VISITA QUARESIMALE ALLA PARROCCHIA DI SANT’EUGENIO A VALLE GIULIA
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Domenica, 3 marzo 1986
1. Oggi è la terza domenica di Quaresima. Come Mosè quando pascolava il gregge, anche noi siamo chiamati da Dio nel deserto. Dio ci chiama per nome, così come allora ha chiamato lui: “Mosè, Mosè!” (cf. Es 3, 4).
Dio comanda a noi così come ha ordinato a Mosè: “Togliti i sandali dei piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!” (Es 3, 5). Togliti l’incredulità dagli occhi del cuore! Respingi la superbia della mente e della volontà! Il tempo che ti è dato nella liturgia della Chiesa è tempo santo. È tempo forte. È tempo di una particolare presenza di Dio. Dio e Mosè. Dio e noi.
2. Chi è Dio? La Quaresima ordina ai nostri pensieri e alla nostra coscienza di ritornare a questo Dio, che si è fatto conoscere a Mosè nel deserto. Egli è il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe. È il Dio dell’infinita maestà, il quale cerca, nello stesso tempo, l’uomo per stipulare con lui un’alleanza.
Ecco, egli si rivela sotto forma del roveto che ardeva, nel fuoco che si consumava. L’Assoluto dell’Esistenza (cf. Es 3, 2) e dell’Amore si rivela agli occhi di Mosè in forma di roveto ardente, un roveto che arde e non si consuma. Dio trascendente. L’uomo non può guardarlo a occhio nudo vivendo qui sulla terra. Mosè vela il suo viso, perché aveva paura di guardare verso Dio (cf. Es 3, 6), e sente la voce: “Non avvicinarti!” (Es 3, 4). Nello stesso tempo egli è attratto lentamente verso colui che parla del roveto ardente, ne è tutto rapito. È invaso, fino in fondo, dalla sua presenza.
3. Nel cuore della liturgia della Quaresima ci viene annunciato il mistero dell’infinita santità di Dio, della quale Mosè è diventato un testimone particolare. Questo mistero deve accompagnarci durante tutti i giorni della Quaresima, fino agli ultimi, allorché la santità e l’amore verranno proclamati “fino alla fine” (cf. Gv 13, 1) mediante la croce e la risurrezione di Cristo.
Tuttavia, perché la realtà pasquale possa portare pienamente i suoi frutti nel nostro cuore e nella nostra coscienza, è necessario, nel corso della Quaresima, un incontro con Dio, come quello che Mosè sperimentò ai piedi del monte Oreb.
4. Chi è Dio che parla con l’uomo ai piedi di questo monte? Mosè chiede il suo nome e sente la risposta: “Io sono colui che sono!” (Es 3, 14). Secondo il pensiero di san Tommaso d’Aquino si è soliti tradurre questa risposta così: “Io sono colui la cui sostanza è l’esistere”. Nello stesso tempo il nome proprio di Dio, nella risposta data a Mosè viene, per così dire, sviluppato dal punto di vista dell’alleanza. Si tratta di un nome che parla dell’intimità di Dio con l’uomo e in particolare con il popolo che egli ha scelto in Abramo e nella sua discendenza come propria eredità: “Io sono colui che libera”.
Nella risposta ricevuta da Mosè è contenuta la sollecitudine di Dio per ogni uomo e per tutto il popolo: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti: conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto e per farlo uscire . . .” (Es 3, 7-8). Dio si rivela a Mosè come Colui che è. Si rivela come Colui che libera. Egli è Creatore e Dio dell’alleanza. È Provvidenza salvifica.
5. Mediante la liturgia dell’odierna domenica la Quaresima mette ogni anno le sue radici in questa teofania a Mosè. Nel profondo della nostra fede deve rivivere la grandezza imperscrutabile del Nome di Dio. Dio che è inaccessibile per i nostri sensi, impenetrabile per la nostra mente, deve diventare presente in noi e dinanzi a noi, così come si è fatto presente in Mosè e dinanzi Mosè.
Questa presenza ha liberato, nello stesso Mosè, una potenza che egli prima non possedeva. Sì, Mosè aveva già sentito profondamente l’oppressione del suo popolo in Egitto e desiderato la sua liberazione dalla schiavitù, ma non era stato capace di realizzarla perché il male si era dimostrato più potente di lui, ed egli dovette salvarsi con la fuga nella terra di Madian.
