluppo la parte migliore di se stessi, con il patrimonio culturale che essi possono e devono conservare, ma accettando le esigenze e, all’occorrenza, le rotture imposte dal Vangelo. Per conseguenza, i cristiani saranno allora veramente degni del Cristo, mantenendo l’efficacia del sale o del lievito nella pasta, e la loro fede non diventerà insipida nell’ambiguità di un pericoloso sincretismo.
È necessario anche evangelizzare le realtà del lavoro, della vita sociale. I cristiani sapranno criticare con lucidità il materialismo e la preoccupazione smodata del guadagno che rischiano non solo di far perdere loro l’anima (cf. Paolo VI, Populorum Progressio, 40-41), ma anche di deteriorare i rapporti sociali, di favorire l’inganno, di corrompere la coscienza professionale, di far trascurare il senso del dovere – ciascuno limitandosi a reclamare i propri diritti –, di far perdere il senso del bene comune e quello della gratuità nelle relazioni umane, tanto caro ai Beninesi. Sì, i cristiani, a causa della loro fede e per amor di patria, devono essere in prima fila tra quanti vogliono, costi quel che costi, promuovere o ristabilire quei valori senza i quali la società verrebbe a degradarsi.
E diano i cristiani anche l’esempio d’una grande attenzione nei confronti dei poveri, contribuendo validamente perché questi possano avere sempre di che nutrirsi, vestirsi, curarsi, istruirsi e vivere da figli di Dio.
6. Se ne avessi avuto il tempo, mi sarebbe piaciuto rivolgere, a tutte le categorie del Popolo di Dio, incoraggiamenti dettagliati in funzione dei principi di evangelizzazione ora esposti. Ma i vostri Vescovi, che hanno tutta la mia fiducia, avranno cura di sviluppare, nel medesimo spirito, questo colloquio. Sono felice di avere intorno a me Monsignor Christophe Adimou, Arcivescovo di Cotonou, e il suo coadiutore Monsignor Isidore de Souza; Monsignor Lucien Agboka, Vescovo di Abomey, Monsignor Nester Assogba, Vescovo di Parakou, Monsignor Vincent Mensah, Vescovo di Porto Novo, Monsignor Robert Sastre, Vescovo di Lokosso e Monsignor Patient Redois, Vescovo di Natitingou.
Io mi accontento dunque di dirvi insieme con loro:
Cari “sacerdoti”, rinnovate con gioia il dono meraviglioso della vostra vita al Signore. Il popolo cristiano vi venera, vi ama e conta su di voi. Con il Signore, siate quindi i buoni pastori, sempre disponibili e vicini al vostro popolo, sia degli ambienti umili, sia di quelli colti. Siate disposti ad ascoltare molto i laici cristiani la cui fiducia e generosità faranno da trampolino al vostro sacerdozio. Approfondite anche lo studio delle realtà e delle culture che incontrate, per determinare con i vostri Vescovi una pastorale pertinente e il dialogo adatto a tutti coloro che credono in Dio.
Cari “seminaristi”, io mi rallegro di veder aumentare il vostro numero, tanto nel grande Seminario di Ouidah che nei piccoli Seminari d’Adjatokpa, di Djimé, di Parakou: per l’avvenire della Chiesa è di capitale importanza. E, coincidenza provvidenziale, oggi, esattamente sessantotto anni fa, si inaugurava il Seminario di Ouidah che avrei desiderato visitare! Esso ha formato praticamente i maggiori di voi: tutti i sacerdoti, sette Vescovi beninesi – dico sette perché bisogna contare pure il Cardinale Gantin – e i Vescovi del Togo. L’albero si riconosce dai suoi frutti! Voglio rievocare anche le mirabili figure di sacerdoti che hanno raggiunto la casa di Dio: Padre Thomas Moulero, Padre Gabriel Kiti, Padre Dominique Adeyemi, Padre Lucien Hounongbé e il venerato Monsignor Moïse Durand che ci ha lasciati di recente.
Considerate come una grazia insigne il fatto di servire il Popolo di Dio nel sacerdozio, con la sola ambizione di consacrarvi interamente all’urgente opera di evangelizzazione di cui vi ho parlato, e di donare ai vostri compatrioti la vita stessa di Dio.
Che i “diaconi” e i “fratelli” religiosi sappiano anch’essi continuare con zelo il loro ministero o il loro servizio che ha un posto rilevante nella Chiesa.
E a voi, care “Suore”, dico una parola particolare: alla gioia che si irradia così spontanea dal cuore e dal volto dei cristiani beninesi, voi aggiungete palesemente quella di essere libere di amare il Signore con un cuore offerto a lui solo, per condurre una vita semplice, evangelica, che reca i segni della fiducia in Dio, dell’amore verso i poveri, del servizio alla Chiesa, del senso missionario. Che la vostra testimonianza possa risplendere sempre di più.
