VISITA PASTORALE ALLA DIOCESI DI LIVORNO
SANTA MESSA PER I LIVORNESI
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Livorno, 19 marzo 1982
Cari fratelli e sorelle!
1. Sono qui oggi, insieme con voi per venerare san Giuseppe nel giorno in cui lo venera la Chiesa intera. Essa lo venera come merita quell’ammirevole “uomo giusto”, sposo – dinanzi alla legge – di Maria, Vergine di Nazaret, Madre del Figlio di Dio.
Contemporaneamente la Chiesa venera Giuseppe di Nazaret come “artigiano”, come uomo del lavoro, forse falegname di professione. Egli è stato il solo e l’unico – tra tutti gli uomini del lavoro sulla terra – presso il cui banco di lavoro si presentava ogni giorno Gesù Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo. Proprio lui, Giuseppe, gli ha fatto imparare il lavoro della sua professione, lo ha incamminato in essa, gli ha insegnato a superare le difficoltà e la resistenza dell’elemento “materiale” e a trarre dalla materia informe le opere dell’artigianato umano. È lui, Giuseppe di Nazaret, che ha legato una volta per sempre il Figlio di Dio al lavoro umano. Grazie a lui, lo stesso Cristo appartiene anche al mondo del lavoro e rende testimonianza della sua altissima dignità dinanzi agli occhi di Dio.
Livorno è un grande ambiente di lavoro. Desideriamo proprio qui rendere venerazione a san Giuseppe. Desideriamo esprimere in questo modo che il mondo affidato in compito all’uomo dal Creatore sempre e in ogni luogo della terra, e in mezzo ad ogni società e nazione, è “il mondo del lavoro”. “Mondo del lavoro” vuol dire contemporaneamente “mondo umano”. Proprio su questo “mondo” si è pronunciato il Concilio nella costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, intitolata Gaudium et Spes, che indica il “mondo”, cioè il “mondo umano” (che in misura principale è “il mondo del lavoro”), come il luogo della Chiesa e come oggetto del suo compito pastorale.
La Chiesa è in questo mondo. È mandata a questo mondo, perché “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16); e ciò è avvenuto, si è compiuto nel corso di 30 anni nella casa nazaretana di Giuseppe. Perciò veneriamo oggi in san Giuseppe quel mondo, al quale sono mandati Cristo e la Chiesa.
2. E questo “uomo giusto”, nello stesso tempo, rimane inserito con tutta la sua vita e la sua vocazione nel mistero della Chiesa. Conosciamo la sua vita “nascosta” e la sua vocazione “silenziosa”. La conosciamo sufficientemente dal Vangelo; ma non leggiamo nel Vangelo nessuna parola pronunciata da san Giuseppe di Nazaret. Invece siamo testimoni degli avvenimenti che dicono quanto profondamente Dio stesso consolidò la vocazione di san Giuseppe nel mistero della Chiesa. Ne rendono testimonianza in particolare le letture della Liturgia odierna.
Il mistero della Chiesa, cioè la realtà della Chiesa è nata già in qualche modo dalla promessa che Dio fece ad Abramo, e contemporaneamente da quella fede, con la quale Abramo rispose alla chiamata di Dio. Giustamente, nel giorno di san Giuseppe, leggiamo la seguente frase dalla lettera ai Romani: “Non infatti in virtù della legge fu data ad Abramo e alla sua discendenza la promessa di diventare erede del mondo, ma in virtù della giustizia che viene dalla fede... Eredi quindi si diventa per la fede, perché ciò sia per grazia e così la promessa sia sicura per tutta la discendenza, non soltanto per quella che deriva dalla legge, ma anche per quella che deriva dalla fede di Abramo” (Rm 4,13-16).
E, più avanti, dello stesso Abramo scrive l’Apostolo: egli “è padre di tutti noi. Infatti sta scritto: ti ho costituito padre di molti popoli; è nostro padre davanti al Dio nel quale credette, che dà vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono” (Rm 4,16-17).
