SANTA MESSA NELLA BASILICA DI SAN FRANCESCO
OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II
Assisi, 12 marzo 1982
1. “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11, 25).
Veniamo qui, cari fratelli, per ripetere con Cristo Signore queste parole, per “benedire il Padre”.
– veniamo per benedirlo a motivo di ciò che egli ha rivelato, otto secoli fa, a un “Piccolo”, al Poverello d’Assisi;
– le cose in cielo e sulla terra, che i filosofi “non avevano nemmeno sognato”;
– le cose nascoste a coloro che sono “sapienti” soltanto umanamente, e soltanto umanamente “intelligenti”;
– queste “cose” il Padre, il Signore del cielo e della terra, ha rivelato a Francesco e mediante Francesco.
Mediante Francesco di Pietro di Bernardone, figlio cioè di un ricco commerciante d’Assisi, che abbandonò tutta l’eredità del padre terreno e sposò “Madonna Povertà”, l’eredità del Padre celeste offertagli in Cristo crocifisso e risorto.
Il primo scopo del nostro pellegrinaggio di quest’anno ad Assisi è di rendere gloria a Dio.
In spirito di venerazione, celebriamo pure insieme l’Eucaristia, noi tutti, Pastori della Chiesa che è in Italia con il Vescovo di Roma, successore di Pietro.
2. “Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te” (Mt 11, 26).
Dopo otto secoli sono rimaste le reliquie e i ricordi. Tutta Assisi è una viva reliquia e una testimonianza dell’uomo. Dell’uomo soltanto? Dell’uomo insolito soltanto?
– Essa è la testimonianza di un particolare compiacimento che il Padre Celeste, per opera del suo Figlio Unigenito, ebbe in questo uomo, in questo “piccolino”, nel “Poverello”, in Francesco che – come pochissimi nel corso della storia della Chiesa e dell’umanità – ha imparato da Cristo ad essere mite e umile di cuore.
Sì, Padre, tale fu il tuo compiacimento. Tanti uomini vengono qui per seguire le orme del tuo compiacimento. Oggi veniamo noi, Vescovi d’Italia.
Siamo venuti per chiudere e, al tempo stesso, coronare in questo anno giubilare di san Francesco d’Assisi l’opera svoltasi durante l’anno intero della visita “ad limina Apostolorum” alla quale la tradizione e la legge della Chiesa hanno invitato il nostro episcopato proprio in questo tempo.
3. Ci troviamo in presenza del Santo, che contemporaneamente è il patrono d’Italia, quindi Colui che tra i numerosi figli e figlie di questa terra, canonizzati e beatificati, unisce in modo particolare l’Italia con la Chiesa. Infatti, compito della Chiesa è di proclamare e realizzare in ogni nazione quella vocazione alla santità che abbiamo dal Padre nello Spirito Santo per opera di Cristo crocifisso e risorto; di questo Cristo, le cui ferite san Francesco d’Assisi portò nel suo corpo: “Difatti io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo” (Gal 6, 17).
Ci troviamo quindi alla sua presenza e meditiamo sulle parole del Vangelo, frase dopo frase:
“Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11, 27).
Ecco, ci troviamo davanti ad un uomo, al quale il Figlio di Dio ha voluto rivelare, in misura particolare e con particolare abbondanza, ciò che gli è stato dato dal Padre per tutti gli uomini, per tutti i tempi. Certo, Francesco fu mandato col Vangelo di Cristo specialmente ai suoi tempi, a trapasso dal XII al XIII secolo, in pieno medioevo italiano, che fu periodo splendido e insieme difficile: ma ogni epoca ne ha conservato in sé qualche cosa. Tuttavia, la missione francescana non si è conclusa allora; essa dura tuttora.
