LETTERA
IUVENUM PATRIS
DEL SOMMO PONTEFICE
GIOVANNI PAOLO II
NEL CENTENARIO DELLA MORTE DI SAN GIOVANNI BOSCO
Al diletto figlio Egidio Viganò
Rettore Maggiore della Società Salesiana
nel primo centenario della morte
di san Giovanni Bosco.
Carissimo figlio,
salute e apostolica benedizione.
La diletta Società Salesiana si prepara a ricordare con opportune iniziative il I centenario della morte di san Giovanni Bosco, padre e maestro dei giovani, perciò mi è gradito cogliere l’occasione per riflettere ancora una volta sul problema dei giovani, meditando sulle responsabilità che la Chiesa ha nella loro preparazione al domani.
La Chiesa, infatti, ama intensamente i giovani: sempre, ma soprattutto in questo periodo ormai vicino all’anno Duemila, si sente invitata dal suo Signore a guardare ad essi con speciale amore e speranza, considerando la loro educazione come una delle sue primarie responsabilità pastorali.
Il Concilio Vaticano II ha affermato con chiara visione che “l’umanità vive oggi un periodo nuovo nella sua storia” (Gaudium et Spes, 4); ed ha riconosciuto che sono sorte “iniziative atte a promuovere sempre di più l’attività educativa” (Gravissimum Educationis, prooemium). In un’epoca di trapasso culturale la Chiesa nel settore educativo avverte con preoccupazione l’urgente necessità di superare il dramma di una profonda rottura tra Vangelo e cultura (cf. Pauli VI Evangelii Nuntiandi, 20), che sottovaluta ed emargina il messaggio salvifico di Cristo.
Nell’allocuzione pronunciata dinanzi ai membri dell’UNESCO ebbi occasione di affermare: “Non c’è dubbio che il fatto culturale primo e fondamentale è l’uomo spiritualmente maturo, cioè l’uomo pienamente educato, l’uomo capace di educare se stesso e di educare gli altri” (“Allocutio ad eos qui conventui Consilii ab exsecutione internationalis organismi compendiariis litteris UNESCO nuncupati affuere”, 12, die 2 iun. 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 1 [1980] 1645); e notavo una certa tendenza a “uno spostamento unilaterale verso l’istruzione” con conseguenti manipolazioni che possono provocare “una vera alienazione dell’educazione” (“Allocutio ad eos qui conventui Consilii ab exsecutione internationalis organismi compendiariis litteris UNESCO nuncupati affuere”, 12, 2 iun. 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 1 [1980] 1646). Ricordavo, quindi, che “il compito primario ed essenziale della cultura in generale e anche di ogni cultura, è l’educazione. Questa consiste nel fatto che l’uomo diventi sempre più uomo, che possa «essere» di più, e non solamente che possa «avere» di più, e che di conseguenza, attraverso tutto ciò che egli «ha», tutto ciò che egli «possiede», sappia sempre più pienamente «essere» uomo” (“Allocutio ad eos qui conventui Consilii ab exsecutione internationalis organismi compendiariis litteris UNESCO nuncupati affuere”, 12, die 2 iun, 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 1 [1980] 1644).
Nei numerosi incontri avuti con i giovani dei vari continenti, nei messaggi che ho loro rivolto e in particolare nella lettera, che nel 1985 indirizzai “Ai giovani e alle giovani del mondo”, ho espresso l’intima mia persuasione che è con loro che cammina e deve camminare la Chiesa (“Parati Semper”).
Desidero qui rifarmi a quelle medesime considerazioni in occasione delle celebrazioni centenarie del “dies natalis” di un grande figlio della Chiesa, il santo sacerdote Giovanni Bosco, che il mio predecessore Pio XI non esitò a definire “educator princeps” (Pii XI “Germinata Laetitia”, die 1 apr. 1934: AAS 27 [1935] 285).
Tale fausta ricorrenza mi offre l’occasione di un gradito colloquio non solo con lei, con i suoi confratelli e i membri tutti della Famiglia Salesiana, ma anche con i giovani, che sono i destinatari dell’azione educativa, con gli educatori cristiani e con i genitori, chiamati a esercitare un così nobile ministero umano ed ecclesiale.
Mi è anche gradito rilevare che questa “memoria” del santo ha luogo durante l’“Anno mariano”, che orienta la nostra riflessione su “colei che ha creduto”: nel sì generoso della sua fede scopriamo la sorgente feconda della sua opera educatrice (Redemptoris Mater, 12-19), come Madre di Gesù prima e poi come Madre della Chiesa ed Ausiliatrice di tutti i Cristiani.
I. San Giovani Bosco amico dei giovani
2. Giovanni Bosco morì a Torino il 31 gennaio 1888. Nei quasi 73 anni della sua vita egli fu testimone di profondi e complessi mutamenti politici, sociali e culturali: moti rivoluzionari, guerra ed esodo della popolazione dalle campagne verso le città, tutti fattori che incisero sulle condizioni di vita della gente, specialmente dei ceti più poveri. Addensati nelle periferie delle città, i poveri in genere ed i giovani in particolare diventano oggetto di sfruttamento o vittime della disoccupazione; durante la loro crescita umana, morale, religiosa, professionale sono seguiti in maniera insufficiente e spesso non sono affatto curati. Sensibili ad ogni mutamento, i giovani restano sovente insicuri e smarriti. Di fronte a questa massa sradicata l’educazione tradizionale rimane sconvolta: a vario titolo filantropi, educatori, ecclesiastici si sforzano di venire incontro ai nuovi bisogni. Emerge fra essi in Torino don Bosco per la sua chiara ispirazione cristiana, per l’iniziativa coraggiosa e per la diffusione rapida ad ampia della sua opera.
