SANTA MESSA PER I DIPENDENTI DELLA
REVERENDA FABBRICA DI SAN PIETRO
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Domenica, 28 marzo 1982
1. “Se il chicco di grano caduto a terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24).
Cari fratelli, con queste parole di Gesù, riportate dal Vangelo secondo Giovanni e proposteci dalla Liturgia della odierna Quinta Domenica di Quaresima, siamo più da vicino e più decisamente orientati verso la Settimana santa e la celebrazione dei misteri supremi della nostra salvezza. Voi, oggi, terminate la settimana dei vostri annuali Esercizi Spirituali e, insieme all’Arcivescovo Lino Zanini, zelantissimo Delegato della reverenda Fabbrica di san Pietro, ed al Predicatore Monsignor Pietro Parducci, sono lieto di salutarvi e di concludere così la vostra preparazione alla prossima Pasqua.
Ogni anno questa solennità unica ritorna provvidenziale a ricordarci e a farci rivivere il centro della fede cristiana e, certamente, anche voi negli incontri svolti vi siete di nuovo confrontati con i misteri essenziali di questa nostra fede, di cui la morte e la risurrezione di Gesù sono il punto focale, il perno ed il fondamento. E mi auguro che ne abbiate tratto decisioni fattive per la vostra vita individuale, familiare e sociale.
2. Il paragone del chicco di grano, formulato da Gesù, vale innanzitutto per lui stesso. Lui, infatti, è caduto a terra. Lui, soprattutto, è morto, lui, perciò, è carico di frutti abbondanti e saporosi per la salvezza degli uomini, per la nostra salvezza. Davvero quel chicco si è trasformato in spiga, ricca e feconda, perché solo Gesù è il vero frumento che ci nutre e ci sostenta. Lo sentiamo dalle sue stesse labbra nel medesimo Vangelo secondo Giovanni: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete” (Gv 6,35). Egli, cioè, viene incontro alle domande e alle necessità più profonde della nostra anima e della nostra vita. Risponde ai nostri interrogativi; illumina il nostro cammino; moltiplica le nostre energie; in una parola, soddisfa la nostra fame e la nostra sete di vita eterna, ponendoci in una situazione di comunione filiale con Dio.
Ma tutto ciò egli fa mediante la sua morte, che è una morte di croce. Abbiamo anche letto queste sue parole nel Vangelo: “Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me. Questo diceva per indicare di qual morte doveva morire” (Gv 12,33). La nostra salvezza passa per il suo sacrificio. E, in verità, solo una totale donazione di sé fatta con amore possiede la forza di “attirare”, cioè di soggiogare le nostre menti e i nostri cuori, quasi di calamitarci, poiché veramente “non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). Ed è precisamente ciò che ha fatto Gesù per noi.
3. Ma il paragone del chicco di grano vale anche per noi, come per tutti i cristiani. Infatti, le parole di Gesù proseguono così: “Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo” (Gv 12,26). Noi, con il nostro Battesimo, siamo stati tutti posti in una comunione di servizio con Gesù e per Gesù. Ciascun battezzato è chiamato a vivere responsabilmente nella Chiesa come soggetto attivo, nella piena coscienza della sua dignità di Figlio di Dio e dei doveri della sua testimonianza cristiana, secondo un continuo progresso spirituale (cf. Ap 2,19).
La prima Lettura biblica, tratta dal profeta Geremia, ce lo ha ricordato in termini chiarissimi: “Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore... Tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore” (Ger 31,33.34). Ciò è avvenuto per noi con il Battesimo; ma ogni giorno siamo chiamati a rinnovare la nostra identità cristiana, mediante la riaffermazione umile e gioiosa della nostra fede e della nostra adesione ferma e viva al Signore Gesù. Viene spontaneo, di fronte a queste realtà altissime, di chiederci con assoluta sincerità se noi davvero seguiamo Gesù Cristo dovunque vada. “Dove sono io, là sarà anche il mio servo”. Fino a che punto facciamo nostra la sua totale donazione di amore? Fino a che punto dimostriamo il nostro disinteresse per lui, per gli altri, per la Chiesa, come egli lo ha dimostrato con la croce? Infatti, solo con il nostro servizio, che è anche sempre rinuncia, possiamo produrre, come lui, “molto frutto”.
4. Cati fratelli, questi pensieri ci ispira la Parola di Dio nella Liturgia odierna. Cerchiamo di trasformarli in preghiera, perché penetrino sempre di più dentro di noi.
Da parte mia, voglio approfittare dell’occasione per ringraziarvi tutti per il lavoro, nascosto ma preziosissimo, che prestate alle dipendenze della reverenda Fabbrica di san Pietro, per il decoro della grande Basilica che custodisce il “Sepulcrum beati Petri”; e, mentre vi assicuro la mia benevolenza, vi incoraggio paternamente a proseguire sempre con entusiasmo e laboriosità nel vostro impegnativo servizio. E il Signore, di cui invoco la benedizione, vi ricompensi largamente, assistendo sempre con la sua grazia ciascuno di voi, i vostri familiari e tutti i vostri cari.
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