VISITA PASTORALE IN ROMAGNA
CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA PER GLI AGRICOLTORI
NELL’IPPODROMO SAVIO
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Cesena (Forlì) - Venerdì, 9 maggio 1986
1. “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo” (Gv 15, 1). Con queste parole dell’odierno Vangelo desidero salutare tutti i partecipanti a quest’incontro eucaristico.
Nel volgere lo sguardo a questa immensa assemblea, carissimi fratelli e sorelle delle diocesi di Cesena e di Sarsina, e di quelle confinanti di Ravenna e di Cervia, di Forlì e di Bertinoro, di Rimini e di Montefeltro, sale dal mio animo un vivo senso di gratitudine verso il Signore, che è al centro di questa liturgia eucaristica; ma anche a tutti voi rivolgo il mio grazie per questa manifestazione di fede, che oggi mi offrite, e per l’occasione gradita di prendere diretto contatto con le popolazioni operose di questa terra romagnola dalle profonde tradizioni civili e religiose.
Saluto anzitutto il vescovo, mons. Luigi Amaducci, che da nove anni prodiga le sue energie nel governo pastorale delle diocesi unite di Cesena e di Sarsina; con lui saluto anche il suo venerato predecessore, il vescovo emerito mons. Augusto Gianfranceschi e tutti i cari presuli dell’Emilia-Romagna che sono presenti a questa celebrazione eucaristica.
Saluto voi, sacerdoti e religiosi; voi, sorelle consacrate, che nella fedeltà generosa agli impegni assunti davanti a Dio e alla Chiesa, siete il fermento e lo stimolo evangelico in mezzo alle comunità cristiane.
Saluto con rispetto le autorità civili. Esprimo loro il mio ringraziamento e apprezzamento per la loro partecipazione, in cui mi piace vedere un’espressione della loro volontà di collaborare con la Chiesa, nell’ambito dei ruoli propri, per il conseguimento di quegli obiettivi di ordinato progresso umano e sociale, a cui certamente aspirano tutte le persone pensose del vero bene di questa regione.
Ma un saluto particolarmente affettuoso va a voi, Cesenati, che vi siete così generosamente impegnati per preparare questa accoglienza al successore di Pietro, che è venuto in mezzo a voi per confermare la vostra fede cristiana e per esprimervi solidarietà nel vostro sforzo per una società migliore. Tra voi so che ci sono numerosi coltivatori della terra: li saluto con accenti particolari fin d’ora. Un particolare pensiero rivolgo inoltre ai bambini e alle bambine che riceveranno la prima Comunione.
2. “Io sono la vite . . . Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto” (Gv 15, 5). Cristo rimane in noi mediante l’Eucaristia, che ci apprestiamo a celebrare. L’invito di Gesù a rimanere in lui richiama l’altra sua parola, pronunciata nel contesto del grande discorso sul “pane della vita”: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui” (Gv 6, 56). Questo passo parallelo ci mostra come il simbolo della vite abbia pure un significato eucaristico e che quindi il rimanere in Gesù-vite si realizza mediante l’assunzione di lui come cibo. L’Eucaristia è appunto Gesù che rimane in mezzo a noi in modo vero e reale, anche se a noi appare sotto i segni sacramentali del pane e del vino. Essi, è vero, non ci permettono la gioia della sua visione sensibile, ma ci offrono la sicurezza della sua effettiva presenza e il vantaggio della sua moltiplicabilità in tutti i luoghi e in tutti i tempi. L’Eucaristia è così il punto privilegiato dell’incontro dell’amore di Cristo verso di noi: “Rimanete nel mio amore” (Gv 15, 9). È un amore che si rende disponibile per ciascuno di noi, un amore che si fa cibo e bevanda per la nostra fame e sete di vita, quando Gesù stesso ci invita a “bere di questo frutto della vite” (Mc 14, 25). Questo rimanere in Cristo è la condizione prima e assoluta per portare frutto. Ma come Gesù portò frutto nell’adesione al piano salvifico del Padre mediante la passione, morte e risurrezione, così i suoi discepoli porteranno i loro frutti in ordine alla vita eterna, nella misura in cui parteciperanno alla scelta di Cristo e accetteranno le necessarie “potature” da ogni inclinazione al male e al peccato.
3. Alla luce della parabola della vite e dei tralci, l’Eucaristia diventa il principale “centro” dell’operare salvifico di Dio nell’uomo. Questo operare si esprime nelle parole: “Il Padre mio è il vignaiolo” (Gv 15, 1). Egli coltiva la vite, avendo cura di ogni tralcio. Poiché come Creatore è nostro Padre, egli vuole che gli uomini creati a immagine di Dio ricevano, mediante il Figlio, questa vita che è da Dio.