3. Egli sentiva di aver ricevuto una speciale vocazione e di essere assistito e quasi guidato per mano, nell’attuazione della sua missione, dal Signore e dall’intervento materno della Vergine Maria. La sua risposta fu tale che la Chiesa lo ha proposto ufficialmente ai fedeli quale modello di santità. Quando nella Pasqua del 1934, alla chiusura del Giubileo della redenzione, il mio predecessore di immortale memoria, Pio XI, lo iscriveva nell’albo dei santi, ne tessé un indimenticabile elogio.
Giovannino, orfano di padre in tenera età, educato con profondo intuito umano e cristiano dalla mamma, viene dotato dalla Provvidenza di doni, che lo fanno fin dai primi anni l’amico generoso e diligente dei suoi coetanei.
La sua giovinezza è l’anticipo di una straordinaria missione educativa. Sacerdote, in una Torino in pieno sviluppo, viene a diretto contatto con i giovani carcerati e con altre drammatiche situazioni umane.
Dotato di una felice intuizione del reale e attento conoscitore della storia della Chiesa, egli ricava dalla conoscenza di tali situazioni e dalle esperienze di altri apostoli, specialmente di san Filippo Neri e di san Carlo Borromeo, la formula dell’“Oratorio”. Gli è singolarmente caro questo nome; l’Oratorio caratterizzerà tutta la sua opera, ed egli lo modellerà secondo una sua originale prospettiva, adatta all’ambiente, ai suoi giovani e ai loro bisogni. Come principale protettore e modello dei suoi collaboratori sceglie san Francesco di Sales, il santo dallo zelo multiforme, dalla umanissima bontà che si manifestava soprattutto nella dolcezza del tratto.
4. L’“Opera degli Oratori” inizia nel 1841 con un “semplice catechismo” e si espande progressivamente per rispondere a situazioni ed esigenze pressanti; l’ospizio per accogliere gli sbandati, il laboratorio e la scuola di arti e mestieri per insegnar loro un lavoro e renderli capaci di guadagnarsi onestamente la vita, la scuola umanistica aperta all’ideale vocazionale, la buona stampa, le iniziative e i metodi ricreativi propri dell’epoca (teatro, banda, canto, passeggiate autunnali).
L’espressione felice: “Basta che siate giovani perché io vi ami assai” (“Il Giovane provveduto”, 7), è la parola e, prima ancora, l’opzione educativa fondamentale del santo: “Ho promesso a Dio che fin l’ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani” (“Memorie biografiche di S. Giovanni Bosco”, vol. 18, 258). E, veramente, per essi egli svolge un’impressionante attività con le parole, gli scritti, le istituzioni, i viaggi, gli incontri con personalità civili e religiose; per essi, soprattutto, manifesta un’attenzione premurosa, rivolta alle loro persone, perché nel suo amore di padre i giovani possano cogliere il segno di un amore più alto.
Il dinamismo del suo amore si fa universale e lo spinge ad accogliere il richiamo di Nazioni lontane, fino alle missioni di oltre oceano, per una evangelizzazione che non è mai disgiunta da un’autentica opera di promozione umana.
Secondo gli stessi criteri e col medesimo spirito egli cerca di trovare una soluzione anche ai problemi della gioventù femminile. Il Signore suscita accanto a lui una confondatrice: santa Maria Domenica Mazzarello con un gruppo di giovani colleghe già dedicate, a livello parrocchiale, alla formazione cristiana delle ragazze. Il suo atteggiamento pedagogico suscita altri collaboratori - uomini e donne - “consacrati” con voti stabili, “cooperatori”, associati nella condivisione degli ideali pedagogici e apostolici, e coinvolge gli “ex-allievi”, spronandoli a testimoniare e a promuovere essi stessi l’educazione ricevuta.
5. Tanto spirito d’iniziativa è frutto di una profonda interiorità. La sua statura di santo lo colloca, con originalità, tra i grandi Fondatori di Istituti religiosi nella Chiesa. Egli eccelle per molti aspetti: è l’iniziatore di una vera scuola di nuova e attraente spiritualità apostolica; è il promotore di una speciale devozione a Maria, Ausiliatrice dei cristiani e Madre della Chiesa, è il testimone di un leale e coraggioso senso ecclesiale, manifestato attraverso mediazioni delicate nelle allora difficili relazioni tra la Chiesa e lo Stato; è l’apostolo realistico e pratico, aperto agli apporti delle nuove scoperte; è l’organizzatore zelante delle missioni con sensibilità veramente cattolica; è, in modo eccelso, l’esemplare di un amore preferenziale per i giovani, specialmente per i più bisognosi, a bene della Chiesa e della società; è il maestro di un’efficace e geniale prassi pedagogica, lasciata come dono prezioso da custodire e sviluppare.
In questa lettera mi piace considerare di don Bosco soprattutto il fatto che egli realizza la sua personale santità mediante l’impegno educativo vissuto con zelo e cuore apostolico, e che sa proporre, al tempo stesso, la santità quale meta concreta della sua pedagogia. Proprio un tale interscambio tra “educazione” e “santità” è l’aspetto caratteristico della sua figura: egli è un “educatore santo”, si ispira a un “modello santo” - Francesco di Sales -, è un discepolo di un “maestro spirituale santo” - Giuseppe Cafasso -, e sa formare tra i suoi giovani un “educando santo”: Domenico Savio.