Adesso Dio lo chiama per nome e gli rivela il proprio Nome. Mediante questo Nome si fa presente in Mosè, presente per operare attraverso di lui. La presenza di Dio liberò in Mosè una nuova potenza. Egli ritornò in Egitto, si presentò davanti al faraone, e vinse la sua resistenza con la forza del Nome di Dio. Vinse anche la debolezza e la pusillanimità del suo popolo. Lo sottrasse alla schiavitù dell’Egitto. Mosè è diventato il servo dell’Esodo, cioè della Pasqua dell’antica alleanza. Dio si è rivelato in questo Esodo come colui che libera: “Io sono il Signore tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal Paese d’Egitto dalla condizione di schiavitù” (Es 20, 2).
6. La Pasqua dell’antica alleanza divenne immagine e preparazione della Pasqua nuova in Cristo. Nel corso della Quaresima ci prepariamo a questa Pasqua della nuova alleanza. Dio che durante la notte della fuga dall’Egitto si è rivelato come Colui che libera dalla schiavitù, desidera rivelarsi come Colui che abbraccia ogni uomo con la potenza salvifica della croce e della risurrezione: Dio che libera l’uomo in Cristo.
Io sono il Signore, tuo Dio, che mediante il sacrificio della croce di Cristo ti faccio uscire dalla condizione di schiavitù. Non sai quale schiavitù è il peccato che genera la morte? Non sai quale schiavitù è ogni uso cattivo della tua libertà creata? L’uomo contemporaneo non vive forse in un’altra, molteplice “schiavitù d’Egitto”, preoccupato di difendere spesso solo le apparenze di una libertà senza limite? È necessario quindi un grande lavoro per restituire alla libertà umana la verità che le è propria! È necessario un grande lavoro per chiamare con il proprio nome qualsiasi peccato! È necessaria una grande grazia per liberarsi da esso. È necessaria questa luce che deriva dalla presenza del Dio vivente, di “Colui che è”, affinché ciascuno di noi possa entrare nella via della libertà per la quale Cristo ci ha liberati.
7. Meditiamo questa verità fondamentale della Quaresima nella vostra parrocchia di Sant’Eugenio. Saluto il cardinale vicario, il card. Paul Poupard, titolare di questa basilica, il vescovo mons. Alessandro Plotti, preposto a questa zona pastorale, e mons. Alvaro del Portillo, prelato dell’Opus Dei. Desidero, altresì, salutare il vostro parroco, don Luigi Tirelli, con i suoi collaboratori.
La parrocchia di Sant’Eugenio è affidata alla cura dei sacerdoti della prelatura dell’Opus Dei. Secondo un’espressione del fondatore mons. Escrivá de Balaguer tali sacerdoti si impegnano “a tirare il carro nella direzione voluta dal vescovo del luogo”, consapevoli che “è gioia grande poter dire: amo mia Madre, la Santa Chiesa” (cf. Escrivà de Balaguer, Cammino, n. 518).
Io vi ringrazio per il vigoroso impegno con cui vi dedicate, in questa comunità, alla realizzazione del programma pastorale della diocesi del Papa. La vostra basilica, come sapete, è stata dedicata al santo pontefice romano Eugenio I in occasione del XXV di episcopato di Pio XII. La pietra di fondazione di questa chiesa, benedetta dallo stesso Pontefice sulla tomba di Pietro, proviene dalle Grotte Vaticane (cf. Pio XII, Discorsi e Radiomessaggi, V, p. 107) per ricordare continuamente a voi, come simbolo perenne, la continuità del magistero, l’unità della Chiesa e il vincolo della fede che vi unisce all’incrollabile fondamento della dottrina degli apostoli.
Io vi chiedo di testimoniare sempre la meravigliosa comunione che vi congiunge intimamente a Cristo mediante il ministero di Pietro, scelto ad essere il fondamento dell’edificazione di tutta la Chiesa e il pastore che pasce in perfetta unità tutto il gregge del Signore.
