VISITA PASTORALE IN ROMAGNA
CONCELEBRAZIONE NELLA BASILICA DI SANT’APOLLINARE IN CLASSE
NEL RICORDO DEI SANTI CIRILLO E METODIO
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Ravenna - Domenica, 11 maggio 1986
1. “Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria” (Ef 1, 17). A lui, al Padre della gloria, si rivolgono oggi i nostri pensieri; a lui si indirizzano gli sguardi di noi raccolti in questa incomparabile basilica di Sant’Apollinare in Classe che da 14 secoli tramanda negli splendidi mosaici l’“Evangelium aeternum” dell’Apocalisse; a lui la Chiesa innalza il suo cuore, meditando il Mistero pasquale di Gesù Cristo nel suo momento culminante.
Insieme con la risurrezione è iniziata l’esaltazione di Cristo. Colui che spogliò se stesso e si fece obbediente fino alla morte di croce (cf. Fil 2, 7-8), è stato esaltato da Dio. È stato glorificato. Poiché il Dio di Gesù Cristo è il Padre della gloria. Questa esaltazione di Cristo - secondo il testo degli Atti degli apostoli - è durata qui, sulla terra, per 40 giorni dopo la risurrezione. Nel corso di questi giorni egli è apparso agli apostoli, parlando del regno di Dio (cf. At 1, 3). Il 40° giorno “egli fu assunto in cielo” (cf. At 1, 2). La liturgia odierna celebra questo evento. Il vero luogo dell’esaltazione di Cristo, della sua glorificazione non è la terra, ma il “seno del Padre”.
2. Il “cielo” parla di un universo differente da quello della terra. Esso è l’“universo di Dio”, di quel Dio che sussiste nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e che, al tempo stesso, “si realizza interamente in tutte le cose” (Ef 1, 23) come “il Padre della gloria”.
Questo “universo di Dio” è il luogo definitivo dell’esaltazione di Cristo. Là egli riceve l’adorazione come Eterno Figlio, della stessa sostanza del Padre e anche come Signore del creato redento. Infatti il Padre tutto “ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose” (Ef 1, 22-23).
Cristo, il Signore del creato redento, esaltato nella risurrezione, glorificato nell’ascensione, continua a operare con la stessa potenza divina, che si è rivelata in lui sulla terra. Questa Potenza, suggellata nel mistero pasquale, conduce l’umanità e tutto il creato verso la gloria del Padre. Suo frutto è tutto il tesoro di gloria racchiuso nella sua eredità fra i santi, e, nello stesso tempo, è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti (cf. Ef 1, 18-19).
Così, dunque, il giorno 40° dopo la risurrezione, solennità dell’Ascensione del Signore, ci parla anche della vocazione alla gloria, che l’uomo e tutto il creato devono trovare definitivamente in Dio, per mezzo di Cristo, asceso al cielo.
3. Questo è il giorno di una conclusione e, in pari tempo, il giorno di un nuovo inizio: giorno di una separazione e insieme inizio di una nuova presenza.
Fin dall’ultima cena Cristo parla con grande chiarezza agli apostoli della venuta dello Spirito consolatore. Dopo la risurrezione ritorna a questo preannunzio e a questa promessa. “Quella . . . che voi avete udito da me: Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni” (At 1, 5). Quindi gli apostoli chiedono: “È questo il tempo in cui ricostruirai il regno di Israele?”, poiché il loro modo di pensare era ancora totalmente impregnato dalle attese della nazione, alla quale appartenevano, e di cui condividevano l’oppressione. La risposta di Gesù è la stessa, come sempre: “Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta” (At 1, 8).
4. Vi sono i tempi della storia terrena dell’uomo, i tempi dei popoli e delle nazioni, delle loro cadute e delle loro riprese. Ma il “tempo” a cui pensa Gesù è un altro: “Avrete forza dallo Spirito che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra” (At 1, 8). Dunque: un tempo diverso, una storia diversa, un regno diverso da quello terreno di Israele. Lo Spirito Santo vi condurrà fuori, sulle vie di Gerusalemme; e poi vi spingerà oltre, fino agli estremi confini della terra, a tutti i popoli, alle nazioni e alle genti, a tutte le lingue, culture e razze, ai continenti interi.