Ed ecco noi, Vescovi e Pastori della Chiesa, ai quali sono affidati il Vangelo e la Chiesa dei nostri tempi – quanto apparentemente splendidi, quanto lontani dal medioevo secondo la misura del progresso terreno! e insieme quanto, quanto difficili! – noi Vescovi e Pastori della Chiesa in questa medesima Italia, preghiamo soprattutto per una cosa. Preghiamo che si compiano su di noi le stesse parole del nostro Maestro, che si sono compiute su san Francesco; che siamo i depositari sicuri della Rivelazione del Figlio! che siamo i fedeli amministratori di ciò che il Padre stesso ha tramandato al Figlio Unigenito, nato dalla Vergine Maria per opera dello Spirito Santo. Che siamo amministratori di questa verità e di quest’amore, di questa parola e di questa salvezza, che l’umanità intera e ogni uomo e ogni nazione hanno in lui e da lui; perché “nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11, 27).
Tale è lo scopo pastorale e apostolico del nostro odierno pellegrinaggio.
4. Ed ecco, Francesco sembra rivolgersi a noi e parlarci con gli accenti di Paolo apostolo: “La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia col vostro spirito, fratelli” (Gal 6, 18)!
Grazie, santo Poverello, per questi auguri con i quali ci stai ricevendo!
Guardando con gli occhi dello spirito
la tua figura
e meditando sulle parole della lettera ai Galati,
con le quali ci parla l’odierna liturgia,
desideriamo imparare da te
questa “appartenenza a Gesù”,
di cui tutta la tua vita costituisce
un così perfetto esempio e modello.
“Quanto a me...
non ci sia altro vanto che nella croce
del Signore nostro Gesù Cristo,
per mezzo della quale il mondo per me
è stato crocifisso come io per il mondo” (Gal 6, 14).
Sentiamo le parole di Paolo,
che pure sono, Francesco,
le tue parole.
Il tuo spirito si esprime in esse.
Gesù Cristo ti ha consentito,
così come un tempo
aveva consentito a quell’Apostolo,
che divenne “strumento eletto” (At 9, 15),
di “vantarsi”, soltanto ed esclusivamente,
nella Croce della nostra Redenzione.
In questo modo sei arrivato al cuore stesso
della conoscenza della verità su Dio,
sul mondo e sull’uomo;
verità che si può vedere
soltanto con gli occhi dell’amore.
Ora che ci troviamo davanti a te,
come successori degli Apostoli,
mandati agli uomini dei nostri tempi
con lo stesso Vangelo della Croce di Cristo,
chiediamo: insegnaci, così come l’apostolo Paolo
ha insegnato a te,
a non avere “altro vanto che
nella Croce del Signore nostro Gesù Cristo”.
Che ciascuno di noi,
con tutta la perspicacia del dono del timore,
della sapienza e della fortezza,
sappia penetrare nella verità
di queste parole circa la Croce
in cui inizia la “nuova creatura”,
circa la Croce che porta costantemente
all’umanità “la pace e la misericordia”.
Mediante la Croce Dio si è espresso fino alla fine nella storia dell’uomo; Dio che è “ricco di misericordia” (Ef 2, 4). Nella Croce è rivelata la gloria dell’Amore disposto a tutto. Soltanto con la Croce nella mano – come un libro aperto – l’uomo può imparare fino in fondo se stesso e la sua dignità.
Egli deve infine, fissando gli occhi sulla Croce, chiedersi: “chi sono” io, uomo, agli occhi di Dio, se egli paga per me e per il mio amore un tale prezzo!
“La Croce sul Calvario – ho scritto nell’enciclica "Redemptor Hominis" – per mezzo della quale Gesù Cristo – uomo, figlio di Maria Vergine, figlio putativo di Giuseppe di Nazaret – "lascia" questo mondo, è al tempo stesso una nuova manifestazione dell’eterna paternità di Dio, il quale in lui si avvicina di nuovo all’umanità, ad ogni uomo, donandogli il tre volte santo "Spirito di Verità" (cf. Gv 16, 13)... Il suo è amore che non indietreggia davanti a nulla di ciò che in lui stesso esige la giustizia.
E per questo il Figlio
"che non aveva conosciuto peccato,
Dio lo trattò da peccato in nostro favore" (2 Cor 5, 21; cf. Gal 3, 13).
Se "trattò da peccato"
Colui che era assolutamente
senza alcun peccato,
lo fece per rivelare l’amore
che è sempre più grande
di tutto il creato,
l’amore che è lui stesso,
perché "Dio è amore" (1 Gv 4, 8.16)” (Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 9).
Proprio così hai guardato le cose
tu, Francesco.
