MESSA «IN CENA DOMINI» NELLA BASILICA DI SAN GIOVANNI IN LATERANO
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Giovedì Santo, 31 marzo 1988
1. “Non mi laverai mai i piedi” (Gv 13, 8).
Così dice Simon Pietro nel cenacolo, quando Cristo, prima della cena pasquale, decide di lavare i piedi ai suoi apostoli.
Cristo sapeva che “era giunta la sua ora” (Gv 13, 1). La sua Pasqua.
Ma Simon Pietro ancora non lo sapeva.
Nei pressi di Cesarea di Filippo egli per primo aveva confessato: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16, 16).
Non sapeva tuttavia che in questa definizione del “Cristo-Messia” era nascosto anche il significato di “servo”, il servo di Jahvè. Non lo sapeva! In un certo senso non voleva prendere cognizione della verità che, secondo l’interpretazione del Maestro, rivestiva la “sua ora”: cioè “l’ora di passare da questo mondo al Padre” (cf. Gv 13, 1).
Non accettava che Cristo dovesse essere servo, così come lo aveva visto il profeta Isaia molti secoli prima: il servo di Jahvè, il servo sofferente di Dio.
2. Tuttavia sull’orizzonte della storia si è ormai delineato in forma definitiva il ruolo del sangue: il sangue dell’agnello pasquale doveva trovare il suo compimento nel sangue di Cristo che suggellava la nuova ed eterna alleanza.
Per coloro che si preparavano alla cena pasquale nel cenacolo di Gerusalemme il sangue dell’agnello si collegava con la memoria dell’Esodo. Ricordava la liberazione dalla schiavitù d’Egitto, che aveva dato inizio all’alleanza di Jahvè con Israele, al tempo di Mosè.
“Preso un po’ del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull’architrave delle case, in cui lo dovranno mangiare . . . È la Pasqua del Signore! . . . io vedrò il sangue e passerò oltre, non vi sarà per voi flagello di sterminio quando io colpirò il paese d’Egitto” (Es 12, 7. 11. 13).
Il sangue dell’agnello costituiva una soglia davanti alla quale si arrestava l’ira punitrice di Jahvè. Coloro che si preparavano alla cena pasquale, nel cenacolo, tenevano nella loro memoria la liberazione di Israele mediante questo sangue.
3. Tutti loro - ed insieme ad essi Simon Pietro - non erano consapevoli fino in fondo del fatto che quella liberazione per opera del sangue dell’agnello pasquale era in pari tempo un preannunzio. Era una “figura”, che attendeva il suo compimento in Cristo.
Quando gli apostoli si incontrano nel cenacolo, per l’ultima cena, questo compimento è ormai vicino. Cristo sa che “è giunta la sua ora”, l’ora in cui egli stesso porterà a compimento il preannunzio e svelerà pienamente la realtà, che da secoli viene indicata dalla “figura” dell’agnello pasquale: la liberazione per opera del suo sangue.
Cristo va incontro a questa “pienezza”, entra in questa realtà. È consapevole di ciò che porteranno con sé la prossima notte e il giorno seguente.
4. Ed ecco egli prende nelle sue mani il pane e - rendendo grazie - dice: “Questo è il mio corpo, che è per voi” (1 Cor 11, 24). E al termine della cena (come leggiamo nella prima lettera ai Corinzi) prende il calice, e dice: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue” (1 Cor 11, 25).
Quando il corpo di Cristo verrà offerto sulla croce, allora questo sangue, versato nella passione, diventerà l’inizio della nuova alleanza di Dio con l’umanità.
L’antica alleanza, nel sangue dell’agnello pasquale, il sangue della liberazione dalla schiavitù d’Egitto.
La nuova ed eterna alleanza, nel sangue di Cristo.
Cristo va incontro al sacrificio, che ha la potenza redentrice: la potenza di liberare l’uomo dalla schiavitù del peccato e della morte. La potenza di strappare l’uomo dall’abisso della morte spirituale e della condanna.
Gesù passa ai discepoli il calice della salvezza, il sangue della nuova alleanza, e dice: “Fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me” (1 Cor 11, 25).
5. “Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13, 1).
Ecco la verità più profonda dell’ultima cena. Il corpo ed il sangue, la passione sulla croce e la morte significano proprio ciò: “li amò sino alla fine”.
Il sangue dell’agnello sull’architrave delle case in Egitto non aveva, di per sé, una potenza liberatrice. La potenza proveniva da Dio. Per molto tempo non si è osato chiamare questa potenza per nome.
Cristo l’ha chiamata per nome. Il corpo ed il sangue, la passione e la morte, il sacrificio, sono l’amore che risale fino ai confini della sua potenza salvifica.
Cristo l’ha chiamata per nome. Cristo l’ha realizzata. Cristo ci ha lasciato questa potenza nell’Eucaristia. Ecco “la sua ora”:
- passa dal mondo al Padre mediante il sangue della nuova alleanza;
- passa dal mondo al Padre mediante l’amore, che risale fino ai confini della sua potenza salvifica.
6. Dice: “Fate questo in memoria di me”.
E prima ancora dice: “Vi ho dato esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv 13, 15).
“Che vi amiate gli uni gli altri: come io vi ho amato” (Gv 13, 34). L’ultima cena. L’inizio della nuova alleanza nel sangue di Cristo.
Riviviamola col cuore colmo di fede e di amore!
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