Di pari passo con la fede va la speranza. Abramo è “padre” della nostra fede e della nostra speranza: “Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli” (Rm 4,18).
E san Paolo continua: “Ecco perché gli fu accreditato come giustizia” (Rm 4,22).
3. Giustamente rileggiamo queste parole nella Liturgia della festa odierna. Le rileggiamo con il pensiero a san Giuseppe di Nazaret, il quale fu “uomo giusto”, a cui fu accreditato “come giustizia” il fatto che credette nel Dio, “che dà vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono”. Queste parole, scritte da Paolo nei riguardi di Abramo, le rileggiamo oggi con il pensiero a Giuseppe di Nazaret, che “ebbe fede, sperando contro ogni speranza”. Ciò avvenne nel momento decisivo per la storia della salvezza, quando Dio, Padre eterno, compiendo la promessa fatta ad Abramo, “ha mandato il suo Figlio al mondo”. Proprio allora si è manifestata la fede di Giuseppe di Nazaret, e si è manifestata a misura della fede di Abramo. Si è manifestata maggiormente quando il Verbo del Dio Vivente si fece carne in Maria, sposa di Giuseppe, la quale all’annuncio dell’Angelo “si trovò incinta per opera dello Spirito Santo”. E questo avvenne – come scrive l’evangelista Matteo – dopo le nozze di Maria con Giuseppe, ma “prima che andassero a vivere insieme”.
Così, dunque, la fede di san Giuseppe si doveva manifestare dinanzi al mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio.
Proprio allora Giuseppe di Nazaret passò la grande prova della sua fede, così come l’aveva passata Abramo.
È allora che Giuseppe, “uomo giusto”, credette a Dio come a colui che “chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono”.
Infatti, Dio stesso, con la potenza dello Spirito Santo, ha chiamato all’esistenza nel seno della Vergine di Nazaret, Maria, promessa sposa di Giuseppe, l’umanità che fu propria dell’unigenito Figlio di Dio, il Verbo Eterno del Padre.
Egli, Dio, è colui che chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono.
E Giuseppe di Nazaret credette a Dio. Credette così come una volta già aveva fatto Abramo.
Credette quando Dio gli parlò con la parola dell’Angelo del Signore. Queste parole suonano così: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,20-22).
Giuseppe, che prima “non volendo ripudiarla, decise di licenziarla in segreto” (Mt 1,19), ora “fece come gli aveva ordinato l’Angelo del Signore” (Mt 1,24).
Prese con sé Maria – e Quel che era stato generato in lei.
Si dimostrò così un vero discendente di Abramo secondo la fede. Un discendente privilegiato.
Infatti gli fu dato di diventare il testimone più diretto, e quasi il testimone oculare del compimento della promessa, data una volta ad Abramo e accolta mediante la fede.
Questi “ebbe fede sperando contro ogni speranza” – e Giuseppe credette in egual modo. Egli è stato chiamato con la voce di Dio, perché la speranza della salvezza potesse compiersi nel mondo.
4. La Chiesa vive dalla eredità della fede di Abramo.
La Chiesa è sorta ed esiste perché la promessa data una volta ad Abramo potesse compiersi nel mondo. La Chiesa lega il suo inizio – il compimento della speranza nel mondo – anche con la fede di Giuseppe di Nazaret.
Ciò che spira da tutta la sua figura è la fede, la vera eredità della fede di Abramo. La sua fede è la più vicina somiglianza e analogia con la fede di Maria di Nazaret. Ambedue – Maria e Giuseppe – sono uniti con questo mirabile vincolo. Dinanzi agli uomini, il loro vincolo è quello matrimoniale.
Dinanzi a Dio ed alla Chiesa, sono le nozze nello Spirito Santo.
Mediante queste nozze nella fede sono diventati ambedue, Maria e accanto a lei Giuseppe, i testimoni e dispensatori del mistero, mediante il quale il mondo creato e soprattutto i cuori umani diventano di nuovo dimora del Dio Vivente.
