VISITA PASTORALE IN EMILIA
CELEBRAZIONE EUCARISTICA IN PIAZZA DELLA PACE
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Parma - Lunedì, 6 giugno 1988
1. “La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola” (At 4, 32).
Con la lettura degli Atti degli Apostoli la liturgia odierna ci consente di ritornare alla primitiva comunità cristiana, che dopo la Pentecoste si era formata a Gerusalemme intorno agli apostoli. “Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere” (At 2, 42).
Rivolgiamo quindi il nostro pensiero a quella comunità, a quella Chiesa di Gerusalemme, che è, possiamo dire, il primo modello e la madre di tutte le comunità, di tutte le Chiese, che nel corso dei secoli sono cresciute e si sono diffuse in tutta la terra.
Intanto anche noi, riuniti oggi qui a Parma, nel sentire la viva unione con tutta la Chiesa dell’Appennino e della pianura emiliana, e con le Chiese di tutti i Paesi e continenti, desideriamo rendere questa testimonianza nella nostra comunità: cioè che anche adesso, verso la fine del secondo millennio dopo Cristo tutti i credenti sono “un cuore solo e un’anima sola”.
Desidero che la presenza e il servizio del Vescovo di Roma, il suo “ministerium Petrinum”, facciano di questa nostra celebrazione una testimonianza ancor più significativa.
2. Con questo sentimento rivolgo al vostro Vescovo, monsignor Benito Cocchi, il mio cordiale saluto, e, con lui, al venerato monsignor Amilcare Pasini, il cui esempio di fede e di fortezza d’animo è di edificazione per tutti. Desidero poi salutare tutti i sacerdoti e i diaconi del presbiterio parmense; i religiosi e le religiose che collaborano nell’apostolato o che vivono nei monasteri contemplativi. Saluto con particolare affetto i membri degli istituti missionari e delle congregazioni religiose che hanno avuto in questa città la loro origine. Saluto, da questa “piazza della Pace”, tutta la Chiesa di Parma, le sue parrocchie della collina, della pianura della città vecchia e nuova, il suo popolo fedele, impegnato nel testimoniare Cristo, in comunione con la Chiesa universale, mediante generose opere ed organizzazioni di carità. Saluto questa Chiesa che vive il suo servizio al Vangelo col desiderio vivo di far conoscere, in umiltà e semplicità, il messaggio della salvezza agli uomini del nostro tempo, a quelli che subiscono le tentazioni dell’agnosticismo, dell’indifferentismo religioso, della disattenzione al messaggio etico che scaturisce dalla fede cristiana. Saluto tutti gli uomini e le donne di buona volontà, credenti e non credenti. A tutti la Chiesa si rivolge con un intenso desiderio di dialogo e di collaborazione, per contribuire in ogni circostanza alla promozione del bene comune nella giustizia, nella pace, nella solidarietà: a tutti, in primo luogo vuole annunciare Cristo, portare il Vangelo.
I meravigliosi monumenti che la cristianità parmense antica ha fatto sorgere sull’originaria città romana, parlano, come in una catechesi visiva, della fede dei vostri padri.
Parlano di Cristo la Cattedrale e le numerose chiese romaniche; parla il battistero con le sue sculture e pitture; parla della vostra devozione alla Vergine la più famosa delle Chiese da voi dedicate alla madre di Dio, santa Maria della Steccata. E come non ricordare, per Parma e per tutta l’Emilia, tra i tanti Santuari dedicati alla Madonna nel territorio della diocesi, il Santuario di Fontanellato, in cui si venera la Vergine del Rosario?
La vostra fede ha, quindi, radici antiche e talvolta segnate da intenso travaglio spirituale. Lo dicono la storia delle tensioni vissute ai tempi dell’arianesimo, le vivaci contese della lotta per le investiture, le alterne vicende che hanno dato origine all’identità sociale, politica e culturale di questa terra.
Voi ora continuate la via impegnativa, faticosa ma esaltante, di una evangelizzazione rinnovata per il nostro tempo. Siate coraggiosi e fiduciosi nelle attuali vicissitudini!
