CANONIZZAZIONE DEL BEATO FRANCESCO ANTONIO FASANI
OMELIA DI GIOVANNI POALO II
Domenica, 13 aprile 1986
1. Nella liturgia dell’odierna domenica, che segue a breve distanza la Pasqua, risuona la breve domanda di Cristo risorto indirizzata a Simon Pietro. La domanda sull’amore: “Mi ami? . . . mi ami tu più di costoro?” (Gv 21, 15).
Questa domanda appartiene al mistero pasquale. La risurrezione di Cristo orienta l’uomo verso ciò che “non muore”, verso ciò che è più forte della morte. Ciò che permane eternamente. Che costituisce la sostanza stessa dell’immortalità. Che appartiene alla vita in Dio. Proprio questo è amore.
Alla domanda di Cristo sull’amore, Simon Pietro risponde: “Certo, Signore, tu lo sai che ti amo”. E la terza volta: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo” (Gv 21, 17).
2. Non è una domanda facile quella sull’amore. E non è facile nemmeno la risposta a questa domanda. Simon Pietro sa di amare, ma si richiama a ciò che Cristo conosce di lui, più che alla testimonianza della propria coscienza.
Non è facile per l’uomo questa domanda, e non è facile la risposta. Eppure si tratta di una domanda fondamentale. Dalla risposta dipende in definitiva il valore della vita umana. Davanti a Dio che è “Amore”, il valore di tutto viene misurato con l’amore. Davanti a Cristo, che “ci ha amato e ha dato se stesso per noi” (cf. Ef 5, 2), il valore della vita umana viene misurato soprattutto con l’amore: col dono di se stessi. L’amore decide in definitiva della santità dell’uomo.
3. È di questo amore che ha dato prova esemplare il francescano conventuale Francesco Antonio Fasani, che oggi la Chiesa annovera ufficialmente nel numero dei santi. Egli ha fatto dell’amore insegnatoci da Cristo il parametro fondamentale della sua esistenza. Il criterio basilare del suo pensiero e della sua azione. Il vertice supremo delle sue aspirazioni. Anche per lui, la “domanda sull’amore” è stata il criterio orientatore di tutta la vita, la quale pertanto non è stata altro che il risultato di una volontà ardente e tenace di rispondere affermativamente - come Pietro - a quella domanda.
Con l’atto di canonizzazione or ora compiuto, la Chiesa stessa, oggi, intende rendere testimonianza a frate Francesco Antonio Fasani, attestando che egli ha veramente e sinceramente risposto di sì a quella cruciale domanda del Signore: una risposta che, prima ancora che dalle sue labbra, è venuta dalla sua vita, interamente dedicata a corrispondere, con eroica fedeltà, all’amore col quale Gesù lo aveva prevenuto dall’eternità. Un amore, quello di Gesù, che - lo abbiamo ricordato nei giorni del Triduo pasquale - non si arrestò davanti al sacrificio supremo della vita. Un amore, quello di frate Francesco Antonio, di totale adesione all’esempio del Signore. Il nuovo Santo ha dimostrato con la sua vita - come gli apostoli - che sempre “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At 5, 29), anche al prezzo di sofferenze e di umiliazioni, che non gli mancarono, al di là della stima e dei consensi che la sua generosità seppe accattivarsi presso i contemporanei. La sua letizia, pertanto - come quella degli apostoli - era motivata dal fatto di soffrire e faticare per il Signore, quando non addirittura di “essere oltraggiato per amore del suo nome” (cf. At 5, 41).
4. San Fasani ci si presenta in modo speciale come modello perfetto di sacerdote e pastore di anime. Per più di 35 anni, agli inizi del 1700, egli si dedicò, nella sua Lucera ma con numerose puntate anche nelle zone circostanti, alle più svariate forme del ministero e dell’apostolato sacerdotale.
Vero amico del suo popolo, fu per tutti fratello e padre, eminente maestro di vita, da tutti ricercato come consigliere illuminato e prudente, guida saggia e sicura nelle vie dello Spirito, difensore e sostenitore coraggioso degli umili e dei poveri. Ne è testimonianza il riverente e affettuoso titolo col quale lo salutarono i contemporanei e che è tuttora familiare al buon popolo di Lucera: egli, allora come oggi è sempre per loro il “Padre Maestro”.
Come religioso, fu un vero “ministro” nel senso francescano, vale a dire il servo di tutti i frati: caritatevole e comprensivo, ma santamente esigente per l’osservanza della Regola, e particolarmente per la pratica della povertà, dando egli stesso inappuntabile esempio di regolare osservanza e di austerità di vita.
In un’epoca caratterizzata da tanta insensibilità dei potenti nei confronti dei problemi sociali, il nostro santo si prodigò con inesausta carità per l’elevazione spirituale e materiale del suo popolo. Le sue preferenze andavano verso i ceti più trascurati e più sfruttati, soprattutto verso gli umili lavoratori dei campi, verso i malati e sofferenti, verso i carcerati. Escogitò geniali iniziative, sollecitando la cooperazione delle classi più abbienti, così da realizzare forme di assistenza concreta e capillare, che parvero precorrere i tempi e preludere alle forme moderne dell’assistenza sociale.