Il Salmo dell’odierna liturgia parla della stessa cosa: “Applaudite, popoli tutti, / acclamate Dio con voci di gioia; / perché il Signore è re di tutta la terra. / Dio regna sui popoli” (cf. Sal 46, 2-3. 9). Il regno che “non è di questo mondo”, il regno di Dio, viene rivelato in queste parole ancora una volta - come introduzione all’ascensione, all’esaltazione di Cristo nella gloria del Padre. Questo regno si realizza mediante la storia dei popoli e delle nazioni, mediante tutto l’insieme della storia dell’uomo sulla terra. Si realizza per opera di Cristo: egli infatti è la pienezza di tutte le cose.
È quindi necessario che si aprano più profondamente gli occhi dello spirito umano, che si aprano attraverso tutte le vicende della temporalità, mediante la storia del mondo, del mondo nostro contemporaneo. È necessario che il Padre della gloria illumini gli occhi della mente di tutti, per far capire a quale speranza siamo chiamati in Cristo, a quale gloria! E proprio per questo Cristo dice agli apostoli: “Sarete battezzati in Spirito Santo . . . e mi sarete testimoni . . . fino agli estremi confini della terra” (At 1, 5. 8).
Testimoni di Cristo! Testimoni della vocazione dell’umanità in Cristo! Insieme alla partenza di Cristo dalla terra, inizia il tempo di questa testimonianza: il tempo della missione apostolica, della missione della Chiesa tra le nazioni e tra i popoli.
“Applaudite, popoli tutti, / acclamate Dio con voci di gioia”. La vita umana sulla terra ha un suo significato splendido. L’uomo è abbracciato dalla salvezza di Dio mediante il mistero di Cristo; l’uomo è chiamato alla gloria.
5. Con senso di profonda commozione rifletto oggi con voi, carissimi fratelli e sorelle, su queste grandi verità del messaggio cristiano. È infatti per me motivo di vera letizia spirituale trovarmi qui a Ravenna per questa solenne celebrazione, alla quale partecipano vescovi e parlamentari europei e le rappresentanze delle città di Romagna; una celebrazione che vuole commemorare l’11° centenario della morte di san Metodio. La vostra presenza sottolinea la vocazione storica di questa città, che è stata centro d’incontro tra Oriente e Occidente nel momento fervido in cui le culture del mondo germanico, longobardo, danubiano si fondevano con quella romana, per dare origine alla rinnovata società dell’Europa medioevale.
E non è senza un suo particolare significato che questa celebrazione avvenga nel giorno dell’Ascensione, nel quale abbiamo sentito risonare le parole di Cristo: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni” (Mt 28, 19). Tali parole infatti sono un invito a oltrepassare i confini, a raggiungere ogni popolo, ogni nazione, a diffondere il messaggio di Cristo in ogni parte della terra. È un invito che la comunità cristiana dell’antica Ravenna fece proprio con singolare impegno. Qui infatti venne costituendosi, già agli inizi dell’era cristiana, una sorta di ponte ideale tra Oriente e Occidente, che nei secoli successivi poté essere percorso nell’uno e nell’altro senso: si avviò così quell’ininterrotto scambio di fede, di cultura e di civiltà tra i popoli e le Chiese, che tanto contribuì all’affermarsi di una Europa unita nella fede, pur nella pluralità delle tradizioni locali.
Questa Città seppe esprimere le grandi verità che danno senso alla vita dell’uomo nella stupenda bellezza delle sue opere d’arte, nei mosaici, nelle basiliche, nelle pievi romaniche circostanti. In tali realizzazioni non c’è solo talento, arte, ispirazione, come è stato scritto, ma s’indovina qualcosa di misterioso che affascina l’intelligenza e la porta insensibilmente a riflettere sulla sorgente ispiratrice degli ignoti artisti di quei tempi lontani. “Questo qualcosa di misterioso è precisamente il mistero cristiano di una visione «cristocentrica» che dalla croce di Cristo si espande . . . Questa croce, segno e strumento della salvezza di tutti . . . brilla dovunque nel centro teologico di tutti gli edifici di Ravenna” (A. Frossard, Il Vangelo secondo Ravenna, p. 101).
6. Io saluto questa città che con straordinaria vigoria di immaginazione poetica è riuscita a scrivere in una pagina di autentica arte il Vangelo di Cristo, e formulo l’auspicio che a tutti i visitatori di questi luoghi l’immagine suggerisca l’annuncio del Signore e il desiderio di conoscerlo di più. Saluto l’arcivescovo di questa Chiesa, mons. Ersilio Tonini, saluto il clero, i religiosi e le religiose. Rivolgo un deferente pensiero alle autorità e saluto l’intera popolazione di Ravenna, auspicando che sia sempre fedele alla sua eredità cristiana.
