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CONCELEBRAZIONE DELLA MESSA «IN CENA DOMINI»

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Basilica di S. Giovanni in Laterano - Giovedì Santo, 28 marzo 1991

 

Il Padre gli aveva dato tutto nelle mani” (Gv 13, 3).

1. Quando Cristo si è trovato insieme con gli Apostoli nel Cenacolo per mangiare la Pasqua con loro, già sapeva questo. Ha saputo tutto ciò durante la sua vita terrena, durante gli anni della sua missione messianica, ma adesso lo sa in modo particolare, in modo definitivo:“Il Padre gli aveva dato tutto nelle mani”.

Con questa consapevolezza andrà al Getsemani, sarà sottoposto al giudizio e condannato alla morte di Croce. Questa consapevolezza, questa certezza, diventerà la sua sofferenza; una sofferenza umana, però umanamente inesprimibile. Diventerà il suo sacrificio redentore.

“Il Padre gli aveva dato tutto nelle mani”.

Tutto vuol dire l’intera creazione, compresa nell’eterno disegno divino. Tutto vuol dire ogni uomo e l’intera umanità. Nessun altro poteva comprendere questo segno, all’infuori di lui, il Figlio consostanziale al Padre, il Verbo Eterno, il Primogenito di tutte le creature. Solo lui!

Nelle sue mani il Padre ha posto tutto il futuro del Regno di Dio, l’escatologia della storia umana. Lui solo può, alla fine, restituire tutto al Padre, “perché Dio sia tutto in tutti” (1 Cor 15, 28).

2. Questa consapevolezza del Figlio significa, al tempo stesso, una particolare pienezza d’amore. Quando “era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13, 1).

Sino alla fine!

Da questo suo amore “sino alla fine” nasce l’Eucaristia. Da questo amore nascono il Getsemani e il Golgota; nasce l’ubbidienza fino alla morte e alla morte di Croce (cf. Fil 2, 8); nasce l’Eucaristia!

Cristo, tornando al Padre, sa che non può lasciarci. Deve rimanere perché il Padre “gli aveva dato tutto nelle mani”. Non può passare come passa il “tutto” nell’universo creato. Non può soltanto entrare nella storia. Deve rimanere al di sopra della storia e dentro la storia, affinché Dio possa divenire “tutto in tutti” (cf. 1 Cor 15, 28).

3. L’Eucaristia: Evento e Sacramento! Oggi viviamo questo in modo particolare. Più che in qualunque altro tempo la liturgia del Giovedì Santo, “in Cena Domini”, è “la memoria” di questo Evento. E, nello stesso tempo, è il Sacramento che perdura e si rende presente nella sua profondità e potenza originaria ogni volta “che mangiamo di questo pane e beviamo di questo calice”; ogni volta che “annunziamo la morte del Signore finché egli venga”; ogni volta che esprimiamo “la Nuova Alleanza” nel sangue di Cristo (cf. 1 Cor 11, 25-26): la Nuova ed Eterna Alleanza!

4. Cristo, a cui il Padre “aveva dato tutto nelle mani”, entra in questa culminante Ora della storia come Servo. L’immagine del Servo di Dio, presa dal profeta Isaia (cf. Is 42, 1-2) si realizza in lui totalmente.

“Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono” (Gv 13, 13). Ed ecco, io, Maestro e Signore, a cui il Padre ha messo tutto nelle mani, vi lavo i piedi (cf. Gv 13, 13).

Così fa il Servo.

E Cristo ha fatto così, e così è rimasto per tutti i tempi: come luce delle nostre coscienze, come servo della redenzione dell’uomo. Il più grande servizio dell’Agnello di Dio è il sacrificio redentore sulla Croce. Nell’Eucaristia il Figlio, glorificato alla destra del Padre, rimane come il servo della nostra redenzione.

“Vi ho dato... l’esempio, perché... facciate (così) anche voi” (Gv 13, 15).

Nel Giovedì Santo, “in Cena Domini”, riscopriamo sempre meglio il significato di questo “sacerdozio ministeriale”.

Gloria a Te, Re dei secoli! (cf. 1 Tm 1, 17).

 

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