8. Desidero esprimere il mio compiacimento per la singolare cura che dedicate ai corsi di dottrina cristiana per adulti e alle lezioni di teologia, dogmatica e morale, di esegesi biblica e di studio sui documenti pontifici. Tali corsi, che so ben frequentati dai fedeli della vostra e di altre parrocchie, costituiscono, insieme con le lezioni proposte dal Circolo culturale, una interessante occasione di
evangelizzazione adattata alle istanze peculiari della nostra epoca ed alle problematiche del nostro tempo.
Devo lodare anche i ritiri mensili offerti con dovizia, in diversi giorni e ore, a tutte le categorie di persone. Quali momenti di vero ristoro per lo spirito, essi possono trasformarsi in occasioni d’esperienza di Dio, nell’intimità di una preghiera simile a quella di Mosè sull’Oreb.
Il mio plauso anche per le iniziative rivolte ai giovani: quelle sportive (la “Polisportiva Valle Giulia”), quelle culturali e soprattutto quelle spirituali e di preghiera, tutte opportunamente disposte nei capaci locali del complesso parrocchiale. Né voglio dimenticare quanto fate per intrattenere gli anziani e per assistere a domicilio anziani e malati. Esprimo altresì la mia viva soddisfazione per le opere di carità (San Vincenzo femminile e maschile) con le quali vi siete impegnati, con efficace costanza, verso altre parrocchie più povere della periferia. In questo modo tra di voi rivive lo spirito dei cristiani delle origini, impegnati dagli apostoli, “ciascuno secondo quello che possedeva” (At 11, 28) per soccorrere i fratelli in difficoltà.
9. Al centro e nel cuore di tutte queste iniziative si riscontra il particolare posto che occupa la vita liturgica e sacramentale. È da questa fonte viva della vita della Chiesa che nasce la comunità parrocchiale, ed è attorno a questo centro che essa rivela il suo fervore. Ho notato perciò con gioia la cura che dedicate alle celebrazioni liturgiche e ad alcuni appuntamenti di preghiera che vi caratterizzano, come la festa dell’Immacolata e il convegno giovanile a Pasqua.
Desidero sottolineare, infine, l’impegno nell’esercizio regolare e fervoroso per il sacramento della riconciliazione. A questo ministero tutti noi sacerdoti dobbiamo dedicarci assiduamente in forza della vocazione che abbiamo di pastori e servitori dei nostri fratelli. Desidero perciò confermare, anche in questa circostanza, la grande forza spirituale che ha per la vita cristiana questo sacramento che avvicina alla santità di Dio, e che, specialmente quando è conferito nella forma di confessione individuale, consente di ritrovare la propria verità interiore turbata dal peccato, aiuta a liberarsi nel più profondo di sé, traccia le vie dell’illuminazione per la coscienza mediante il discernimento e permette di riacquistare, con la chiara visione della volontà di Dio, la gioia perduta, nella consolazione di sentirsi personalmente accolti da un gesto di misericordia.
Con queste analisi dell’attività pastorale della parrocchia di Sant’Eugenio voglio salutare tutti i componenti della comunità parrocchiale. Siete una parte eletta del popolo di Dio che costituisce insieme a tutti gli altri, la Chiesa di Roma, Chiesa apostolica, Chiesa petrina e paolina. Nel nome di questi santi apostoli, nel nome del vostro santo patrono saluto tutti i parrocchiani e ciascuno di voi.
10. Facendo riferimento a Mosè che con la potenza del Nome di Dio ha liberato il popolo dalla schiavitù d’Egitto, e durante quarant’anni lo ha condotto verso la terra promessa, san Paolo ci parla di Cristo. Nel grande avvenimento salvifico dell’antica alleanza, Cristo era già presente. Proprio lui era “quella roccia” (la roccia spirituale), dalla quale gli Israeliti bevvero la “bevanda spirituale” (cf. 1 Cor 10, 3-4). Così come mangiarono il “cibo spirituale” sotto forma di manna nel deserto. La bevanda e il cibo erano figura e preannunzio delle cose future.
Per noi queste “cose future” sono già una realtà attuale. Occorre soltanto che nei nostri cuori e nelle nostre coscienze si faccia viva la stessa presenza di Dio che è stata sperimentata da Mosè ai piedi del monte Oreb. Occorre che accogliamo la potenza liberatrice di Dio in Cristo, il quale vive nei sacramenti della nostra fede, nella Penitenza e nell’Eucaristia. Occorre che beviamo dalla “roccia spirituale”. Questa roccia è Cristo.
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