VIAGGIO APOSTOLICO NELLA REPUBBLICA CECA E IN POLONIA
CANONIZZAZIONE DI ZDISLAVA DI LEMBERK E DI JAN SARKANDER
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Aeroporto Nerědìn di Olomouc (Repubblica Ceca)
Domenica, 21 maggio 1995
1. “Vado e torno a voi” (cf. Gv 14, 28).
Gesù pronuncia queste parole nel Cenacolo, il giorno prima della sua morte. Esse racchiudono in estrema sintesi l’evento pasquale: la dipartita mediante la morte di croce e la nuova venuta nella risurrezione.
Ma il contesto dell’odierno Vangelo indica anche un’altra dimensione. Dopo la risurrezione, il quarantesimo giorno, Cristo lascerà gli Apostoli tornando al Padre. Questa definitiva dipartita, è contemporaneamente la condizione per un’ulteriore presenza, che si estenderà di generazione in generazione, secondo le parole stesse di Cristo: “Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo” (Mt 28, 20).
“Sono con voi” vuol dire: sono con la Chiesa edificata su di voi, e vengo sempre in virtù dello Spirito Santo. È questa una multiforme venuta: nella parola del Vangelo, nei sacramenti, specialmente nell’Eucaristia, nella misteriosa inabitazione del cuore mediante la grazia. A quest’ultima venuta si riferiscono le parole che abbiamo ascoltato: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14, 23).
L’amore fa sì che le persone dimorino spiritualmente l’una nell’altra. È così nella dimensione umana; ciò avviene in modo ancora più profondo nella dimensione divino-umana. “Se uno mi ama [...] il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14, 23). L’amore per Cristo dunque attira l’amore del Padre e fa sì che il Figlio ed il Padre siano presenti nell’anima dell’uomo, si abbandonino intimamente all’uomo. Tale “dono” è opera dello Spirito Santo, l’Amore increato. Effuso nel cuore dell’uomo, Egli fa sì che tutta la Santissima Trinità sia presente in lui e dimori in lui.
Questa inabitazione, che scaturisce dall’amore e arricchisce l’amore, esige di attuarsi nella verità. Chi ama Gesù osserva la sua parola, quella parola di cui Egli dice: “Non è mia, ma del Padre che mi ha mandato” (Gv 14, 24). Chi ama Gesù vive del suo Vangelo.
Cristo è il Verbo del Padre. In Lui si realizza la pienezza della verità, che è in Dio e che è Dio stesso. Egli “si fece carne” (Gv 1, 14) per trasmetterci questa verità con parole umane, con opere umane e, definitivamente, nell’evento pasquale della croce e della risurrezione. Ora Cristo dice: “Vado al Padre” (Gv 14, 28). Ciò è per lui motivo di gioia divina, una gioia che Egli desidera trasmettere ai suoi discepoli. Con l’umanità che ha assunto, il Verbo torna alla propria Fonte – a quell’Eterno Alveo da cui, senza un inizio, attinge il suo inizio.
2. “Vado e torno a voi”.
Torno in virtù dello Spirito Santo. Cristo promette: “Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14, 26). La Liturgia, riproponendo oggi queste parole, pronunciate da Gesù nel Cenacolo il giorno prima della Passione, orienta i nostri pensieri verso i misteri ormai vicini dell’Ascensione del Signore e della Pentecoste. Gli Apostoli hanno già ricevuto lo Spirito Santo la sera del giorno di Pasqua, quando il Risorto, venuto in mezzo a loro nel Cenacolo, mostrando le ferite delle mani e del costato, ha detto loro: “Ricevete lo Spirito Santo” (Gv 20, 22).
Ciò che si è compiuto nell’intimità, deve ora compiersi in mezzo alla gente riunita a Gerusalemme per la festa di Pentecoste. Non ci sarà più Gesù con gli Apostoli nel Cenacolo, ma la venuta dello Spirito Santo farà sì che il Cristo cominci ad operare con efficacia nuova in loro e mediante loro: ad operare come verità e come amore.