II. Il messaggio profetico di san Giovanni Bosco educatore
6. La situazione giovanile nel mondo d’oggi - a un secolo dalla morte del santo - è molto cambiata e presenta condizioni e aspetti multiformi, come ben sanno gli educatori e i pastori. Eppure, anche oggi permangono quelle stesse domande, che il sacerdote Giovanni Bosco meditava sin dall’inizio del suo ministero, desideroso di capire e determinato ad operare. Chi sono i giovani? Che cosa vogliono? A che cosa tendono? Di che cosa hanno bisogno? Questi, allora come oggi, sono gli interrogativi difficili, ma ineludibili che ogni educatore deve affrontare.
Non mancano oggi tra i giovani di tutto il mondo gruppi genuinamente sensibili ai valori dello spirito, desiderosi di aiuto e sostegno nella maturazione della loro personalità.
D’altra parte è evidente che la gioventù è sottoposta a spinte e condizionamenti negativi, frutto di visioni ideologiche diverse. L’educatore attento saprà rendersi conto della concreta condizione giovanile ed intervenire con sicura competenza e lungimirante saggezza.
7. In ciò egli sa di essere sollecitato, illuminato e sostenuto dalla incomparabile tradizione educativa della Chiesa.
Consapevole di essere il popolo di cui Dio è padre ed educatore, secondo l’esplicito insegnamento della Sacra Scrittura (cf. Dt 1, 31; 8, 5; 32, 10-12; Os 11, 1-4; Is 1, 3; Ger 3, 14-15; Pr 3, 11-12; Eb 12, 5-11; Ap 3, 19), la Chiesa, “esperta in umanità”, a buon diritto può anche dirsi “esperta in educazione”. Lo testimonia la lunga e gloriosa storia bimillenaria scritta da genitori e famiglie, sacerdoti, laici, uomini e donne, istituzioni religiose e movimenti ecclesiali, che nel servizio educativo hanno dato espressione al carisma loro proprio di prolungare l’educazione divina che ha il suo culmine in Cristo. Grazie all’opera di tanti educatori e pastori e di numerosi Ordini e Istituti religiosi, promotori di istituzioni di inestimabile valore umano e culturale, la storia della Chiesa si identifica, in non piccola parte, con la storia dell’educazione dei popoli. Davvero per la Chiesa - come ha affermato il Concilio Vaticano II - interessarsi dell’educazione è obbedienza al “mandato ricevuto dal suo divin Fondatore, che è quello di annunziare il mistero della salvezza a tutti gli uomini e di edificare tutto in Cristo” (Gravissimum Educationis, prooemium).
8. Parlando dell’opera dei religiosi e sottolineandone l’intraprendenza, Papa Paolo VI, di venerata memoria, affermava che il loro apostolato “è spesso contrassegnato da una originalità e genialità che costringono all’ammirazione” (Pauli VI Evangelii Nuntiandi, 69). Per san Giovanni Bosco, fondatore di una grande Famiglia spirituale, si può dire che il tratto peculiare della sua “genialità” è legato a quella prassi educativa che egli stesso chiamò “sistema preventivo”. Questo rappresenta, in un certo modo, il condensato della sua saggezza pedagogica e costituisce quel messaggio profetico, che egli ha lasciato ai suoi e a tutta la Chiesa, ricevendo attenzione e riconoscimento da parte di numerosi educatori e studiosi di pedagogia.
Il termine “preventivo”, che egli usa, va preso più che nella sua stretta accezione linguistica, nella ricchezza delle caratteristiche tipiche dell’arte educativa del santo. Va innanzitutto ricordata la volontà di prevenire il sorgere di esperienze negative, che potrebbero compromettere le energie del giovane oppure obbligarlo a lunghi e penosi sforzi di ricupero. Ma nel termine ci sono anche, vissute con peculiare intensità, profonde intuizioni, precise opzioni e criteri metodologici, quali l’arte di educare in positivo, proponendo il bene in esperienze adeguate e coinvolgenti, capaci di attrarre per la loro nobiltà e bellezza; l’arte di far crescere i giovani “dall’interno”, facendo leva sulla libertà interiore, contrastando i condizionamenti e i formalismi esteriori; l’arte di conquistare il cuore dei giovani per invogliarli con gioia e con soddisfazione verso il bene, correggendo le deviazioni e preparandoli al domani attraverso una solida formazione del carattere.
Ovviamente, questo messaggio pedagogico suppone nell’educatore la convinzione che in ogni giovane, per quanto emarginato o deviato, ci sono energie di bene che, opportunamente stimolate, possono determinare la scelta della fede e dell’onestà.
Conviene, perciò, soffermarsi a riflettere brevemente su quello che, per provvidenziale risonanza della Parola di Dio, costituisce uno degli aspetti più caratteristici della pedagogia del santo.
9. Uomo dalla multiforme e instancabile attività, don Bosco ha offerto con la sua vita l’insegnamento più efficace, tanto che già dai suoi contemporanei fu considerato educatore eminente. Le poche pagine, che dedicò a presentare la sua esperienza pedagogica (cf. “Il Sistema Preventivo”, in “Regolamento per le case della Società di S. Francesco di Sales”, in Giovanni Bosco “Scritti pedagogici e spirituali”, 192 ss), acquistano pieno significato, solo se confrontate con l’insieme della lunga e ricca esperienza acquisita vivendo in mezzo ai giovani.
