VIAGGIO APOSTOLICO NELLA REPUBBLICA CECA E IN POLONIA
CELEBRAZIONE EUCARISTICA IN ONORE DI SAN JAN SARKANDER
SULLA SPIANATA KAPLICÓWKA
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Skoczów (Polonia) - Lunedì, 22 maggio 1995
1. Sia lodato Gesù Cristo! Cari Fratelli e Sorelle! Ecco le parole di S. Paolo dalla seconda lettera ai Corinzi: “Portiamo sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo” (cf. 2 Cor 4, 10).
Queste parole hanno un significato universale. Si riferiscono a tutti gli uomini, perché tutti sono stati redenti da Cristo e in tutti Egli continua la sua agonia, la sua morte e la sua resurrezione. In modo particolare, queste parole si riferiscono a tutti i battezzati, cioè a coloro che mediante il Battesimo sono stati immersi nella morte di Cristo, per partecipare in modo sacramentale alla sua resurrezione (cf. Rm 6, 3-4).
Oggi però la Chiesa riferisce queste parole in modo particolare a san Jan Sarkander. Ieri mi è stato dato di compiere l’atto solenne della sua canonizzazione a Olomouc in Moravia. È stato elevato all’onore degli altari insieme a santa Zdislava, il cui nome viene molto spesso scelto dai genitori per i loro figli e figlie anche in Polonia.
Oggi mi è dato di trovarmi a Skoczów, in Terra di Slesia, nel territorio della nuova diocesi di Bielsko-Żywiec. Fu proprio qui, a Skoczów, che venne al mondo san Jan Sarkander, sacerdote e martire, la cui vita fu legata sia alla Slesia di Cieszyn, sia alla vicina Olomouc in Moravia. Perciò lo veneriamo come Patrono della Slesia e della Moravia. Subì la morte per martirio come parroco a Holeszów, nel difficile periodo del Dopo-Riforma, quando le società venivano governate secondo un principio disumano: “cuius regio eius religio”. In virtù di tale principio i regnanti, violando i diritti fondamentali delle coscienze, imponevano con sopraffazione ai loro sudditi le proprie convinzioni religiose. Jan Sarkander sperimentò l’incidenza operativa di tale principio sin dai primissimi anni della sua vita. La sperimentò in modo particolare il giorno in cui gli fu dato di offrire la vita per Cristo. Egli resta come un testimone particolare di quell’epoca così difficile per la Chiesa e per il mondo.
Ed oggi Jan Sarkander si presenta davanti a noi come un nuovo Santo, un martire, che la Chiesa iscrive nel suo Martyrologium. Lo iscrive in modo particolare la Chiesa che è in Boemia e in Moravia, e la Chiesa che è in Polonia. Ecco ancora uno di coloro di cui l’odierna liturgia parla con le espressioni di san Paolo: “Portiamo sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo” (cf. 2 Cor 4, 10).
2. In questo giorno, giorno della a solenne liturgia, che celebro il giorno dopo la canonizzazione di san Jan Sarkander, voglio salutare tutti i presenti, e specialmente voi, che siete suoi connazionali. Anche se dalla sua epoca ci separano quasi quattrocento anni, resta il fatto che egli fu figlio di questa stessa Terra di Slesia, e che qui, dopo la sua morte per martirio, la sua figura venne circondata da un culto speciale, prima di tutto a Skoczów.
Vedendovi qui riuniti così numerosi, guardo ancora una volta come Vescovo di Roma questa bella Terra di Slesia, che più volte mi fu dato di visitare nella mia giovinezza, e in seguito come sacerdote e Vescovo, e specialmente come Metropolita di Cracovia. Oggi saluto questa terra con particolare commozione, poiché in essa è iscritta anche la storia della mia famiglia, specialmente di quella di mio padre e del mio fratello maggiore.