Il Consolatore, lo Spirito Santo insegnerà agli Apostoli e alla Chiesa sino alla fine del mondo tutto ciò che Cristo stesso ha detto loro. Egli veglierà affinché l’insegnamento di Gesù, la sua verità duri incessantemente nella Chiesa; affinché il Verbo, uno col Padre nella divinità, possa continuare ad unire tra loro gli uomini di generazione in generazione con quella verità e quell’amore che Egli ha rivelato con la sua prima venuta nel mondo. Così dunque il Vangelo dell’odierna domenica ci orienta ormai molto chiaramente verso la nascita della Chiesa e verso la sua missione.
“Vi lascio la pace, vi do la mia pace” (Gv 14, 27). Cristo dice questo nel momento in cui i volti degli Apostoli lasciano intuire un senso di preoccupazione e di ansia. Sono infatti le ultime ore prima della passione. E perciò Egli dice loro: “Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore” (Gv 14, 27). Sarete, è vero, testimoni della mia umiliazione, della mia crocifissione e morte infame sulla croce. È comprensibile che siate angosciati da una simile prospettiva, che soffriate all’idea che il vostro Maestro debba lasciarvi in questo modo. Ma non siate turbati! Dopo la mia dipartita tornerò da voi risorto e godrete la pace che io vi do. In mezzo alle inquietudini del mondo, questa pace vi permetterà di essere miei testimoni, vi permetterà di annunziare il Vangelo e di condurre gli uomini alla santità.
3. “Vado e torno a voi”.
Le parole pronunciate da Cristo nel Cenacolo si compiono di generazione in generazione. Gli Apostoli, a partire dal giorno di Pentecoste, sono andati nel mondo intero per annunziare il Vangelo a tutte le nazioni, come ci ha ricordato la prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli. Il Vangelo fu annunziato, per bocca di Paolo e di Barnaba, tra i popoli pagani. E tale apertura al mondo fu confermata dallo Spirito per bocca della comunità apostolica, come è attestato nel cosiddetto Concilio di Gerusalemme.
Questo medesimo Vangelo della verità e della santità raggiunse a suo tempo le nostre terre slave – arrivò in Boemia e in Moravia, e qui si stabilì, come pure nelle regioni limitrofe. Esso ha prodotto frutti sovrabbondanti di grazia e di santità attraverso i secoli. Li ha prodotti anche in questa vostra Chiesa, antica ed illustre, che oggi ho la gioia di visitare. Saluto il vostro Arcivescovo, il caro Mons. Jan Graubner, che ringrazio per il cordiale indirizzo e per i gentili auguri che a nome di tutti mi ha rivolto. Con lui saluto il Vescovo Ausiliare e gli altri Presuli presenti. Saluto anche i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i catechisti, i laici impegnati e tutti voi che siete intervenuti a questa solenne celebrazione.
Oggi, infatti, qui in Olomouc, ho il privilegio di celebrare insieme con voi la canonizzazione del beato Jan Sarkander e della beata Zdislava di Lemberk.
4. La vicenda umana di santa Zdislava, nata in Moravia e vissuta in Boemia settentrionale nel secolo XIII, si distingue per una straordinaria capacità di donazione agli altri. Lo testimonia innanzitutto il suo comportamento in famiglia ove, come sposa del conte Havel di Lemberk, fu – secondo le parole del mio venerato predecessore Paolo VI – “esempio di fedeltà coniugale, sostegno di spiritualità domestica e di onestà dei costumi”. Lo conferma poi il suo impegno generoso nel campo caritativo e assistenziale, specialmente al capezzale dei malati, ai quali riservò sempre tali sollecitudini e premure da essere ancor oggi ricordata come “guaritrice”.
Santa Zdislava, vivendo intensamente la spiritualità di terziaria domenicana, seppe fare di se stessa un dono, secondo la parola di Gesù: “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere” (At 20, 35). Ecco il segreto della grande simpatia che la sua figura ha sempre suscitato già in vita, come poi dopo la morte e fino ad oggi. Il suo esempio appare di notevole attualità, soprattutto in riferimento al valore della famiglia, che – ella ci insegna – dev’essere aperta a Dio, al dono della vita e alle necessità dei poveri. La nostra santa è una mirabile testimone del “Vangelo della famiglia” e del “Vangelo della vita”, che la Chiesa è più che mai impegnata a diffondere in questo passaggio dal secondo al terzo millennio cristiano.