Per lui educare comporta uno speciale atteggiamento dell’educatore e un complesso di procedimenti, fondati su convinzioni di ragione e di fede, che guidano l’azione pedagogica. Al centro della sua visione sta la “carità pastorale”, che egli così descrive: “La pratica del sistema preventivo è tutta poggiata sopra le parole di san Paolo che dice: «La carità è benigna e paziente; soffre tutto, ma spera tutto e sostiene qualunque disturbo»” (“Il Sistema Preventivo”, in “Regolamento per le case della Società di S. Francesco di Sales”, in Giovanni Bosco “Scritti pedagogici e spirituali”, 194-195). Essa inclina ad amare il giovane, qualunque sia lo stato in cui si trova, per portarlo alla pienezza di umanità che si è rivelata in Cristo, per dargli la coscienza e la possibilità di vivere da onesto cittadino come figlio di Dio. Essa fa intuire e alimenta le energie che il santo riassume nel trinomio ormai celebre della formula: “Ragione, religione, amorevolezza” (cf. “Il Sistema Preventivo”, in “Regolamento per le case della Società di S. Francesco di Sales”, in Giovanni Bosco “Scritti pedagogici e spirituali”, 166).
10. Il termine “ragione” sottolinea, secondo l’autentica visione dell’umanesimo cristiano, il valore della persona, della coscienza, della natura umana, della cultura, del mondo del lavoro, del vivere sociale, ossia di quel vasto quadro di valori che è come il necessario corredo dell’uomo nella sua vita familiare, civile e politica. Nell’enciclica Redemptor Hominis ho ricordato che “Gesù Cristo è la via principale della Chiesa; questa via conduce da Cristo all’uomo” (Redemptor Hominis, 13. 14).
È significativo rilevare che già più di cento anni fa don Bosco attribuiva molta importanza agli aspetti umani e alla condizione storica del soggetto; alla sua libertà, alla sua preparazione alla vita e ad una professione, all’assunzione delle responsabilità civili, in un clima di gioia e di generoso impegno verso il prossimo. Egli esprimeva questi obiettivi con parole incisive e semplici, quali “allegria”, “studio”, “pietà”, “saggezza”, “lavoro”, “umanità”. Il suo ideale educativo è caratterizzato da moderazione e realismo. Nella sua proposta pedagogica c’è un’unione ben riuscita tra la permanenza dell’essenziale e la contingenza dello storico, tra il tradizionale e il nuovo.
Il santo presenta ai giovani un programma semplice e allo stesso tempo impegnativo, sintetizzato in una formula felice e suggestiva: onesto cittadino, perché buon cristiano.
In sintesi la “ragione”, a cui don Bosco crede come dono di Dio e come compito inderogabile dell’educatore, indica i valori del bene, nonché gli obiettivi da perseguire, i mezzi e i modi da usare. La “ragione” invita i giovani ad un rapporto di partecipazione ai valori compresi e condivisi. Egli la definisce anche “ragionevolezza” per quel necessario spazio di comprensione, di dialogo e di pazienza inalterabile in cui trova attuazione il non facile esercizio della razionalità.
Tutto questo, certo, suppone oggi la visione di un’antropologia aggiornata e integrale, libera da riduzionismi ideologici. L’educatore moderno deve saper leggere attentamente i segni dei tempi per individuarne i valori emergenti che attraggono i giovani: la pace, la libertà, la giustizia, la comunione e la partecipazione, la promozione della donna, la solidarietà, lo sviluppo, le urgenze ecologiche.
11. Il secondo termine, “religione”, indica che la pedagogia di don Bosco è costitutivamente trascendente, in quanto l’obiettivo educativo ultimo che egli si propone è la formazione del credente. Per lui l’uomo formato e maturo è il cittadino che ha fede, che mette al centro della sua vita l’ideale dell’uomo nuovo proclamato da Gesù Cristo e che è coraggioso testimone delle proprie convinzioni religiose.
Non si tratta - come si vede - di una religione speculativa e astratta, ma di una fede viva, radicata nella realtà, fatta di presenza e di comunione, di ascolto e di docilità alla grazia. Come egli amava dire, “colonne dell’edificio educativo” (cf. Giovanni Bosco “Scritti pedagogici e spirituali”, 168) sono l’Eucaristia, la Penitenza, la devozione alla Madonna, l’amore alla Chiesa e ai suoi pastori. La sua educazione è un “itinerario” di preghiera, di liturgia, di vita sacramentale, di direzione spirituale; per alcuni, risposta alla vocazione di speciale consacrazione (quanti sacerdoti e religiosi si formarono nelle case del santo!); per tutti, la prospettiva e il conseguimento della santità.
Don Bosco è il prete zelante che riferisce sempre al fondamento rivelato tutto ciò che riceve, vive e dona.
Questo aspetto della trascendenza religiosa, caposaldo del metodo pedagogico di don Bosco, non solo è applicabile a tutte le culture, ma è adattabile con frutto anche alle religioni non cristiane.
12. Infine, dal punto di vista metodologico, l’“amorevolezza”. Si tratta di un atteggiamento quotidiano, che non è semplice amore umano né sola carità soprannaturale. Essa esprime una realtà complessa ed implica disponibilità, sani criteri e comportamenti adeguati.