Mi compiaccio con voi per i vostri sforzi e le iniziative di apostolato che avete in programma: la preparazione del Sinodo, la catechesi capillare per gli adulti, la collaborazione dei laici all’opera di apostolato, la promozione delle numerose associazioni giovanili, aperte alla vita ecclesiale di tutta la diocesi.
Formulo per questa Chiesa l’auspicio che lo Spirito Santo susciti nuove vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata nel numero e nella qualità richiesti per l’annuncio al mondo di oggi del Cristo risorto.
3. “Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù, e tutti essi godevano di grande stima” (At 4, 33). Così gli Atti degli Apostoli descrivono la prima comunità di credenti.
La testimonianza di Cristo crocifisso e risorto rendeva presente la sua persona. Egli, fino a poco tempo prima, percorreva la Palestina e la città santa; risuonavano ancora recentissime le parole che aveva proclamato, l’intero Vangelo del Regno di Dio.
Mediante la voce degli apostoli, la testimonianza dello Spirito consolatore, che essi avevano ricevuto il giorno della Pentecoste, raggiungeva gli animi e i cuori. Questa presenza, invisibile ma reale, dello Spirito di verità, insieme al servizio apostolico dell’insegnamento, faceva sì che tutti i credenti avessero “un cuore solo e un’anima sola”.
È significativo che questa unità si sia manifestata anche nell’ordine sociale. “Nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune . . . Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno” (At 4, 32. 34-35).
4. La prima comunità cristiana si è distinta soprattutto per il grande slancio nel vivere secondo il Vangelo in ogni circostanza: per ciò che ciascuno “era” e per quello che ciascuno “aveva”. Certamente era chiaro ed ovvio per loro che è più importante ciò che l’uomo “è”, di ciò che l’uomo “ha”.
Una tale fondamentale gerarchia dei valori doveva formarsi nella coscienza e nel comportamento dei primi cristiani, quando ascoltavano - dagli apostoli - ciò che aveva insegnato Cristo: quando erano intimamente presi nell’ascoltare sempre di nuovo il messaggio delle otto beatitudini, del discorso della montagna.
Beati i poveri in spirito . . . e anche coloro che sono afflitti . . . e anche i miti . . . Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia . . . e anche i misericordiosi. Beati i puri di cuore . . . e anche gli operatori di pace. E infine beati quelli che sono perseguitati per causa della giustizia (cf. Mt 5, 3-10).
Coloro che avevano ascoltato queste beatitudini, dovevano rendersi conto - alla luce degli avvenimenti pasquali, alla luce della croce e della risurrezione di Cristo - che tutto ciò si era realizzato soprattutto nella vita del loro Signore.
Tuttavia, nello stesso tempo, egli aveva lasciato in ciò un chiaro programma di vita per tutti i suoi discepoli e seguaci. Aveva tracciato una nuova gerarchia dei valori, e tutto questo mediante una nuova e definitiva “dimensione” della intera esistenza umana.
Ogni beatitudine si basa sulla realtà dell’esistenza umana sulla terra, in questo mondo caduco, e si apre al tempo stesso verso la prospettiva del Regno di Dio, che è interminabile ed eterno. Proprio il Regno è la vocazione ultima dell’uomo; esso è il suo destino definitivo: è la sua vita. La vita in Dio. Cristo risorto ha rivelato la realtà di tale vita!
5. “La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola”.
Occorre che da quella prima comunità passiamo ai nostri tempi. Occorre che rileggiamo il messaggio del discorso della montagna, delle otto beatitudini, come indirizzato a noi, ai nostri contemporanei, a quelli che sono qui riuniti.
Infatti, anche nei nostri tempi capita che qualche proprietario venda tutto ciò che possiede e investa il suo denaro per il bene dei fratelli più miseri, come ha fatto per esempio il dottor Marcello Candia in un grande ospedale per i lebbrosi nel Brasile nord-orientale.
Certamente un uomo eccezionale. Tuttavia il messaggio delle otto beatitudini è rivolto nello stesso tempo a tutti e a ciascuno.
E perciò la sollecitudine della Chiesa dei nostri tempi è che questo messaggio evangelico venga continuamente proposto alla vasta comunità dei fedeli, in tutti i luoghi della terra.