Famiglie della Boemia, famiglie della Moravia, tesoro inestimabile di questa nazione, diventate ciò che siete nel piano di Dio, specchiandovi nell’esempio dei vostri santi! E tu, Zdislava di Lemberk, guida le famiglie della tua Patria e del mondo intero alla conoscenza sempre più profonda della loro missione, rendile aperte al dono, tu, madre dolce e forte, caritatevole e pia!
5. Quasi quattro secoli dopo incontriamo Jan Sarkander, sacerdote e martire. Egli è vanto soprattutto vostro, carissimi Moravi, che da sempre lo amate e venerate come protettore, specie nelle ore più penose della vostra storia.
La sua figura si accende di luce eccezionale soprattutto alla fine della vita, quando viene imprigionato e riceve dal Signore la grazia del martirio. In un’epoca di turbolenze, egli si pone come segno della presenza di Dio, della sua fedeltà in mezzo alle contraddizioni della storia.
Ancor oggi ci colpisce l’adamantina fermezza di questo prete semplice e generoso: la sua fedele dedizione al dovere, fino alla morte. Nella segreta del carcere di Olomouc – di cui conservo ancora la forte impressione ricevuta nel visitarla – egli, sottoposto per settimane ad atroci supplizi, prega, e il Signore gli dona di offrire un raro esempio di pazienza e di costanza.
Forse oggi più che mai, all’indomani del Concilio Vaticano II e alle soglie del Terzo Millennio cristiano, ci è dato di cogliere la misteriosa consegna di Jan Sarkander per la Chiesa in Europa e nel mondo. La sua canonizzazione va anzitutto ad onore di tutti coloro che, in questo secolo, non solo in Moravia e Boemia ma in tutta l’Europa dell’Est, hanno preferito la privazione dei beni, l’emarginazione, la morte, piuttosto che piegarsi all’oppressione e alla violenza.
segnato in queste terre il Corpo di Cristo. Anzi, oggi io, Papa della Chiesa di Roma, a nome di tutti i cattolici, chiedo perdono dei torti inflitti ai non cattolici nel corso della storia turbolenta di queste genti; e al tempo stesso assicuro il perdono della Chiesa cattolica per quello che di male hanno patito i suoi figli. Possa questo giorno segnare un nuovo inizio nello sforzo comune di seguire Cristo, il suo Vangelo, la sua legge d’amore, il suo anelito supremo all’unità dei credenti in Lui: “Che tutti siano uno” (Gv 17, 21).
6. “Popoli tutti, lodate il Signore” (Rit. Salmo resp.).
Così canta la Chiesa nell’odierna Domenica del tempo pasquale. “Esultino le genti e si rallegrino, perché giudichi i popoli con giustizia, governi le nazioni sulla terra” (Sal 67, 5). Questo invito alla gioia trae origine dal compimento delle promesse di Cristo nel Cenacolo durante l’ultima Cena: esso scaturisce dal mistero pasquale della sua morte e risurrezione.
È la gioia della Pentecoste. Infatti, in virtù dello Spirito Santo, gli Apostoli di Cristo e i loro successori hanno evangelizzato i popoli e le nazioni del mondo intero, affinché si conoscesse sulla terra la via che è Cristo, fra tutte le genti si accogliesse la sua salvezza (cf. Sal 67, 3).
Oggi questa gioia coinvolge in modo particolare le nazioni slave di Boemia e Moravia, dove la via del Vangelo è aperta ormai da oltre dieci secoli. Fonte della nostra esultanza sono, oggi, in particolare coloro che hanno seguito tale via e ci guidano su di essa verso l’incontro con Cristo: santa Zdislava e san Jan Sarkander. Per la loro testimonianza la luce del Regno di Dio si è avvicinata agli uomini ed illumina il cammino delle generazioni verso la celeste Gerusalemme ov’è la dimora eterna in Dio.
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