L’amorevolezza si traduce nell’impegno dell’educatore quale persona totalmente dedita al bene degli educandi, presente in mezzo a loro, pronta ad affrontare sacrifici e fatiche nell’adempiere la sua missione. Tutto ciò richiede una vera disponibilità per i giovani, simpatia profonda e capacità di dialogo. È tipica e quanto mai illuminante l’espressione: “Qui con voi mi trovo bene: è proprio la mia vita stare con voi” (“Memorie biografiche di S. Giovanni Bosco”, vol 4, 654). Con felice intuizione esplicita: quello che importa è che “i giovani non siano solo amati, ma che essi conoscano di essere amati” (“Lettera da Roma”, 1884, in Giovanni Bosco “Scritti pedagogici e spirituali”, 294).
Il vero educatore, dunque, partecipa alla vita dei giovani, si interessa ai loro problemi, cerca di rendersi conto di come essi vedono le cose, prende parte alle loro attività sportive e culturali, alle loro conversazioni; come amico maturo e responsabile, prospetta itinerari e mete di bene, è pronto a intervenire per chiarire problemi, per indicare criteri, per correggere con prudenza e amorevole fermezza valutazioni e comportamenti biasimevoli. In questo clima di “presenza pedagogica” l’educatore non è considerato un “superiore”, ma un “padre, fratello e amico” (“Lettera da Roma”, 1884, in Giovanni Bosco “Scritti pedagogici e spirituali”, 296).
In tale prospettiva vengono privilegiate anzitutto le relazioni personali. Don Bosco ama usare il termine “familiarità” per definire il rapporto corretto tra educatori e giovani. La lunga esperienza lo ha convinto che senza familiarità non si può dimostrare l’amore, e senza tale dimostrazione non può nascere quella confidenza, che è condizione indispensabile per la riuscita dell’azione educativa. Il quadro delle finalità da raggiungere, il programma, gli orientamenti metodologici acquistano concretezza ed efficacia, se improntati a schietto “spirito di famiglia”, cioè se vissuti in ambienti sereni, gioiosi, stimolanti.
A questo proposito va almeno ricordato l’ampio spazio e dignità dati dal santo al momento ricreativo, allo sport, alla musica, al teatro o - come egli amava dire - al cortile. È lì, nella spontaneità ed allegria dei rapporti, che l’educatore sagace coglie modi di intervento, tanto lievi nelle espressioni, quanto efficaci per la continuità e il clima di amicizia in cui si realizzano (Circa il rapporto tra divertimento ed educazione secondo il pensiero e la prassi di Giovanni Bosco, è noto che gli Oratori salesiani si distinguano per il grande spazio di tempo dato allo sport, teatro, musica, e ad ogni iniziativa di sana e formativa ricreazione). L’incontro, per essere educativo, richiede un continuo ed approfondito interesse che porti a conoscere i singoli personalmente ed insieme le componenti di quella condizione culturale che è loro comune. Si tratta di un’attenzione intelligente e amorosa alle aspirazioni, ai giudizi di valore, ai condizionamenti, alle situazioni di vita, ai modelli ambientali, alle tensioni, rivendicazioni, proposte collettive. Si tratta di percepire l’urgenza della formazione della coscienza, del senso familiare, sociale e politico, della maturazione nell’amore e nella visione cristiana della sessualità, della capacità critica e della giusta duttilità nell’evolversi dell’età e della mentalità, avendo sempre ben chiaro che la giovinezza non è solo un momento di transito, ma un tempo reale di grazia per la costruzione della personalità.
Anche oggi, pur in un mutato contesto culturale e con giovani di religione anche non cristiana, questa caratteristica costituisce una fra le tante istanze valide e originali della pedagogia di don Bosco.
13. Desidero rilevare, infatti, che questi criteri pedagogici non sono solo relegati al passato; la figura di questo santo, amico dei giovani, attrae ancora col suo fascino la gioventù delle culture più diverse sotto tutti i cieli. Certamente il suo messaggio pedagogico richiede di essere ancora approfondito, adattato, rinnovato con intelligenza e coraggio, proprio in ragione dei mutati contesti socio-culturali, ecclesiali e pastorali. Sarà opportuno tener presenti le aperture e le conquiste avvenute in molti campi, i segni dei tempi e le indicazioni del Concilio Vaticano II. Tuttavia la sostanza del suo insegnamento rimane, le peculiarità del suo spirito, le sue intuizioni, il suo stile, il suo carisma non vengono meno, perché ispirati alla trascendente pedagogia di Dio.
San Giovanni Bosco è attuale anche per un altro motivo: egli insegna a integrare i valori permanenti della Tradizione con le “nuove soluzioni”, per affrontare creativamente le istanze e i problemi emergenti: in questi nostri tempi difficili egli continua ad esser maestro, proponendo una “nuova educazione” che è insieme creativa e fedele.
“Don Bosco ritorna” è un canto tradizionale della Famiglia Salesiana: esprime l’auspicio di “un ritorno di don Bosco” e “un ritorno a don Bosco”, per essere educatori capaci di una fedeltà antica ed insieme attenti, come lui, alle mille necessità dei giovani di oggi, per ritrovare nella sua eredità le premesse per rispondere anche oggi alle loro difficoltà e alle loro attese.
III. L’urgenza dell’educazione cristiana oggi
14. La Chiesa si sente direttamente interpellata dalla domanda educativa, perché essa è là dove si tratta dell’uomo, essendo “l’uomo la prima strada che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione” (Redemptor Hominis, 14). Ciò comporta evidentemente un vero amore di predilezione per la gioventù.