Giuseppe di Nazaret è “uomo giusto”, perché totalmente “vive dalla fede”. È santo, perché la sua fede è veramente eroica.
La Sacra Scrittura parla poco di lui – poco più di quello che leggiamo nella Liturgia di oggi. Non registra neanche una parola che abbia pronunciato Giuseppe, falegname di Nazaret. E tuttavia, anche senza parole, egli dimostra la profondità della sua fede, la sua grandezza.
San Giuseppe è grande con lo spirito. È grande nella fede, non perché pronuncia parole proprie, ma soprattutto perché ascolta le parole del Dio vivente.
Ascolta in silenzio. E il suo cuore persevera incessantemente nella prontezza ad accettare la Verità racchiusa nella parola del Dio vivente. Per accoglierla e compierla con amore.
Perciò, Giuseppe di Nazaret diventa veramente un mirabile testimone del Mistero Divino. Diventa un dispensatore del Tabernacolo, che Dio ha scelto per sé sulla terra per compiere l’opera della salvezza.
5. Guardando oggi con venerazione e con amore la figura di san Giuseppe, dobbiamo in questo sguardo rinnovare la nostra propria fede. Vediamo come la Parola del Dio vivente cade profondamente nell’anima di quell’Uomo – di quell’Uomo giusto.
E noi, sappiamo ascoltare la Parola di Dio? Sappiamo assorbirla con la profondità del nostro “io” umano? Apriamo dinanzi a questo verbo la nostra coscienza?
Oppure – al contrario – ci fermiamo soltanto alla superficie della Parola di Dio? Non le dischiudiamo un più profondo accesso all’anima? Non accogliamo questa Parola nel silenzio della prontezza interiore, così come Giuseppe di Nazaret? Non creiamo le condizioni perché essa possa agire dentro di noi e portare frutti?
Ascoltiamo la Parola di Dio? Come l’ascoltiamo? Leggiamo la Sacra Scrittura? Partecipiamo alla catechesi?
Abbiamo tanto bisogno della fede!
È tanto necessaria la fede all’uomo dei nostri tempi, della difficile epoca odierna!
È tanto necessaria una grande fede!
Proprio oggi una grande fede è necessaria agli uomini, alle famiglie, alle comunità, alla Chiesa.
Ed è proprio per prepararci allo sguardo maturo della fede sui problemi della Chiesa e del mondo contemporaneo che la Provvidenza Divina ci ha dato il Concilio Vaticano II, il suo insegnamento e il suo orientamento.
È necessario che ora, nelle singole comunità che pure sono le Chiese – almeno nelle “Chiese domestiche” –, il lavoro perseveri sull’assimilazione di questo insegnamento.
Bisogna leggere, bisogna ascoltare, e accettare nel silenzio della prontezza interiore quella Parola, che lo Spirito Santo “dice alla Chiesa” dei nostri tempi.
So che in questo senso lavora il Sinodo diocesano della Chiesa in Livorno.
Raccomando oggi a san Giuseppe i frutti di tale lavoro.
6. “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria... perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo (Mt 1,20).
Popolo di Dio! Chiesa livornese!
Non temere di prendere, insieme con Giuseppe di Nazaret, Maria. Non temere di prendere Gesù Cristo, il suo Figlio, in tutta la tua vita.
Non temere di prenderlo in una fede simile alla fede di Giuseppe.
Non temere di prenderlo sotto i tetti delle tue case – così come Giuseppe ha accolto Gesù sotto il tetto della casa nazaretana. Non temere di prendere Cristo nel tuo lavoro quotidiano.
Non temere di prenderlo nel tuo “mondo”.
Allora questo “mondo” sarà veramente “umano”. Diventerà sempre più umano.
Infatti, soltanto il Dio-Uomo può fare il nostro “mondo umano” pienamente “umano”.
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