L’opera del Padre, fin dalla creazione, è quella di prendersi cura e provvidenza di tutte le cose, ma soprattutto di tutte le persone, che nella similitudine sono chiamate “tralci”, che il Padre “pota”, rimonda e purifica, perché crescano e abbiano una vita sovrabbondante. Il divino vignaiolo si mostra così Padre amoroso, che si comporta da Padre e vuole essere trattato da Padre. Tutto questo ci richiama la realtà superiore della nostra vita, la vicenda della nostra salvezza. In essa è protagonista il Padre che veglia continuamente sopra di noi e ci stimola a desiderare e a meritare i suoi favori. Ci ricorda con i suoi interventi provvidenziali che non viviamo in un mondo cieco e fatalistico, ma sotto il suo sguardo di Padre buono, accessibile e vicino a noi, che ci chiede disponibilità e collaborazione in quest’opera di misericordia e di salvezza. Come il coltivatore rimonda i tralci, così il divino vignaiolo ci rinnova con la grazia rigeneratrice dei Sacramenti della purificazione, cioè della Penitenza e dell’Eucaristia, in cui egli attua il mistero pasquale della morte e della risurrezione.
4. Per mettere, ancora più pienamente, in rilievo questa verità, l’odierna liturgia ci dà un’ampia risposta alla domanda: chi è l’uomo? Troviamo questa risposta nel Libro del Siracide, che abbiamo ora ascoltato: “Il Signore creò l’uomo dalla terra / e ad essa lo fa tornare di nuovo. / Egli assegnò agli uomini giorni contati e un tempo fissato, / diede loro il dominio di quanto è sulla terra. / Secondo la sua natura li rivestì di forza / e a sua immagine li formò” (Sir 17, 1-3).
Abbiamo qui la risposta all’interrogativo sull’uomo e sul suo destino: “a sua immagine lo formò”. L’uomo è perciò “il volto umano di Dio” secondo una geniale espressione di Gregorio di Nissa (PG 44, 446). Per un’adeguata comprensione dell’uomo, non si dovrebbe mai perdere di vista la rivelazione biblica che, dalla Genesi all’Apocalisse, mette in piena luce la vera dimensione dell’uomo, creato a immagine di un Dio che per riscattarlo, liberarlo dal peccato, è divenuto lui stesso uomo. Da quando Dio si manifestò ad Abramo e il dialogo, interrotto dal peccato di Adamo, è stato ripreso tra la creatura e il Creatore, l’umanesimo biblico non ha cessato di affermare l’eminente e singolare dignità di ogni persona umana, fatta a immagine di Dio, riscattata dal Cristo e chiamata a entrare in comunione con lui. È questo il posto che l’uomo ha nel mondo e nella scala dei valori. È vero, la letteratura, lo spettacolo e l’arte ne esaltano spesso impietosamente le debolezze, le deficienze, la sensualità, l’ipocrisia e le crudeltà, ma noi sappiamo che egli è pure e soprattutto l’essere capace di stupirci per la genialità del suo pensiero e delle sue scoperte scientifiche, per l’afflato del suo lirismo poetico, per lo splendore delle sue creazioni artistiche, per le risorse del suo eroismo morale e per la testimonianza della sua santità. Ecco, cari fratelli e sorelle, che cosa è l’uomo, ecco a quali altezze egli è capace di giungere, se non deforma in sé l’immagine originale, creata da Dio, e se vive in profondità il mistero della redenzione in Cristo Gesù.
5. L’Eucaristia è sacramento dell’unione vivificante con Cristo. Essa è, a un tempo, sacramento che costruisce la comunità. La vite e i tralci sono anche immagine della comunità di tutti coloro che sono uniti in Cristo mediante la grazia e la verità.
L’immagine della vite e dei tralci ci richiama sulla necessità di vivere in profonda comunione la realtà della Chiesa, che è corpo mistico, di cui il Cristo è il capo e tutti i fedeli le membra, un corpo vivificato dalla linfa soprannaturale della grazia e illuminato dalla luce solare dello Spirito Santo che ne è l’anima. È qui “la forza interiore” (cf. 1 Tm 3, 5) della nostra religione; è qui il tessuto connettivo che dà senso e unità alle comunità cristiane che vivono in tutto il mondo. Questa verità riposa su un evento ben preciso che l’apostolo Paolo, con un’immagine tratta anch’essa dall’agricoltura, chiama innesto. Nel battesimo noi siamo stati innestati in Cristo (cf. Rm 11, 16), siamo cioè diventati tralci della vera Vite. Siamo quindi stati chiamati a vivere uniti a Cristo e ai fratelli e a formare così la comunità dei battezzati e dei redenti. E tali siamo nella misura in cui restiamo uniti e viviamo in una specie di osmosi spirituale. Gesù ci fa intravedere anche le conseguenze, nel caso di un distacco da lui e dai fratelli: se il tralcio non rimane unito alla vite, si secca, viene tagliato e gettato nel fuoco.