San Metodio, del quale la Chiesa di Ravenna vuole ricordare l’11° centenario della morte, e il suo fratello Cirillo proteggano questa città, la cui storia è tutta una trama di scambi, prima tra il cristianesimo greco-bizantino e quello latino, e poi tra l’Europa di san Benedetto e l’Europa degli Apostoli Slavi. “Attuando il proprio carisma, Cirillo e Metodio recarono un contributo decisivo alla costruzione dell’Europa non solo nella comunione religiosa cristiana, ma anche ai fini della sua unione civile e culturale” (Slavorum Apostoli, 27).
Noi siamo grati a Dio per l’eredità a noi lasciata da questi due meravigliosi apostoli, che edificarono la Chiesa mossi dal senso della sua universalità e unità, ma non meno attenti alla multiforme varietà delle sue espressioni particolari. Il loro messaggio è un invito al continente europeo a riscoprire nel cristianesimo la comune radice e la forza per costruire la civiltà di domani. Nel ricordo dei santi Cirillo e Metodio io saluto con profondo affetto i vescovi d’Europa qui presenti e con deferenza ossequio i rappresentanti del parlamento europeo, auspicando per l’Europa dei nostri giorni un vero clima di fraternità, di pace, di comprensione e di intesa tra i popoli.
7. Facendomi interprete della viva speranza che pervade tutta la Chiesa, vorrei rivolgerne alle nuove generazioni cristiane, chiedendo loro di adoperarsi, con efficace impegno, per attuare una nuova evangelizzazione della società europea. Sarà necessario riflettere sulle significative forze morali che hanno costituito l’originaria coscienza dell’Europa: il senso del diritto, l’unità nella molteplicità delle nazioni, la volontà di partecipazione responsabile, la creatività nell’arte e nel pensiero. Occorrerà inoltre cercare le vie di un rinnovato dialogo tra fede e cultura, riflettendo sulla situazione contemporanea e raccogliendo le promettenti prospettive che sembrano aprirsi a una più attenta valorizzazione del passato, grazie alla quale si potrà meglio comprendere il presente e, soprattutto, si potrà appoggiare su più solide basi la preparazione del futuro.
È questo un compito che si impone specialmente ai giovani, ai quali l’Europa moderna lancia come una sfida. La rifondazione della cultura europea è l’impresa decisiva e urgente del nostro tempo. Per rinnovare la società, occorre fare rivivere in essa la forza del messaggio di Cristo, redentore dell’uomo.
Per questa impresa l’esperienza vissuta secoli addietro in questa Città acquista il valore di un simbolo ricco di luminosi insegnamenti: come Ravenna riuscì a scrivere nei suoi monumenti la meravigliosa grandezza dell’annuncio evangelico nel corso di tempi particolarmente travagliati e difficili, così la presente generazione deve cercare di incarnare in nuovi modelli di pensiero e di vita il messaggio di pace e di fraternità, che scaturisce dalla fede in un unico Padre e in un unico Redentore. Occorre cioè tentare di ricostruire l’Europa secondo la sua vera identità, che è, nella sua originaria radice, identità cristiana.
8. In questa impresa ci accompagna Cristo, asceso al cielo, come ci ricorda la liturgia odierna, e che un giorno ritornerà. Il 40° giorno dopo la risurrezione sul pendio del monte degli Ulivi, verso Betania, Gesù lasciò i suoi amici sulla terra. “Una nube lo sottrasse al loro sguardo” (At 1, 9). La nube, secondo la Scrittura, è segno della presenza di Dio; segno che rivela e insieme vela la gloria della divinità.
Per gli apostoli questo avvenimento fu fonte di nuovo stupore, così come era avvenuto all’apparire del Risorto nel cenacolo il terzo giorno dopo la crocifissione. E allora udirono la voce: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato tra di voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo” (At 1, 11).
È venuto. È passato attraverso la nostra storia, camminando sulla nostra terra. Ci ha lasciato il Vangelo e la croce come segno della salvezza. Ci ha lasciato nella risurrezione “la chiamata alla gloria”. Poi se n’è andato. Ritornerà.
La Chiesa lo professa tutti i giorni nella liturgia eucaristica: “Annunziamo la tua morte . . . Proclamiamo la tua risurrezione . . . Attendiamo la tua venuta nella gloria”.
Lo Spirito e la sposa dicono costantemente: “Vieni!” (Ap 22, 17). La storia dell’uomo, la storia dei popoli e delle nazioni, delle culture e dei continenti è una preparazione a questa venuta definitiva. È un’attesa. Un’attesa che non sarà delusa, perché lui ritornerà.
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