Andiamo ai giovani: ecco la prima e fondamentale urgenza educativa. “Il Signore mi ha mandato per i giovani”: in questa affermazione di san Giovanni Bosco scorgiamo la sua opzione apostolica di fondo, che s’indirizza ai giovani poveri, a quelli di estrazione popolare, a quelli più esposti ai pericoli.
Giova ricordare le stupende parole che don Bosco rivolgeva ai suoi giovani e che costituiscono la genuina sintesi della sua scelta di fondo: “Fate conto che quanto io sono, sono tutto per voi, giorno e notte, mattino e sera, in qualunque momento. Io non ho altra mira che di procurare il vostro vantaggio morale, intellettuale e fisico” (“Memorie biografiche di S. Giovanni Bosco”, vol 7, 503). “Io per voi studio, per voi lavoro, per voi vivo e per voi sono disposto anche a dare la vita” (Domenico Ruffino “Cronache dell’Oratorio di S. Francesco di Sales”, Romae, Archivio Salesiano Centrale, quad 5, 10).
15. A tanto dono di sé per i giovani, in mezzo a difficoltà talvolta estreme, Giovanni Bosco perviene grazie ad una singolare e intensa carità, ossia in forza di un’energia interiore, che unisce inseparabilmente in lui l’amore di Dio e l’amore del prossimo. Egli riesce così a stabilire una sintesi tra attività evangelizzatrice ed attività educativa.
La sua preoccupazione di evangelizzare i giovani non si riduce alla sola catechesi, o alla sola liturgia, o a quegli atti religiosi che domandano un esplicito esercizio della fede e ad essa conducono, ma spazia in tutto il vasto settore della condizione giovanile. Si situa, dunque, all’interno del processo di formazione umana, consapevole delle deficienze, ma anche ottimista circa la progressiva maturazione, nella convinzione che la parola del Vangelo deve essere seminata nella realtà del vivere quotidiano per portare i giovani ad impegnarsi generosamente nella vita. Poiché essi vivono un’età peculiare per la loro educazione, il messaggio salvifico del Vangelo li dovrà sostenere lungo il processo educativo, e la fede divenire elemento unificante e illuminante della loro personalità.
Ne conseguono alcune scelte. L’educatore dovrà avere una speciale sensibilità per i valori e le istituzioni culturali, acquistando un’approfondita conoscenza delle scienze umane. In tal modo la competenza raggiunta diverrà valido strumento per sostenere un programma di efficace evangelizzazione. In secondo luogo, l’educatore dovrà seguire uno specifico itinerario pedagogico che, mentre puntualizza la dinamica evolutiva delle facoltà umane, suscita nei giovani le condizioni di una libera e graduale risposta.
Egli si preoccuperà inoltre di ordinare tutto il processo educativo al fine religioso della salvezza. Tutto questo esige ben più che l’inserimento nel cammino educativo di alcuni momenti riservati all’istruzione religiosa e all’espressione culturale; comporta l’impegno assai più profondo di aiutare gli educandi ad aprirsi ai valori assoluti e ad interpretare la vita e la storia secondo le profondità e le ricchezze del Mistero.
16. L’educatore deve, dunque, avere la chiara percezione del fine ultimo, poiché nell’arte educativa i fini esercitano una funzione determinante. Una loro visione incompleta o erronea, oppure la loro dimenticanza, è anche causa di unilateralità e di deviazione, oltre che segno di incompetenza.
“La civiltà contemporanea tenta di imporre all’uomo - come dicevo all’Unesco - una serie di imperativi apparenti, che i loro portavoce giustificano ricorrendo al principio dello sviluppo e del progresso. Così, per esempio, al posto del rispetto per la vita, l’«imperativo» di sbarazzarsi della vita e di distruggerla; al posto dell’amore, che è comunione responsabile di persone, l’«imperativo» del massimo di godimento sessuale, al di fuori da ogni senso di responsabilità; al posto del primato della verità nell’azione, il «primato» del comportamento di moda, del soggettivo e del successo immediato” (“Allocutio ad eos qui conventui Consilii ab exsecutione internationalis organismi compendiariis litteris UNESCO nuncupati affuere”, 13, die 2 iun. 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 1 [1980] 1646).
Nella Chiesa e nel mondo la visione educativa integrale, che vediamo incarnata in Giovanni Bosco, è una pedagogia realista della santità. Urge ricuperare il vero concetto di “santità”, come componente della vita di ogni credente. L’originalità e l’audacia della proposta di una “santità giovanile” è intrinseca all’arte educativa di questo grande Santo, che può essere giustamente definito “maestro di spiritualità giovanile”. Il suo particolare segreto fu quello di non deludere le aspirazioni profonde dei giovani (bisogno di vita, di amore, di espansione, di gioia, di libertà, di futuro), e insieme di portarli gradualmente e realisticamente a sperimentare che solo nella “vita di grazia”, cioè nell’amicizia con Cristo, si attuano in pieno gli ideali più autentici.
Una simile educazione esige oggi che i giovani siano forniti di una coscienza critica che sappia percepire i valori autentici e smascherare le egemonie ideologiche che, servendosi dei mezzi della comunicazione sociale, catturano l’opinione pubblica e plagiano le menti.