Ma l’Eucaristia non dice solo rapporto intimo di ogni singolo fedele con Cristo, ma è stata istituita anche per l’unione di tutti i fedeli cristiani tra loro. Essa tende a formare in noi la coscienza dell’unità, della fratellanza, della solidarietà e dell’amicizia. Essa stimola il senso della coesione spirituale e sociale tra coloro che, nutriti di un medesimo pane, formano un solo corpo (cf. 1 Cor 10, 17).
Ci venga da questa celebrazione eucaristica la grazia di vedere tutti i fedeli di questa comunità diocesana più uniti fra loro e più concordi nel dare alla propria fede cristiana un’espressione efficace e convincente in un mondo che vive spesso nell’indifferenza e apatia spirituale; ci venga la grazia di vedere un maggiore impegno nel costruire una comunità radicata sui veri valori e sul rispetto della vita dal suo nascere fino alla sua morte naturale.
“Il Padre mio è il vignaiolo”. Egli coltiva la vigna dell’umanità mediante l’unità di ciascuno e di tutti con il Figlio eterno il quale - essendo generato prima di ogni creatura - ha ricevuto in eredità tutte le generazioni della terra.
6. Sono queste le ragioni per le quali questa celebrazione eucaristica rappresenta il momento culminante del mio incontro con la vostra comunità, che qui vedo largamente rappresentata in tutte le sue componenti. Ma il fatto che i segni sacramentali del pane e del vino di questa Eucaristia sono frutto delle fatiche e del sudore dei coltivatori di questa vostra terra romagnola richiama la mia particolare attenzione alla gente dei campi, che oggi si è stretta in gran numero attorno all’altare.
Cari coltivatori, il Vangelo che è stato proclamato ha presentato alla nostra riflessione la similitudine della vite e dei tralci, mettendo in risalto l’opera del “vignaiolo” celeste che prodiga le sue cure perché questa pianta cresca, si sviluppi e porti molto frutto. È un’immagine, questa, che vi è familiare, essendo voi dediti in gran parte alla coltura delle viti e alla produzione di vini conosciuti dappertutto. Ma i Vangeli sono ricchi anche di molti altri particolari che si riferiscono alla vita dei campi. In essi si parla dei mutamenti del tempo (Mt 16, 3), del biondeggiare delle messi (Gv 4, 35), del seminatore che esce a seminare (Mt 13, 3 ss.). Questo per dire come il Signore era vicino al cuore degli agricoltori e come ne osservava e seguiva non solo tutte le loro fatiche, i sacrifici e la tenace dedizione, ma anche gli aspetti poetici e lirici della loro esistenza, che si dipana in stretta comunione con i ritmi della natura da Dio creata.
Questa mia visita mi offre l’occasione per esprimervi il mio affetto e il mio apprezzamento per il lavoro che svolgete in questa regione, prevalentemente agricola. Sapendo di parlare a generose popolazioni romagnole, desidero invitarvi a continuare con rinnovato coraggio sulla via dello sviluppo economico in un quadro di articolata e viva solidarietà. Conforta constatare l’odierno ritorno a un più sentito riconoscimento della funzione primaria dell’agricoltura, che restituisce ad essa quel valore che le spetta in ogni economia. Dopo una fase critica di abbandono dei campi per la corsa ai grandi centri abitati e alle industrie e dopo l’emorragia dovuta all’emigrazione, il settore agricolo sta ricuperando il suo posto primitivo di indispensabile componente nello sviluppo economico e sociale di questa regione, come di tante altre in Italia.
7. So che in questo vasto settore non mancano problemi, ma so anche che non vi mancano intelligenza, volontà e operosità per affrontarli e giungere a una soluzione. Occorre far fronte anzitutto alla necessità di incrementare la possibilità e la qualità del lavoro, ma soprattutto l’elevazione del tenore di vita del lavoratore. A questo proposito è necessario che l’impegno di ciascuno sia sostenuto dalla solidarietà di tutti. Tale solidarietà deve tener conto dei lavoratori più disagiati, che conducono un’azienda agricola su base familiare, aiutandoli a migliorare e accrescere gli strumenti del proprio lavoro. È necessario tutelare e garantire l’effettivo rispetto delle norme contrattuali e legislative; la tutela previdenziale e l’assistenza morale materiale delle persone anziane o infortunate sul lavoro dei campi. Tale solidarietà deve guardare pure al problema dei giovani, i quali si attendono di poter godere di nuove condizioni nella vita rurale e agricola e di poter soddisfare alle loro giuste esigenze sia sul piano economico che su quello culturale e spirituale. Essi hanno diritto di potersi creare una propria famiglia in un rinnovato ambiente, che offra sempre più serene condizioni di vita per loro e per i propri figli.
