VISITA PASTORALE A PRATO
CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA IN PIAZZA MERCATALE A PRATO
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Solennità di San Giuseppe - Prato (Firenze)
Mercoledì, 19 marzo 1986
1. “Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo” (Lc 2, 48).
Oggi tutta la Chiesa si raccoglie intorno alla figura di San Giuseppe, di Nazaret, sposo della Vergine Santissima, protettore del Verbo incarnato e protettore della Chiesa.
Gioisco, perché mi è dato di vivere questa solennità insieme con voi, cari fratelli e sorelle! Saluto il vostro Vescovo e lo ringrazio per l’invito che mi ha rivolto ad essere presente tra voi in questa gioiosa circostanza. Questa mattina, come sapete, ho incontrato le varie categorie del mondo del lavoro, e tale cordiale incontro è apparso particolarmente significativo in questa festività liturgica nella quale ricordiamo San Giuseppe, patrono dei lavoratori.
Il mio saluto cordiale si estende a tutti i presenti: alle autorità civili, ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, al popolo cristiano, alle associazioni e ai movimenti cattolici, ai bambini, ai giovani, alle famiglie, agli anziani, ai malati, a tutti!
Sono lieto di essere presente tra voi oggi, anche perché il mio pensiero va, con sentimento di attenzione e di incoraggiamento, al Sinodo diocesano che si sta svolgendo nella sua fase parrocchiale. Possano i suoi lavori procedere e concludersi producendo ampi frutti di bene e di spirituale rinnovamento!
2. La Chiesa guarda a San Giuseppe, “uomo giusto”, come a colui che fu padre di Gesù di Nazaret davanti agli uomini. Perciò nell’odierno Vangelo ascoltiamo le parole: “Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”.
Queste parole sono pronunziate dalla Madre di Gesù dopo tre giorni di ricerca del Dodicenne, nel momento in cui lo trova “nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava” (Lc 2, 46).
Tutti abbiamo presente quest’avvenimento narrato dall’Evangelista Luca. Ce lo propone l’odierna liturgia. È l’unico avvenimento dell’adolescenza di Gesù ricordato dai Vangeli. Avvenimento significativo, dato che quel Pellegrino dodicenne di Nazaret era in grado di trovare un tale ascolto tra i dottori nel tempio gerosolimitano. “E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte” (Lc 2, 47).
Nello stesso tempo, quest’avvenimento getta una particolare luce sul mistero della paternità di Giuseppe di Nazaret. Ecco Maria che rimproverando il Figlio (“Figlio perché ci hai fatto così?”), dice: “tuo padre e io . . . ti cercavamo”. E Gesù risponde: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2, 49). Maria si riferisce alla sollecitudine paterna di Giuseppe. Gesù dodicenne si richiama alla paternità di Dio stesso.
3. La liturgia dell’odierna solennità ci porta a guardare alla paternità dell’uomo, di Giuseppe, attraverso la paternità di Dio stesso.
Perciò il nostro pensiero va alla promessa fatta ad Abramo, la quale costituisce, in un certo senso, l’inizio della grande Alleanza di Dio con l’uomo.
Ecco, Abramo “ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto” (Rm 4, 18).
La paternità di Abramo si basava sulla fede. Si basava sulla speranza “contro ogni speranza”. E mediante la fede egli divenne padre di una numerosa discendenza, non in senso fisico, ma spirituale.
Anche la paternità di Giuseppe di Nazaret è basata sulla fede. È basata sulla fede in modo completo ed esclusivo. Per opera dello Spirito Santo, egli ha creduto nel mistero della concezione del Figlio di Dio nel seno della Vergine che era sua sposa. Per opera dello Spirito Santo - mediante la fede - - divenne testimone della nascita di Dio nella notte di Betlemme. Divenne il custode più premuroso di questo mistero e il custode della Madre e del Figlio. Prima a Betlemme. Poi in Egitto, dove furono costretti a fuggire per evitare la crudeltà di Erode. Infine a Nazaret, dove Gesù cresceva sotto il suo sguardo, e continuamente stava accanto a lui per lavorare al pancone come “figlio del carpentiere” (cf. Mt 13, 55; Mc 6, 3).
Al momento del ritrovamento di Gesù dodicenne nel tempio di Gerusalemme, Maria dice: “tuo padre e io . . . ti cercavamo”. Queste parole tanto “umane” contengono tutta la grandezza del Mistero divino. La paternità verginale di Giuseppe di Nazaret trova in questo mistero la sua conferma. Trova anche incessantemente la sorgente della sua irradiazione spirituale.