Non dimentico i “religiosi contemplativi”, Trappisti di Kokoubou e Benedettini di Zagnanado, Trappiste di Parakou e Benedettine di Toffo. Ringraziamo questi uomini e queste donne di pregare giorno e notte per il Benin e per tutta la Chiesa, in quegli alti luoghi di adorazione e d’intercessione che manifestano la gratuità dell’amore di Dio.
Cari “laici cristiani”, padri e madri di famiglia, bambini e giovani, catechisti, animatori di comunità, uomini e donne che esercitate molteplici forme d’apostolato, la Chiesa conta molto su di voi. Io vi esorto a completare la formazione che vi consente di compiere ancora meglio il vostro servizio nella Chiesa. Continuate a testimoniare senza timore la vostra fede che merita il rispetto e la stima di tutti i vostri compatrioti. Assumete, d’accordo con i sacerdoti, le responsabilità necessarie per sostenere la fede, la preghiera e l’azione cristiana dei vostri fratelli e sorelle, e per evangelizzare le realtà concrete e quotidiane che sono la vostra sorte. Penso particolarmente al magnifico ruolo che le donne possono svolgere nella famiglia, in parrocchia e accanto alle altre donne africane.
Infine, che tutti coloro che sono impediti dalla malattia, dalla sofferenza fisica o morale, da prove d’ogni specie, dal carcere, si sentano vicini al cuore del Papa il quale vorrebbe portare loro il conforto che Gesù dava di preferenza agli afflitti. Nessuna delle loro pene è perduta nella comunione dei santi!
7. Prima di terminare vi lascio una consegna, che è l’ultima consegna di Gesù, e quella così sovente ripetuta dagli apostoli Pietro e Paolo: Rimanete molto uniti fra voi. A questo proposito, siate vigilanti, al di dentro e al di fuori. Oh, sì, che tra voi l’unità di fede e di carità abbia sempre il sopravvento sulla diversità dei metodi, sui torti che possono manifestarsi tra cristiani, sulle gelosie, sullo spirito settario che danneggerebbe la Chiesa! E ricordatevi che la Chiesa ha conosciuto, all’inizio della sua storia come adesso, difficoltà e prove d’ogni genere di cui la divisione non è stata la minore. Consentire a lasciar infiltrare tra cristiani fermenti di diffidenza e di contrasto è sempre fatale alle comunità cristiane che non tarderanno a subirne le conseguenze diventando deboli e vulnerabili. Testimoniate, al contrario, in pace e senza odio per nessuno, la vostra fraterna solidarietà. Sarete così uniti fra voi, uniti intorno ai vostri Vescovi, uniti al successore di Pietro, mallevadore della fedeltà e dell’unità.
Per ultimo esorto i cattolici a mantenere i buoni rapporti che hanno con quanti condividono la fede nel Cristo.
8. Tutto questo programma è troppo ambizioso o troppo pesante?
Per le nostre umane forze, potrebbe sembrare di sì. Ma il Cristo ci ha detto nel Vangelo di oggi: “... io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). E la lettera di san Paolo diceva anche: “Chiunque crede in lui non sarà deluso” (Rm 10,11). Se voi sarete fedeli al Cristo, egli non potrà abbandonarvi. Né cesserà di cooperare, misteriosamente, a tutta la vostra opera di evangelizzazione. Non temete. Con lui, siate nella speranza, nella pace, oso dire nella gioia, questa gioia dei cristiani da cui siete già apertamente animati.
Il Cardinale Gantin si rammenta sicuramente, insieme con molti altri Beninesi, delle tre parole-chiave che amava ripetere Monsignor Parisot, suo predecessore nella sede di Cotonou.
Esse non hanno certo la pretesa di sintetizzare il mistero cristiano, tuttavia sono espressione significativa di una profonda vita spirituale: “La Croce, l’Ostia, la Vergine”. “La Croce”: certamente voi la porterete, la portate fin d’ora, ma non da soli, con il Cristo, con tutti i vostri fratelli della Chiesa universale alcuni dei quali sono duramente provati; essa allora diviene sorgente di vita. “La Vergine”: voi la pregate, soprattutto presso la Grotta di nostra Signora d’Assa, e la pregherete ancora meglio; ella guida immancabilmente i suoi figli sul cammino del Figlio suo, e ottiene per loro lo Spirito Santo; veglierà su di voi come veglia sul mio paese. “L’Ostia”: non è forse il vertice del nostro culto? È il Cristo vivente che ora ci riunisce, che si offre per noi, che ci trasmette la sua Vita.
E ni kpa Mawu – E ni kpa Gesù Cristù – E ni kpa Maria (Iddio sia lodato – Sia lodato Gesù Cristo – Lodata sia Maria).
Amen!
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