VISITA PASTORALE A CAMERINO - S. SEVERINO
E A FABRIANO - MATELICA (MARCHE)
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Chiesa Cattedrale di Fabriano - Martedì, 19 marzo 1991
“Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2, 49).
1. Con queste parole del dodicenne Gesù a Maria e a Giuseppe, vi esprimo, cari fratelli e sorelle, la mia gioia di celebrare questa solennità insieme a voi. Saluto il vostro Vescovo, Monsignor Luigi Scuppa, e lo ringrazio per l’invito che mi ha rivolto a visitare la vostra Comunità diocesana che sento viva e piena di fede.
Saluto i Presuli della Regione e i Pastori emeriti delle vostre Diocesi: a tutti il mio ringraziamento per la loro fraterna comunione. Il mio saluto si estende poi a tutti i presenti: alle Autorità civili e militari, ai Sacerdoti, ai Religiosi e alle Religiose, alle Associazioni e ai Movimenti ecclesiali, alle famiglie, ai giovani, ai malati, a tutti!
Abbiamo ascoltato or ora il brano del Vangelo di Luca, in cui si fa menzione dell’episodio di Gesù adolescente al Tempio. Durante il pellegrinaggio a Gerusalemme, Gesù lascia Maria e Giuseppe per prendere parte all’istruzione dispensata agli israeliti nel Tempio dai maestri della Thorà. Maria e Giuseppe sono costretti a tornare sui loro passi per cercarlo. L’istruzione sulle cose di Dio ha coinvolto totalmente Gesù.
Infatti, quando “lo trovarono nel Tempio, seduto in mezzo ai dottori . . . tutti quelli che lo udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte” (Lc 2, 46-47).
2. Alla domanda della madre: “Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo” (Lc 2, 48), Gesù risponde: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2, 49).
Aggiunge l’Evangelista che Maria e Giuseppe “non compresero le sue parole” (Lc 2, 50). Subito dopo, però, - viene precisato - partì “con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso” (Lc 2, 51).
La Chiesa oggi rende omaggio a San Giuseppe in modo solenne. Ma si riesce a cogliere il significato di questo personaggio, come mostrano le letture, soltanto penetrando nella verità tutta intera di Gesù Cristo. Soltanto incontrando il Verbo incarnato, il Redentore del mondo nel suo mistero di luce e di verità. Come per la madre di Gesù, Maria. È quanto ho cercato di mostrare sia con l’Enciclica Redemptoris Mater, che con la Lettera apostolica Redemptoris custos. L’odierna solennità di San Giuseppe, al pari delle solennità mariane, ha pertanto un eminente carattere cristologico.
3. Al tempo stesso, la figura del carpentiere di Nazaret, sposo della Madre di Dio e custode del Figlio dell’Altissimo, è piena di significato per la Chiesa, comunità chiamata a vivere la pienezza del mistero dell’uomo, pienezza che, come ha affermato il Concilio Vaticano II, si realizza solamente in Cristo. Così la Madre di Gesù e San Giuseppe avvicinano in modo particolare il mistero del Verbo incarnato ai problemi fondamentali dell’umana esistenza.
Si tratta, sostanzialmente, di due realtà: la famiglia e il lavoro, realtà non separate, ma tra loro in reciproca e stretta connessione.
La famiglia e il lavoro.
Proprio questa è stata la vita di Nazaret durante quei 30 anni, sintetizzati dall’Evangelista con l’espressione: “Gesù tornò con loro (cioè con Maria e Giuseppe) a Nazaret e stava loro sottomesso” (Lc 2, 51).
Una frase breve che sottolinea però bene il legame esistente tra la famiglia e il lavoro. Quanto ho trattato nelle Encicliche Laborem Exercens e Sollicitudo Rei Socialis lo vado approfondendo ogni anno in occasione delle visite che compio in varie località d’Italia nel giorno di San Giuseppe.
4. La famiglia e il lavoro! Alla luce del Vangelo e della Tradizione della Chiesa, che si esprime non soltanto nella continuità dell’insegnamento, ma anche nella pratica cristiana della vita e della morale, queste due importanti realtà umane mettono in evidenza la giusta gerarchia dei valori; sottolineano che il primato spetta all’uomo come persona e come comunità di persone: in primo luogo, quindi, la Famiglia. Ogni lavoro, e soprattutto il lavoro fisico, lega l’uomo al mondo delle cose, a tutto “l’ordine” delle cose. Il mondo è stato dato all’uomo come compito dal Creatore, come suo impegno terreno: “Soggiogate la terra”! Le parole del Libro della Genesi (cf. Gen 1, 28) indicano appunto questa subordinazione delle cose alla persona. Il mondo visibile è “per l’uomo”. Le cose sono per la persona.