5. “Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo alla croce” (At 5, 30): le parole di san Pietro davanti al Sinedrio di Gerusalemme - le abbiamo ascoltate poc’anzi nella prima Lettura - possono ben applicarsi all’azione pastorale di frate Francesco Antonio Fasani. L’annuncio del mistero pasquale fu il nucleo intorno al quale ruotò tutta la sua predicazione. Non senza sfidare a volte l’ostilità di certi ambienti piuttosto refrattari ai valori della fede cristiana.
Il secolo XVIII, nei cui primi decenni il novello santo visse e operò, è comunemente noto come “il secolo dei lumi”, a motivo del grande onore in cui vi fu tenuta la ragione umana. Non pochi dotti dell’epoca, sulla spinta dell’entusiasmo per le possibilità conoscitive dell’uomo, erano giunti a mettere in questione l’altra sua fondamentale fonte di luce: la fede. In particolare, urtava la loro sensibilità il discorso sull’incapacità dell’uomo a salvarsi con le sole sue forze, non riuscendo di conseguenza ad ammettere la necessità di un Redentore che venisse a liberarlo dalla sua situazione di disperata impotenza.
È chiaro che, in un simile contesto culturale, l’annuncio del mistero di un Dio incarnato, che è morto e risorto per redimere l’uomo dal peccato, poteva presentarsi particolarmente ostico e duro. La “parola della croce” poteva tornare ad apparire, come nei primi tempi del cristianesimo, una vera e propria “stoltezza” (cf. 1 Cor 1, 18). È pensabile che padre Fasani, indicato dal vescovo Antonio Lucci come “dotto in teologia e profondo in filosofia”, sentisse vivamente questo contrasto. Nella sua Lucera, da secoli importante centro di cultura e di arte, i fermenti delle idee illuministe erano certamente presenti e operanti. Forse anche il giovane francescano dovette affrontare l’impatto, venendo a trovarsi al centro delle sorde resistenze degli ambienti ai quali non garbava - come già un tempo ai membri del Sinedrio - che si continuasse a “insegnare nel nome di costui”, cioè di Cristo (cf. At 5, 28).
Sappiamo con certezza che egli fu predicatore impavido e instancabile. Percorse ripetutamente il Molise e la provincia di Foggia, spargendo dappertutto il seme della parola di Dio, fino a meritare il titolo di “apostolo della Daunia”. E nella sua predicazione mai attenuò le esigenze del messaggio, nel desiderio di compiacere agli uomini. Come Pietro e gli altri apostoli, anch’egli infatti era sorretto dalla convinzione che “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At 5, 29).
6. Fedele all’integrità della dottrina, il novello santo fu tuttavia umanissimo verso quanti si rivolgevano a lui per rivelargli le loro debolezze. Sapeva di essere ministro di Colui che era morto e risorto “per dare a Israele la grazia della conversione e il perdono dei peccati” (At 5, 31). Padre Fasani fu un autentico ministro del sacramento della Riconciliazione, un infaticabile apostolo del confessionale, nel quale sedeva per lunghe ore della giornata, accogliendo con infinita pazienza e grande benignità coloro che - di ogni ceto e condizione - venivano per cercare con cuore sincero il perdono di Dio.
Quanti furono coloro che, inginocchiati al suo confessionale, sperimentarono la verità delle parole proclamate oggi nel Salmo responsoriale: “Signore Dio mio, / a te ho gridato e mi hai guarito. / Signore, mi hai fatto risalire dagli inferi, / mi hai dato vita / perché non scendessi nella tomba”. La gratitudine che i penitenti di padre Fasani provarono allora nel segreto del confessionale, si perpetua ora nella gioia che essi condividono con lui in cielo.
7. “L’agnello che fu immolato - abbiamo proclamato nella seconda Lettura (Ap 5, 11) - è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione”. Gloria di Cristo sono i santi, quegli uomini cioè che, per un amore spintosi “al di là di tutto”, hanno trovato la pienezza della Vita rivelata nella risurrezione di Cristo. Con questa pienezza vivono in Dio. E pure a noi indicano le vie della Vita.
San Francesco Antonio Fasani è uno di questi. Ascoltiamo dunque il suo insegnamento. Lo ascoltino in particolare le genti della nobile terra di Puglia, che ben può gloriarsi di questo suo figlio, nel quale essa ravvisa le migliori caratteristiche, che hanno fatto grande il suo popolo: un popolo laborioso e semplice, coraggioso e tenace, un popolo saldamente ancorato ai valori del Vangelo.
Ascoltino il loro illustre concittadino e pratichino ciò che egli ha praticato, per poter essere accolte un giorno con lui in cielo tra le “miriadi di miriadi” che cantano le lodi dell’Agnello “nei secoli dei secoli”.
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