Ecco Giuseppe, che, “ebbe fede sperando contro ogni speranza”. La fede di Abramo ha trovato in lui un compimento del tutto speciale.
4. Nella luminosa figura di Giuseppe ci è dato di intravedere il nesso profondo che esiste tra la paternità umana e la paternità divina: quanto quella sia fondata su questa, e da questa tragga la sua vera dignità e grandezza.
Generare un figlio, per l’uomo, è soprattutto un “riceverlo da Dio”: si tratta di accogliere in dono da Dio la creatura che si genera. Per questo i figli appartengono prima a Dio che ai loro stessi genitori: e questa è verità ricca di implicazioni sia per gli uni che per gli altri.
Non sta forse qui la grandezza della missione affidata al padre e alla madre? Essere strumenti del Padre celeste nell’opera formativa dei propri figli. Qui però sta anche il limite invalicabile che i genitori devono rispettare nell’adempimento del loro compito. Essi non potranno mai sentirsi “padroni” dei loro figli, ma dovranno educarli con attenzione costante al rapporto privilegiato che questi hanno col Padre celeste, del quale in definitiva devono “occuparsi” - come Gesù - più che dei loro genitori terreni.
5. La Famiglia di Nazaret è ricca d’insegnamenti non solo per i padri, ma anche per i figli: pei voi, giovani, che vi preparate alla vita nel quotidiano confronto con i vostri genitori. Anche a voi gioverà riflettere su questa dimensione verticale, che collega la paternità umana a quella divina, dalla quale - come sottolinea San Paolo (Ef 3, 15) - “ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome”. Se ora voi sapete riconoscere nella luce di Dio, la ricchezza della missione affidata ai vostri genitori, se vi sforzate di corrispondere con generosità recando il vostro contributo alla vita di famiglia in un atteggiamento di dialogo fiducioso ed esperto, voi vi preparate nel modo migliore al vostro matrimonio di domani ed ai futuri compiti che, quali padri e madri, dovrete a vostra volta assumervi.
6. E si tratta di compiti non facili. Una paternità ed una maternità che vogliono essere degni della persona umana non possono infatti restringersi all’orizzonte della generazione fisica, ma vanno intese anche - e direi soprattutto - in un senso morale e spirituale. Per mettere al mondo un uomo bastano pochi mesi, per crescerlo ed educare non basta una vita. Vi è, infatti, un mondo di valori, umani e soprannaturali, che i genitori devono trasmettere ai figli, perché il loro “dare la vita” abbia una dimensione pienamente umana. E questo richiede tempo, richiede pazienza, richiede una riserva inesauribile di intelligenza, di tatto, di amore. È un cammino che tutta la famiglia è chiamata a compiere insieme, giorno dopo giorno, in una crescita progressiva in cui tutti i membri della famiglia sono interessati: non solo i figli, ma anche i genitori, i quali, vivendo responsabilmente la loro paternità e maternità, giungono a scoprire risvolti inaspettati e meravigliosi del loro amore coniugale.
Sono precisamente questi risvolti più intimi e profondi che lasciano intravedere quell’orizzonte più vasto, grazie al quale l’amore tra uomo e donna trascende l’esperienza nel tempo e si apre alla prospettiva della futura resurrezione gloriosa, dove la generazione fisica sarà evidentemente superata, ma non per questo verrà meno l’unione spirituale dei cuori.
In questa luce acquista una straordinaria eloquenza la figura di San Giuseppe che, nel matrimonio verginale con Maria santissima, ha anticipato in qualche modo l’esperienza definitiva del Cielo, ponendo sotto i nostri occhi le ricchezze di un amore sponsale costruito sulle segrete armonie dell’anima ed alimentato alle inesauribili sorgenti del cuore. È una lezione che si rivela quanto mai importante in questo nostro tempo, nel quale la famiglia non di rado è in crisi proprio perché l’amore su cui si fonda presenta una preoccupante carenza d’anima, nel contesto di una sopravvalutazione della pur importante componente psicologica dell’istinto e dell’attrattiva. Per ridare solidarietà all’istituto familiare occorre innanzitutto provvedere ad immettere nel circuito amoroso della coppia un “supplemento d’anima”.