E salutando questa terra, saluto anche la Chiesa, prima di tutto nella tua persona, Monsignor Taddeo, primo Pastore della diocesi di Bielsko-Żywiec, e nella persona del tuo Vescovo ausiliare, Monsignor Janusz. Sono contento che in così poco tempo dopo la erezione della diocesi di Belsko-Żywiec posso visitarla e proprio in una occasione così straordinaria. Saluto da qui tutta la Polonia e tutta la Chiesa in Polonia ed il Cardinale Primate. Saluto il Signor Cardinale Primate, come pure i Signori Cardinali, i Metropoliti – in particolare i Metropoliti di Cracovia, di Breslavia, di Katowice e di Czestochowa, e tutti i Vescovi delle Diocesi della Polonia. Saluto il Signor Cardinale di Praga, il Metropolita di Olomouc. Devo aggiungere che anche se oggi sono a Skoczów sono sempre il loro ospite e devo ancora ritornare da loro. Ritorno da loro volentieri stasera. Do il benvenuto a tutti i Vescovi di tutta la regione della Moravia, della Boemia e della Slovacchia e a tutti gli altri ospiti che sono venuti qui oggi. Non possiamo dimenticare, cari Fratelli, che un tempo, ancora nel secolo X, proprio attraverso la Porta Morava il Vangelo si introdusse nelle terre polacche: che per questa via giunse da noi sant’Adalberto, Vescovo di Praga, il quale, insieme a san Stanislao, Vescovo di Cracovia, è il principale Patrono della Polonia: entrambi, Vescovi e martiri, condividono tale protezione con la Madonna di Jasna Gora, Regina della Polonia.
Rivolgo il mio saluto anche al Signor Presidente della Repubblica della Polonia Lech Wałesa, qui presente insieme alla consorte, al Signor Primo Ministro, ai rappresentanti del Governo e ai rappresentanti delle autorità provinciali e cittadine di Bielsko-Biała e di Skoczów.
Infine mi rivolgo a tutti voi, miei connazionali, esprimendo la mia gioia perché, dopo quattro anni di lontananza, la Divina Provvidenza mi ha permesso nuovamente di trovarmi in mezzo a voi, nella dilettissima terra patria.
Questa volta (sono venuto) non a Varsavia, non a Cracovia, ma a Skoczów. Forse bisognerà continuare a fare così. Non (andare) al centro, ma più vicino alle montagne e più vicino al mare.
3. Gesù dice nel Vangelo di oggi: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi – se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra... Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone” (Gv 15, 20).
Jan Sarkander di Skoczów conosceva queste parole, le aveva lette più volte e forse le conosceva a memoria. Avevano accompagnato la sua vita sin dalla prima giovinezza e poi sul cammino della vocazione sacerdotale, come parroco. Esse risuonarono sicuramente con forza particolare nella sua coscienza, quando si trovò faccia a faccia col martirio e dovette dare la vita per il suo gregge, a somiglianza di Cristo.
Il martirio – un corpo umano martoriato, il corpo di un sacerdote – di un parroco, sottoposto a prove, a torture, annientato fino alla morte...
Cari Fratelli e Sorelle! La testimonianza dei martiri è sempre per noi una sfida, ci provoca, ci costringe a riflettere. Di fronte a chi preferisce dare la vita piuttosto che tradire la voce della propria coscienza si può provare ammirazione oppure odio, ma certamente non si può restare indifferenti. I martiri hanno tante cose da dirci; innanzitutto però essi ci interpellano circa lo stato delle nostre coscienze, interpellano ciascuno circa la fedeltà alla propria coscienza. La coscienza... Il Concilio Vaticano II chiama la coscienza “il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo” e spiega: “Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell’intimità del cuore: fa’ questo, evita quest’altro” (Gaudium et Spes, 16).
Come si vede dal testo citato, la coscienza è per ogni uomo una questione di essenziale importanza. È la nostra guida interiore ed è anche il giudice dei nostri atti. Quanto è importante, dunque, che le nostre coscienze siano rette, che esprimano giudizi basati sulla verità, che chiamino il bene bene, e il male male, che sappiano – secondo le parole dell’Apostolo – “discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12, 2).
La nostra Patria si trova oggi dinanzi a numerosi, difficili problemi sociali, economici ed anche politici. Bisogna risolverli con saggezza e perseveranza. Più importante di tutti rimane tuttavia il problema di un giusto ordine morale. Questo ordine è fondamento della vita di ogni uomo e di ogni società. Perciò oggi la Polonia ha urgente bisogno soprattutto di uomini di coscienza!
Essere un uomo di coscienza vuol dire, prima di tutto, obbedire in ogni situazione alla propria coscienza e non far tacere la sua voce dentro di sé, anche se a volte è voce severa ed esigente; vuol dire impegnarsi nel bene e moltiplicarlo in sé ed intorno a sé, e vuol dire anche mai cedere al male, nello spirito delle parole di san Paolo: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male” (Rm 12, 21). Essere un uomo di coscienza vuol dire essere esigenti con se stessi, rialzarsi dalle proprie cadute, sempre nuovamente convertirsi. Essere un uomo di coscienza vuol dire impegnarsi nell’edificazione del Regno di Dio – Regno di verità e di vita, di giustizia, d’amore e di pace – nelle nostre famiglie, nelle comunità in cui viviamo e in tutta la Patria; vuol dire anche assumersi con coraggio la responsabilità per le cose pubbliche; vuol dire essere solleciti per il bene comune e non chiudere gli occhi alle miserie e alle necessità del prossimo, in spirito di solidarietà evangelica: “Portate i pesi gli uni degli altri” (Gal 6, 2). Ricordo di aver detto queste parole a Danzica durante la visita a Zaspa nel 1987.