17. L’educazione, che secondo il metodo di don Bosco favorisce un’originale interazione fra evangelizzazione e promozione umana, richiede al cuore e alla mente dell’educatore precise attenzioni: l’assunzione di una sensibilità pedagogica, l’adozione di un atteggiamento paterno e materno insieme, lo sforzo di valutare quanto accade nella crescita dell’individuo e del gruppo secondo un progetto formativo che unisca in sapiente e vigorosa unità la finalità educativa e la volontà di ricercarne i mezzi più idonei.
Nella società moderna gli educatori devono prestare particolare attenzione ai contenuti educativi storicamente più rilevanti, di carattere umano e sociale, che maggiormente si intrecciano con la grazia e le esigenze del Vangelo.
Forse, mai come oggi, educare è diventato un imperativo vitale e sociale insieme, che implica presa di posizione e decisa volontà di formare personalità mature. Forse, mai come oggi, il mondo ha bisogno di individui, di famiglie e di comunità che facciano dell’educazione la propria ragion d’essere e ad essa si dedichino come a finalità prioritaria, alla quale donano senza riserve le loro energie, ricercando collaborazione e aiuto, per sperimentare e rinnovare con creatività e senso di responsabilità nuovi processi educativi. Essere educatore oggi comporta una vera e propria scelta di vita, a cui è doveroso dare riconoscimento ed aiuto da parte di quanti hanno autorità nelle Comunità ecclesiali e civili.
18. L’esperienza e la saggezza pedagogica della Chiesa riconoscono uno straordinario significato educativo alla “famiglia”, alla “scuola”, al “lavoro” e alle varie “forme associative” e di gruppo. E questo un tempo di rilancio delle istituzioni educative e di richiamo all’insostituibile ruolo educativo della “famiglia”, che ho avuto modo di tratteggiare nella esortazione apostolica Familiaris Consortio. Resta, infatti, determinante, nel bene e, purtroppo, a volte anche nel male, l’educazione (o la non educazione) familiare e, d’altra parte, resta sempre indispensabile educare le giovani generazioni ad assumere fin dall’ambiente familiare la responsabilità di interpretare il quotidiano secondo il perenne insegnamento del Vangelo, senza trascurare le esigenze del necessario rinnovamento.
La centralità della famiglia nell’opera educativa è oggi uno dei problemi sociali e morali più gravi. “Che fare - ricordavo all’UNESCO - perché l’educazione dell’uomo si realizzi soprattutto nella famiglia? . . . Le cause di successo o di insuccesso nella formazione dell’uomo mediante la sua famiglia si situano sempre all’interno stesso del fondamentale ambiente creativo di cultura, che è la famiglia, ed insieme a un livello superiore, quello della competenza dello Stato e dei suoi organi” (“Allocutio ad eos qui conventui Consilii ab exsecutione internationalis organismi compendiariis litteris UNESCO nuncupati affuere”, 12, die 2 iun. 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 1 [1980] 1645).
Accanto all’azione educativa della famiglia si deve sottolineare quella della “scuola”, capace di aprire orizzonti più vasti e universali. Nella visione di Giovanni Bosco la scuola, oltre a promuovere lo sviluppo nella dimensione culturale, sociale e professionale dei giovani, deve fornire loro una efficace struttura di valori e di principi morali. Se così non fosse, risulterebbe impossibile vivere e agire in modo coerente, positivo e onesto in una società caratterizzata da tensione e conflittualità.
Fa parte, inoltre, della grande eredità educativa del santo piemontese il suo interesse preferenziale per il mondo del lavoro, al quale i giovani vanno accuratamente preparati. È cosa di cui oggi si sente l’urgenza, pur nelle profonde trasformazioni della società. Condividiamo con don Bosco la preoccupazione di dotare le giovani generazioni di una competenza professionale e tecnica adeguata, così come hanno lodevolmente testimoniato per oltre cento anni le scuole di arti e mestieri e i laboratori diretti con encomiabile perizia dai Salesiani Coadiutori. Condividiamo la sua preoccupazione di favorire una sempre più incisiva educazione alla responsabilità sociale, sulla base di una accresciuta dignità personale (cf. Laborem Exercens, 6), a cui la fede cristiana non solo dona legittimità, ma conferisce anche energie di incalcolabile portata.
Infine, è da rilevare l’importanza data dal santo alle “forme associative” e di gruppo, in cui cresce e si sviluppa il dinamismo e l’iniziativa giovanile. Animando molteplici attività, egli creava ambienti di vita, di buon uso del tempo libero, di apostolato, di studio, di preghiera, di gioia, di gioco e di cultura, dove i giovani potevano ritrovarsi e crescere. I notevoli cambiamenti del nostro tempo rispetto al secolo XIX non esimono l’educatore dal rivedere situazioni e condizioni di vita, dando il necessario spazio allo spirito di creatività tipico dei giovani.
19. Considerando poi i bisogni della gioventù di oggi ed insieme richiamando il messaggio profetico di don Bosco, l’amico dei giovani, non si può dimenticare che oltre - anzi, dentro - qualsiasi struttura educativa, si rendono indispensabili quei tipici “momenti educativi” del colloquio e dell’incontro personale: correttamente utilizzati, essi diventano occasione di vera guida spirituale. È quanto faceva il santo esercitando con particolare efficacia il ministero del sacramento della Riconciliazione. In un mondo tanto frammentato e pieno di messaggi contrastanti, è un vero regalo pedagogico offrire al giovane la possibilità di conoscere e di elaborare il proprio progetto di vita, alla ricerca del tesoro della propria vocazione, dalla quale dipende tutta l’impostazione della vita. Sarebbe incompleta l’opera educativa di colui che ritenesse sufficiente soddisfare le necessità pur legittime della professione, della cultura e anche del lecito svago, senza proporre al loro interno, come fermento, quelle mete che Cristo stesso presentò al giovane del Vangelo, e sulle quali anzi commisurò la gioia della vita eterna o la tristezza del possesso egoistico (cf. Mt 19, 21 s).