7. Carissimi, so che le famiglie cristiane di Prato si sforzano di poggiare la loro esistenza sui valori evangelici. È particolarmente sentita in questa vostra comunità ecclesiale l’esigenza di una riscoperta della fede e di un’autentica spiritualità. Conosco l’impegno col quale i pastori e le famiglie stesse lavorano per venire incontro a tale esigenza. I risultati di questo impegno, testimoniati anche dai dati statistici, sono incoraggianti, e ci mostrano una situazione che, per certi aspetti, è avvantaggiata nei confronti della media nazionale. Nella vostra terra si è ancora molto fedeli al matrimonio religioso ed in genere le famiglie sono unite. La quasi totalità dei genitori fa battezzare i figli e li prepara alla Prima Comunione ed alla Cresima.
Le difficoltà semmai vengono dopo: resta sempre difficile poter seguire i ragazzi nel periodo delicato che succede alla Cresima. E perciò, su questo punto, occorrerà approfondire ed intensificare l’impegno educativo, perché è generalmente in questa età che l’adolescente compie le sue grandi scelte, ed è allora estremamente importante che, in questo frangente, egli possa essere aiutato e consigliato da una presenza paterna e materna veramente saggia ed illuminata, fondata sulla fede.
Le luci esistenti nella situazione delle famiglie incoraggiano ad affrontare le ombre, con decisione e sano ottimismo. Occorrerà un maggiore impegno per vincere le tendenze edonistiche e secolaristiche, che anche da voi, come da altre parti, insidiano le fondamenta stesse dell’istituto familiare sia nel senso umano che in quello cristiano. Molto ci si può e ci si deve attendere, per ovviare a tali difficoltà, oltre che dall’opera solerte dei pastori, anche - e direi soprattutto - dall’esempio e dall’interessamento concreto da parte di quelle famiglie - che fortunatamente non mancano - le quali stanno vivendo l’esperienza cristiana del matrimonio in una forma particolarmente impegnata.
Spetta alla famiglia cristiana testimoniare se stessa di fronte al mondo, attuando nel proprio seno quell’“intima comunità di vita e di amore” (Gaudium et Spes, 48), che Dio ha previsto per lei nel suo progetto iniziale. Fedeli di Prato, in questa vostra terra che ai valori della famiglia è ancora singolarmente sensibile, abbiate la fierezza di offrire l’esempio di famiglie veramente unite, nelle quali l’esperienza della comunione sia vissuta ad ogni livello: comunione con Dio nella preghiera e nella pratica liturgica, soprattutto nella partecipazione all’Eucaristia; comunione nel proprio interno fra marito e moglie, tra genitori e figli, tra giovani ed anziani in una autentica circolazione d’amore; comunione con i fratelli, a cominciare dagli inquilini del medesimo stabile fino agli abitanti del quartiere e a quelli della città, in un atteggiamento di rispetto, di cortesia, di disponibilità sempre rinnovata; comunione con la Chiesa, nella quale la famiglia cristiana presenta in sé uno speciale riflesso ed alla quale è chiamata a dare un insostituibile contributo.
Vi sta davanti, in questo vostro impegno, il modello insuperabile della Santa Famiglia, le cui vicende offrono luce di insegnamento e di guida non solo per i momenti della gioia, ma anche per quelli della difficoltà e della prova. La pagina evangelica oggi proposta ne è un esempio.
8. “Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo” (Lc 2, 48).
Una frase tolta dalla storia di San Giuseppe, sposo della Madre di Dio, il quale era dinanzi agli uomini, padre di Gesù di Nazaret, di Gesù Cristo Figlio di Dio.
Una frase tolta dalla storia dell’uomo. Una frase molto “umana” nel suo contenuto. Un rimprovero, ma prima di tutto manifestazione di sollecitudine. La paternità e la maternità si esprimono proprio in questa sollecitudine; nella quotidiana sollecitudine creatrice per l’uomo sin dal momento del suo concepimento nel seno della madre . . . per il bambino, per l’adolescente, per l’adulto. Questa sollecitudine paterna e materna è un riflesso della Provvidenza divina.
Ed ecco un’altra frase tolta dalla storia di Giuseppe di Nazaret: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2, 49).
Queste parole sono state pronunciate da Gesù, ma nello stesso tempo appartengono alla storia di Giuseppe: di Maria e di Giuseppe.
Nell’ambito della sollecitudine del padre e della madre si dischiude nell’anima del bambino lo spazio interiore della vocazione che proviene da Dio stesso: “io devo occuparmi . . .”.
Beata quella paternità, beato quel generare umano, che restituisce l’uomo a Dio: alla paternità di Dio stesso.
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