6. Proprio per ricordare al mondo, sulla linea del costante insegnamento sociale della Chiesa, il valore dell’attenzione che il Vangelo richiede verso i poveri, ho rivolto a tutti i cristiani ed agli uomini di buona volontà l’enciclica Sollicitudo Rei Socialis. In essa ho voluto ricordare che lo sviluppo non può ridursi ad un continuo accrescimento del benessere materiale senza fare attenzione agli altri, ai più poveri. La sola accumulazione di beni, se non è retta da un intendimento morale, da un orientamento verso il bene comune, da volontà di partecipazione, può divenire un male che si ritorce contro l’uomo, contro il singolo uomo e contro le comunità civili e nazionali. Per questo ho affermato che la via autentica del bene per i rapporti sociali, tanto a livello privato che nazionale ed internazionale, è la solidarietà. Essa è virtù umana e cristiana, è l’espressione della carità, è l’anima di tutti i rapporti possibili tra gli uomini, e deve divenire sempre più il criterio fondamentale delle scelte politiche e delle programmazioni economiche.
Su questa linea avevano parlato con chiarezza, realismo e spirito profetico i miei predecessori. Voi ricordate Papa Giovanni XXIII, il quale nella enciclica Mater et Magistra ha detto che “Il problema forse maggiore dell’epoca moderna è quello dei rapporti tra le comunità politiche economicamente sviluppate e le comunità politiche in via di sviluppo economico” (Ioannis XXIII Mater et Magistra: AAS, 53 [1961] 440), ed ha ricordato a coloro “che dispongono di mezzi di sussistenza ad esuberanza, il dovere di non restare indifferenti di fronte alle comunità politiche i cui membri si dibattono nelle difficoltà dell’indigenza, della miseria e della fame, e non godono dei diritti elementari della persona” (Ioannis XXIII Mater et Magistra: AAS, 53 [1961] 440).
Con altrettanta chiarezza e lungimiranza ha parlato Paolo VI nella enciclica Populorum Progressio, annunciando che “lo sviluppo integrale dell’uomo non può aver luogo senza lo sviluppo solidale dell’umanità” (Pauli VI Popolorum Progressio: AAS 59 [1967] 278). Per questo egli lanciò l’appello alla fraternità tra i popoli, riconoscendo che il principio evangelico della solidarietà verso i poveri non può essere rivolto solo ai singoli. Si tratta di un dovere di giustizia che deve ricomporre in termini più corretti le relazioni economiche difettose tra popoli forti e popoli deboli. Si tratta, ancora, di un dovere di carità universale, per promuovere insieme “un mondo più umano per tutti, un mondo nel quale tutti abbiamo qualcosa da dare e da ricevere, senza che il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo degli altri” (Pauli VI Popolorum Progressio: AAS 59 [1967] 279).
7. Su queste linee si muove con esemplare impegno la Chiesa che è in Italia. Desidero rinnovare il mio appoggio al programma pastorale della Conferenza episcopale per gli anni ‘80, fondato su “comunione e comunità”. Sia, questo impegno sostenuto dallo spirito di fraternità insegnato dagli apostoli, perché venga annunciata con instancabile dedizione agli uomini di oggi e di domani l’unica verità in cui è data speranza di salvezza.
Mi compiaccio che verso queste prospettive di comunione si stia in particolare muovendo anche la vostra Chiesa, consapevole di dover camminare guidata dal messaggio delle beatitudini.
8. Quando noi sentiamo annunciare “beati i poveri”, dobbiamo ricordare sempre che si tratta di un messaggio rivolto a tutti, poiché tutti dobbiamo essere e sentirci “poveri secondo lo spirito”, cioè interiormente distanti dai beni della terra. Da tale spirito di povertà deve scaturire per tutti la disponibilità a “far parte” con gli altri delle proprie ricchezze terrene e materiali, affinché dal servizio a chi non ha nasca per ciascuno una maggiore ricchezza di carità. La Chiesa che si rivolge al mondo per annunciare la salvezza, è Chiesa dei poveri anche sotto questo aspetto, perché cerca di vivere in se stessa la lettera e lo spirito delle beatitudini evangeliche.