L’educatore ama ed educa veramente i giovani quando propone loro ideali di vita che li trascendono ed accetta di camminare con loro nella faticosa maturazione quotidiana della loro scelta.
Conclusione
20. In questa “memoria” centenaria di san Giovanni Bosco, “padre e maestro della gioventù”, si può dire con ferma convinzione che la Provvidenza divina invita tutti voi, membri della grande Famiglia Salesiana, come anche i genitori e gli educatori, a riconoscere sempre più l’inderogabile necessità della formazione dei giovani, assumendone con rinnovato entusiasmo i compiti per assolverli con la dedizione illuminata e generosa che fu propria del santo.
Tra gli educatori mi rivolgo in modo speciale, e con la viva sollecitudine che nasce dalla gravità del problema, al clero impegnato direttamente nel sacro ministero, poiché la formazione della gioventù li interpella particolarmente. Sono ben convinto - e ne ho la continua prova negli incontri con i giovani, che ho immancabilmente durante i miei viaggi pastorali - che vi è una fioritura di iniziative, che vanno verso la gioventù per darle una formazione cristiana integrale; ma non si può dimenticare che essa è oggi in preda a pericoli e sfide, ignote ad altre epoche, come la droga, la violenza, il terrorismo, l’immoralità di molti spettacoli cinematografici e televisivi, la diffusione della pornografia. Tutto ciò richiede che, nella cura pastorale, sia data un’attenzione prioritaria alla gioventù mediante appropriati metodi e con inventiva di iniziative. La mente e il cuore di don Bosco possa suggerire anche ai sacerdoti le forme adatte da seguire. La gravità della posta in gioco esige una accresciuta presa di coscienza, sulla quale saremo giudicati dal Signore. I giovani tornino ad essere la cura principale dei sacerdoti! Ne va di mezzo l’avvenire della Chiesa e della società. Sono ben consapevole, benemeriti educatori, delle difficoltà a cui andate incontro e delle delusioni che a volte dovete provare. Non scoraggiatevi nel percorrere questa privilegiata via dell’amore che è l’educazione. Vi conforti l’inesauribile pazienza di Dio nella sua pedagogia verso l’umanità, esercizio incessante di paternità rivelata nella missione di Cristo, maestro e pastore, e nella presenza dello Spirito Santo, inviato a trasformare il mondo.
La nascosta e potente efficacia dello Spirito è diretta a far maturare l’umanità sul modello di Cristo. Egli è l’animatore della nascita dell’uomo nuovo e del mondo nuovo (cf. Rm 8, 4-5). Così la vostra fatica educativa appare come un ministero di collaborazione con Dio e sarà certo feconda.
Il vostro e nostro santo soleva dire che “l’educazione è cosa di cuore” (“Memorie biografiche di S. Giovanni Bosco”, vol 16, 447) e che bisogna “far passare Iddio nel cuore dei giovani non solo per la porta della chiesa, ma della scuola o dell’officina” (“Memorie biografiche di S. Giovanni Bosco”, vol 6, 815-816). È appunto nel cuore dell’uomo che si rende presente lo Spirito di verità, come consolatore e trasformatore: egli entra incessantemente nella storia del mondo attraverso il cuore dell’uomo. E, come ho scritto nell’enciclica Dominum et Vivificantem, anche “la via della Chiesa passa attraverso il cuore dell’uomo”; anzi essa “è il cuore dell’umanità”; “col suo cuore, che in sé comprende tutti i cuori umani, essa chiede allo Spirito Santo «la giustizia, la pace e la gioia dello Spirito», in cui, secondo san Paolo, consiste il Regno di Dio” (Dominum et Vivificantem, 67). Con la vostra opera, carissimi educatori, voi state compiendo uno squisito esercizio di maternità ecclesiale (Gravissimum Educationis, 3).
Abbiate sempre davanti a voi Maria santissima come la più alta collaboratrice dello Spirito Santo, la quale fu docile alle sue ispirazioni e per questo divenne Madre di Cristo e Madre della Chiesa. Ella continua nei secoli “ad essere una presenza materna, come indicano le parole di Cristo pronunciate sulla croce: «Donna, ecco tuo figlio»; «Ecco tua madre»” (Redemptoris Mater, 24).
Non distogliete mai lo sguardo da Maria; ascoltatela quando dice: “Fate quello che Gesù vi dirà” (Gv 2, 5). Pregatela anche con quotidiana premura, perché il Signore susciti di continuo anime generose, che sappiano dire di sì al suo appello vocazionale.
A lei io affido voi e insieme con voi affido tutto il mondo dei giovani, affinché essi, da lei attratti, animati e guidati, possano conseguire, con la mediazione della vostra opera educativa, la statura di uomini nuovi per un mondo nuovo: il mondo di Cristo, Maestro e Signore.
Con la mia benedizione apostolica.
Data a Roma, presso san Pietro, il 31 gennaio, nella memoria di san Giovanni Bosco, nell’anno 1988, decimo del nostro pontificato.
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