Il nostro XX secolo è stato un periodo di particolari violenze inflitte alle coscienze umane. Nel nome delle ideologie totalitarie milioni di persone sono state costrette ad azioni in disaccordo con le loro più profonde convinzioni. Esperienze eccezionalmente dolorose sotto questo aspetto ha vissuto tutta l’Europa centro-orientale. Ricordiamo questo periodo di soggiogamento delle coscienze, periodo di disprezzo per la dignità dell’uomo, periodo di sofferenze di tanti uomini innocenti, che decisero di rimanere fedeli alle proprie convinzioni. Ricordiamo l’eminente ruolo svolto in quei tempi difficili dalla Chiesa a difesa dei diritti della coscienza, e non soltanto a vantaggio dei credenti.
In quegli anni ci domandavamo spesso: Può la storia andare contro la corrente delle coscienze? A quale prezzo lo “può”? Insisto: a quale prezzo?... Questo prezzo sono purtroppo le profonde ferite nel tessuto morale della Nazione, e prima di tutto nelle anime dei Polacchi, ferite non rimarginate, che dovranno essere curare per lungo tempo ancora.
Quei tempi, tempi di grande prova per le coscienze devono essere ricordati, poiché costituiscono per noi un avvertimento e un’esortazione alla vigilanza sempre attuali: affinché le coscienze dei polacchi non cedano alla demoralizzazione, affinché non si arrendano alle correnti del permissivismo morale, affinché sappiano scoprire il carattere liberatorio dell’insegnamento evangelico e dei comandamenti di Dio, affinché sappiano operare delle scelte, memori dell’avvertimento di Cristo: “Che giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima? E che cosa potrebbe mai dare un uomo in cambio della propria anima?” (Mc 8, 36-37).
Nonostante le apparenze, i diritti della coscienza vanno difesi anche oggi. Sotto l’insegna della tolleranza si diffonde, spesso, nella vita pubblica e nei mezzi di comunicazione di massa un’intolleranza forte, forse sempre più forte. I credenti lo risentono dolorosamente. Essi avvertono crescenti tendenze alla loro emarginazione nella vita sociale: si deride, a volte, e si schernisce ciò che per loro è più sacro. Queste forme di ritornante discriminazione destano inquietudine e devono fare molto pensare.
Fratelli e Sorelle! Il tempo di prova per le coscienze dei polacchi continua! Dovete essere forti nella fede!
Oggi, mentre lottate per una nuova forma della vostra vita sociale e dello Stato, non dimenticate che essa dipende prima di tutto da come sarà l’uomo, da come sarà la sua coscienza. Perciò innalziamo il nostro grido di preghiera:
“Vieni, Santo Spirito...
vieni, Luce dei cuori...
Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido...
scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato...”.
Vieni, Luce delle coscienze!
4. “Stat crux dum volvitur orbis”.
Sulle vie delle coscienze degli uomini, a volte tanto difficili e tanto ingarbugliate, Dio ha posto una grande “segnalazione stradale”, che conferisce il senso definitivo e la direzione alla vita umana. È la Croce del nostro Signore Gesù Cristo.
Nessuno come i martiri ha approfondito il mistero della Croce di Cristo. Nella loro vita il mistero della Croce e della sua potenza si manifesta in un modo particolarmente leggibile ad ogni uomo. Non è dunque a caso che, venerando il Martire di Skoczów, san Jan Sarkander, ci raduniamo oggi sotto la Croce. E questa è una Croce particolare, testimone del memorabile incontro del Papa con il Popolo di Dio della Slesia nell’anno 1983. È eloquente questo segno di continuità. È eloquente anche il fatto che sono proprio le croci a diventare quasi delle pietre miliari nei percorsi dei pellegrinaggi papali.
Sii salutata, o Croce di Cristo!
La Croce di Cristo è il segno della nostra salvezza, il segno della nostra fede e il segno della nostra speranza. Scrive san Paolo: “Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati... potenza di Dio e sapienza di Dio” (1 Cor 1, 23-24).
La Croce ci ricorda il prezzo della nostra salvezza. Dice quale grande valore ha l’uomo agli occhi di Dio – ogni uomo! – se Dio l’ha amato fino alla croce: “Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13, 1). Quanto ci dice questo “sino alla fine”! Così ama Dio, Egli ama l’uomo “sino alla fine”. Prova di ciò è proprio la Croce di Cristo. Si può rimanere indifferenti di fronte ad una tale prova d’amore?