A nessuno sfugge che, per risolvere tutti questi problemi, occorre in radice la formazione di una genuina coscienza civile, che abbia a fondamento un retto costume morale. Nella formazione di tale coscienza giovano le virtù naturali dell’onestà, della laboriosità e della giustizia, ma giovano anche e soprattutto i valori morali, che ci vengono dalla pratica cristiana illuminata e convinta, e che ci fa vedere nel nostro vicino un nostro fratello.
Ecco la consegna che vi lascio, o coltivatori e coltivatrici di Cesena, che vedete nella coltura della vite il vostro simbolo prestigioso; fatevi sostenitori della causa della solidarietà e della promozione di ogni vostro fratello e di ogni vostra sorella, che lavorano e sudano accanto a voi. Offrite a tutti la testimonianza di una comunità che sa collaborare in spirito di concordia e di pace. Operate con fiducia e valorizzate ogni mezzo a vostra disposizione per superare le difficoltà che immancabilmente incontrerete sui solchi del vostro lavoro quotidiano.
8. “Ed ora vi affido al Signore e alla parola della sua grazia”, dice l’apostolo (At 20, 32). In occasione dell’odierno incontro desidero ripetere le sue parole. Desidero che questa visita rinnovi il vostro legame con Cristo-Vite.
A tutte le generazioni dei suoi discepoli e seguaci Cristo dice: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore” (Gv 15, 9).
La santissima Eucaristia non cessi di esser la sorgente del vostro rimanere in Cristo; della vostra unione con lui; della vostra comunità cristiana. “Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore” (Gv 15, 10).
L’Eucaristia esige e favorisce la vita secondo i comandamenti, di cui il più grande è quello dell’amore. Ecco la piena espressione dell’unione vivificante con Cristo-Vite.
Vi auguro quest’unione: questo legame salvifico. L’auguro a tutti e a ciascuno. Essa è sorgente di una vera gioia. Di una felicità. Gesù dice: “Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. Sì! Questo vi ho detto.
Al termine della Santa Messa, il Papa rivolge ai fedeli queste parole.
Cari fratelli agricoltori di Cesena, abbiamo lodato insieme quel coltivatore celeste, quel padre coltivatore. Abbiamo celebrato il Mistero della sua coltivazione: noi Chiesa di questa parte d’Italia, Chiesa di tanti coltivatori. Abbiamo ringraziato per questa “vite”, vite mistica, nella quale viene inserita tutta la coltivazione divina del Padre. Abbiamo ringraziato per Gesù Cristo che si è fatto vite ed Eucaristia. Per la prima volta ha inserito oggi nel suo Mistero eucaristico i ragazzi e le ragazze che hanno ricevuto per la prima volta la comunione eucaristica. E ci ha impiantati nel suo mistero della vite divina, ha inserito noi, figli di questa terra, perché possiamo vivere la vita umano-divina; questa è la nostra vocazione; questo è il nostro destino eterno grazie alla Provvidenza che ha fatto crescere questa Chiesa nella vostra terra da tanti secoli, una Chiesa di coltivatori in cui viene sempre il coltivatore celeste, tramite il suo figlio, per coltivare le anime immortali destinate alla vita eterna in Dio. Vi ringrazio per questa bella preparazione, per questa vostra profonda partecipazione, per tutto quello che oggi avete fatto, per lo splendore liturgico “dovuto” a questo incontro del Papa, Vescovo di Roma, con la vostra Chiesa. Vi ringrazio anche per tutto quello che fate ogni giorno, continuamente, per far vivere questa Chiesa con una vita autenticamente cristiana: la vita dei figli nel Figlio. E vi auguro di continuare così con il vostro Pastore, Vescovo di questa Chiesa, con i vostri sacerdoti, pastori delle comunità parrocchiali, con tutte le famiglie consapevoli della loro missione umana e cristiana e della loro missione eucaristica. Cristo, il pane della vita, rimanga sempre con voi. Questo è l’ultimo augurio che vorrei consegnare alla Chiesa che una volta ha dato alla Chiesa di Roma due insigni successori di Pietro, Papa Pio VI e Papa Pio VII in tempi difficili, e anche altri due Papi: Benedetto XIII e Pio VIII. Il Pane della vita rimanga sempre con voi e sia continuo nutrimento delle vostre anime. Vi faccia crescere nella sua vigna, in cui viene rappresentata la Chiesa, il regno di Dio sulla terra e il regno di Dio nei cieli.
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