Ti hanno chiamato “Poverello d’Assisi”,
e tu eri e sei rimasto
uno degli uomini che hanno donato
più generosamente agli altri.
Avevi quindi un’enorme ricchezza,
un grande tesoro.
E il segreto della tua ricchezza
si nascondeva nella Croce di Cristo.
Insegna a noi,
Vescovi e Pastori del XX secolo
che si sta avviando verso la fine,
a vantarci similmente nella Croce,
insegnaci questa ricchezza nella povertà
e questo donare nell’abbondanza.
5. Nella prima lettura del libro del Siracide sono ricordate le parole sul sommo sacerdote Simone, figlio di Onia, che “nella sua vita riparò il tempio e nei suoi giorni fortificò il santuario” (Sir 50, 1).
La liturgia riferisce queste parole a Francesco d’Assisi. Egli rimase nella tradizione, nella letteratura e nell’arte come colui che “riparò il tempio... e fortificò il santuario”. Come colui che “premuroso di impedire la caduta del suo popolo, fortificò la città contro un assedio (Sir 50, 4).
La lettura continua a parlare ancora di Simone, figlio di Onia, e noi riferiamo tali parole a Francesco, figlio di Pietro di Bernardone. A lui applichiamo anche questi paragoni:
“Come un astro mattutino fra le nubi, / come la luna nei giorni in cui è piena, / come il sole sfolgorante sul tempio dell’Altissimo, / come l’arcobaleno splendente fra nubi di gloria” (Sir 50, 6-7).
6. Volentieri prendiamo queste parole in prestito dal libro del Siracide per venerare, dopo ottocento anni, Francesco d’Assisi, patrono d’Italia.
Per questo siamo venuti qui noi tutti, Vescovi e Pastori della Chiesa che è in tutta l’Italia insieme col Vescovo di Roma, successore di Pietro.
Tuttavia lo scopo del nostro pellegrinaggio è particolarmente apostolico e pastorale.
Quando sentiamo le parole di Cristo sul giogo che è dolce e sul carico che è leggero, (cf. Mt 11, 30) pensiamo alla nostra missione di Vescovi e al servizio pastorale.
E ripetiamo con fiducia e con gioia le parole del Salmo responsoriale: “Ho detto a Dio: "Sei tu il mio Signore, /senza di te non ho alcun bene". / Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: / nelle tue mani è la mia vita. / Benedico il Signore che mi ha dato consiglio... / Io pongo sempre innanzi a me il Signore, / sta alla mia destra, non posso vacillare” (Sal 15 [16]).
Con gioia abbiamo accettato l’invito di venire qui ad Assisi, sentito in certo modo nelle parole del nostro Signore e Maestro: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò” (Mt 11, 28). Speriamo che esse si attuino su di noi tutti, così come anche quelle ulteriori: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime” (Mt 11, 29).
Così vogliamo, Cristo! Così desideriamo! Con un tale pensiero siamo venuti oggi ad Assisi. Ti ringraziamo per il santo “carico” del sacerdozio e dell’episcopato. Ti ringraziamo per san Francesco, che non si è sentito degno di accettare l’ordinazione sacerdotale. Eppure a lui hai affidato, in modo così eccezionale, la tua Chiesa.
7. Ed ecco, guardando verso Francesco che “povero e umile, entra ricco nel cielo, onorato con inni celesti” (Cant. ad Evang.), vorremmo ancora applicare a lui le parole del libro del Siracide, che tanto bene riassumono la sua celebre visione: “Francesco, abbi premura di impedire la caduta del tuo popolo”!
Francesco! come nella tua vita, così anche adesso, ripara il tempio! Fortifica il santuario!
Per questo preghiamo noi, Pastori della Chiesa, che alla scuola del Concilio Vaticano II abbiamo imparato nuovamente a circondare con una comune sollecitudine la Chiesa, l’Italia e il mondo contemporaneo.
E con le nostre amatissime popolazioni ripetiamo:
“Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: / nelle tue mani è la mia vita. / Benedico il Signore che mi ha dato consiglio;... / Io pongo sempre innanzi a me il Signore”.
Si, fratelli e sorelle, sempre! E così sia.
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