Cari Fratelli e Sorelle! Nella nostra terra polacca la Croce ha la sua lunga storia, ormai ultramillenaria. È la storia della salvezza che si è venuta iscrivendo in quella della grande comunità umana che è la Nazione. Lungo i secoli, nei periodi di prove molto dure, la Nazione ha cercato e trovato la forza per sopravvivere e per alzarsi dalle storiche sconfitte proprio in essa, nella Croce di Cristo! E mai è stata delusa! È stata forte della forza e della sapienza della Croce! Si può dimenticarlo?
In questo momento mi vengono alla memoria le parole che dissi nel Błonia Krakowskie durante il mio primo pellegrinaggio in Polonia, nel 1979. Sedici anni sono passati da quel momento e l’attualità di quelle parole sempre aumenta. Dicevo allora: “Si può rifiutare Cristo e tutto ciò che Egli ha portato nella storia dell’uomo? Egli! Certamente si può. L’uomo è libero. L’uomo può dire a Cristo: no. Ma rimane la domanda fondamentale: è lecito farlo? e nel nome di che cosa è lecito? Quale argomento razionale, quale valore della volontà e del cuore puoi tu mettere dinanzi a te stesso, al prossimo, ai connazionali e alla nazione, per respingere, per dire “no” a ciò di cui tutti abbiamo vissuto per mille anni? A ciò che ha creato ed ha sempre costituito le basi della nostra identità?”.
Oggi, mentre la Polonia getta le basi per la sua esistenza libera e sovrana, dopo tanti anni di esperienze di totalitarismo, bisogna ricordare queste parole. Dopo sedici anni occorre, alla luce di esse, fare un profondo esame di coscienza: Dove andiamo? In quale direzione vanno le coscienze?
Cari Fratelli e Sorelle, cari connazionali! Su questa grande svolta della storia patria, quando si decide la futura forma della nostra Repubblica, il Papa, vostro connazionale, non si stanca di chiedervi di accogliere nuovamente con fede e amore quest’eredità della Croce di Cristo. Che di nuovo, in modo libero e maturo, scegliate la Croce di Cristo, come la scelse una volta san Jan Sarkander e tanti altri santi e martiri. Che vi assumiate la responsabilità della presenza della Croce nella vita di ciascuno e di ciascuna di voi, nella vita delle vostre famiglie e nella vita di questa grande Comunità che è la Polonia. Difendetela! L’Apostolo infatti dice: “Abbiamo questo tesoro in vasi di creta” (2 Cor 4, 7).
Cristo attende la nostra risposta...
Quale risposta darà a Cristo la Polonia oggi, alla soglia del Grande Giubileo dell’Anno 2000?...
Ecco le parole di un canto della Quaresima:
“Signore, tu vedi che non temo la croce,
Signore, tu vedi che non mi vergogno della croce.
Bacio la tua croce, mi inginocchio davanti ad essa,
Perché su questa croce vedo il mio Dio...” (Canto polacco).
5. “Noi ti lodiamo, Dio, ti proclamiamo Signore... Ti acclama... la candida schiera dei martiri”.
Sono parole dell’inno Te Deum. Ricordiamo ancora quel grande Te Deum del Millennio del Battesimo della Polonia, che quasi trent’anni fa risuonava nella nostra terra patria, dall’Ovest all’Est e dal Baltico fino ai Tatra. Oggi esso si fa sentire qui a Skoczów. Si fa sentire come un inno di ringraziamento per il santo martire Jan Sarkander, il quale proprio da questa terra di Slesia è salito alla gloria degli altari.
Ed ecco, si presenta davanti a noi, al termine di questa meditazione, il Cristo dell’Apocalisse di san Giovanni, il Cristo Buon Pastore ed insieme il Cristo Agnello di Dio, che ha dato la sua vita per il suo gregge (cf. Ap 7, 9-14). Quel Cristo è stato il Maestro di Jan Sarkander! È stato lui ad insegnargli a dare la vita per il suo gregge. Ed ora riceve il suo fedele discepolo nel mistero della comunione dei Santi. Lo abbraccia con l’eterna luce della comunione con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo – faccia a faccia. Lo conduce alle più profonde fonti della vita. E noi, che partecipiamo a questa Eucaristia, a questo solenne ringraziamento per il dono della sua canonizzazione, desideriamo arrivare alle stesse fonti di vita, guardando al suo esempio e fidando nella sua intercessione.
Amen.
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