Che quest’ordine sia compreso e rispettato! Che mai sia violato, e tanto meno sconvolto! Il progresso moderno, a ben vedere, porta con sé un pericolo di tale genere. La cultura “progressista” - tranne i progetti che hanno l’uomo come autentico riferimento - diventa facilmente cultura delle cose più che delle persone. Sono tante le cose da poter fare, sono così insistenti i richiami della pubblicità e della propaganda, che si rischia di esserne travolti. Si finisce col diventare, pur non volendolo, schiavi delle cose e della bramosia dell’avere. Il cosiddetto consumismo non rappresenta forse l’espressione dell’“ordine” (o, piuttosto, “non-ordine”), in cui ha più significato “avere” che “essere”? Non è forse sintomatico che su questa linea la cultura dominante si mostri talora ostile verso la vita nascente, quasi che quell’essere umano, che si affaccia all’esistenza, costituisca un ostacolo al possesso e all’uso delle cose?
È grande il rischio di vedere offesa la stessa dignità della persona, insidiata nella sua autonomia e nella sua libertà più profonda.
5. Soggiogate la terra!
Accogliete, carissimi fratelli e sorelle, la parola che oggi viene offerta dalla liturgia ed aprite il cuore alla forza dell’amore che abbatte le barriere dell’egoismo e dell’indifferenza. Non siate schiavi del possesso egoista, ma servitori della condivisione solidale! Si fissino gli occhi dello spirito sulla Sacra Famiglia e tragga la volontà, illuminata dalla fede, coraggio e perseveranza nel bene dalla intercessione di San Giuseppe!
Voi Sacerdoti, ministri della gratuita salvezza divina, sostenete il gregge affidato alle vostre cure pastorali con la preghiera, con l’esortazione, con l’esempio; condividetene in modo fraterno le speranze e le difficoltà. Nella famiglia cristiana, in ogni famiglia della vostra Diocesi, sia vivo, ad immagine della Casa di Nazaret, il clima dell’intesa e della comunione, della semplicità e del servizio.
Mi rivolgo soprattutto ai laici, a quanti sono impegnati nei vari movimenti e associazioni ecclesiali.
Mi rivolgo, inoltre, a quanti, chiamati da Dio alla vita consacrata, sono costituiti testimoni di un servizio al Signore e ai fratelli in modo totale ed esclusivo. Siate tutti fedeli alla vostra particolare vocazione.
Voi giovani nutrite le speranze del vostro presente e del vostro avvenire alla scuola della verità che non inganna e della vita che non perisce.
Quanto più facilmente la società potrebbe trovare soluzione alle problematiche che la inquietano se guardasse all’umile, ma eloquente, testimonianza d’amore offerta nella Casa di Nazaret! Con quanta concreta fiducia si riuscirebbe a guardare agli altri se l’attività d’ogni giorno fosse sentita come prezioso strumento di lode al Creatore e di servizio ai fratelli!
6. La famiglia di Nazaret, e, in modo particolare, la persona di San Giuseppe, sono in relazione profonda con questa vasta problematica che investe l’uomo e che mette in evidenza “in modo trasparente” l’ordine per il quale tutti devono adoperarsi. È un ordine che riguarda le persone, riguarda le famiglie e la società, concerne il mondo del lavoro e la legislazione. Si tratta del problema principale per l’uomo e per il suo futuro.
Rispondendo a Maria e Giuseppe: “Io devo occuparmi delle cose del Padre mio”, Gesù dimostra che l’ordine umano nell’ambito della famiglia-lavoro si stabilisce, in definitiva, sul fondamento divino: la sollecitudine del Padre. Per questa ragione Egli, tornato a Nazaret, vive in filiale “obbedienza”.
Ecco uno degli elementi che fanno parte della vita e del lavoro di ogni famiglia umana: la sollecitudine del Padre, l’abbandono fiducioso alla Provvidenza divina.
Dopo trent’anni verrà per il Cristo il tempo della sua missione messianica. E da quel momento sino alla fine si renderà manifesto il senso delle parole pronunciate quando aveva dodici anni.
L’obbedienza del Giovane di Nazaret si rivelerà come “obbedienza” redentrice del Figlio di Dio al Padre: l’obbedienza fino alla morte.
L’obbedienza a Dio, da cui “ogni paternità in cielo e in terra” (cf. Ef 3, 15) prende origine e modello; da questa obbedienza prende origine e modello anche il lavoro.
Il Padre “opera” (Gv 5, 17) incessantemente con il Figlio. Iddio conferisce senso ultimo e dignità piena ad ogni attività umana, ad ogni azione dell’uomo sulla terra.
Immagine di questo senso e di questa dignità è il Figlio di Dio.
È Cristo che ha collaborato con il carpentiere Giuseppe.
Al medesimo tavolo di lavoro, lavorava nella casa di Nazaret.
Alla fine, voglio ancora augurare alla vostra diocesi un buon avvio e un buon esito del Sinodo diocesano, che a voi oggi il Vescovo di Fabriano-Matelica ha annunciato.
Amen!
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