La recente storia della vostra Chiesa locale è ricca di testimoni che hanno operato ardentemente per il bene dei poveri, di quelli oppressi da condizioni sociali di indigenza, come da situazioni di miseria morale. Desidero ricordare solo alcuni nomi, come Anna Adorni, e la sua “Congregazione delle Ancelle dell’Immacolata” per il recupero delle carcerate; Lucrezia Zileri ed Agostino Chieppi, per l’apostolato della scuola; il Vescovo Guido Maria Conforti per le missioni estere; Celestino Bottego, padre Lino Maupas, apostolo della carità nei quartieri popolari; l’opera della signorina Cappelli per l’evangelizzazione del mondo della cultura; ed infine la figura a tutti nota del beato Cardinale Andrea Ferrari, formatosi qui, come sacerdote, e protagonista del grande impegno apostolico e sociale delle diocesi via via affidategli dalla Santa Sede.
9. Il discorso della montagna. Le otto beatitudini. Esse non sono soltanto parole splendide - una vera sinfonia del testo evangelico - ma anche una chiamata alla sinfonia evangelica della vita.
Ciascuna delle beatitudini ha il suo particolare contenuto, ma tutte nel profondo s’incontrano e completano reciprocamente.
Se lo “spirito” che ne emana deve animarci verso una vita e un comportamento più cristiani, bisogna accogliere con il cuore e con la volontà tutta la verità contenuta in esse; nella sua organica coerenza.
E allora ci troveremo pure tra coloro che “saranno consolati”, che “saranno saziati”, che “troveranno misericordia”, che meriteranno di essere “chiamati figli di Dio”.
Ci troveremo tra coloro ai quali appartiene il “Regno dei cieli”.
Tra coloro che “vedranno Dio”.
La croce e la risurrezione di Cristo diventeranno per noi la potenza di Dio e la sapienza di Dio lungo tutte le vie della nostra vita.
Amen.
Al termine della Celebrazione eucaristica per i fedeli delle Diocesi di Parma, in Piazza della Pace, il Papa si rivolge ai presenti con queste parole di saluto e di ringraziamento.
Vorrei ancora prendere, brevemente, la parola e vorrei ringraziare tutti per la perseveranza. Abbiamo ascoltato nella prima lettura di oggi che i primi cristiani erano “perseverantes in orationibus, in doctrina apostolorum et in fractione panis”. Ma noi cristiani dopo venti secoli siamo perseveranti, voi qui siete stati perseveranti nella pioggia. Gli Atti degli Apostoli non dicono niente della pioggia; allora qui si devono leggere gli Atti degli Apostoli con un criterio specifico proprio di Parma. Criterio parmense. Ringrazio tutti per questa perseveranza. Potrei dire che ringrazio anche la pioggia per la sua perseveranza.
Vorrei in questo ringraziamento includere tutti e ciascuno, specialmente coloro che sono in prima fila: i malati. Veramente erano in prima fila. Ringrazio naturalmente i miei carissimi fratelli presbiteri concelebranti, ringrazio il coro per tutti i canti: i cantici non ci hanno permesso di pensare alla pioggia, tanto erano belli. Ed ancora, è già stata annunziata una celebrazione, domani mattina, per i sacerdoti, i religiosi, le religiose, una Messa breve nella Cattedrale, ma il Vescovo mi dice che mancano i giovani; come faremo allora? Penso che l’unica soluzione possa essere questa: i giovani verranno a far visita al Papa, possono venire durante le vacanze, così si può risolvere questo difficile problema dell’incontro con i giovani che oggi mancano.
Allora, carissimi, grazie ancora una volta per questa esperienza bellissima. Devo dire che durante questi giorni del percorso, dell’itinerario pastorale nella regione emiliana, sentivo sempre la pioggia che camminava dietro di me e finalmente qui in Parma ci siamo incontrati. Grazie per questo incontro. Vi auguro tutto il bene perché la pioggia è anche un segno del bene, del bene spirituale, della fecondità spirituale della Chiesa di Parma.
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