LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II
ALL’AMBASCIATORE RENÉ VALÉRY MONGBÉ,
PRESIDENTE DEL COMITATO DELLE CONFERENZE
DELLA FONDAZIONE «PATH TO PEACE»*
A sua eccellenza signor René Valéry Mongbé,
presidente del Comitato delle Conferenze
della Fondazione “Path to Peace”.
In occasione dell’incontro dedicato alla questione dei rifugiati, intesa come “una sfida alla solidarietà”, spero di unirmi con questo messaggio al vostro desiderio di far sentire, nell’ambito dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, la voce delle vittime di numerose vicissitudini nella nostra epoca. La vocazione di questa Organizzazione internazionale è precisamente quella di manifestare il più possibile la volontà di cooperazione e di solidarietà delle nazioni nel mondo; per la sua stessa natura, essa è chiamata a vigilare sulla tutela dei diritti fondamentali di ogni essere umano, come pure sulla ricerca della pace e dello sviluppo di tutti i popoli.
I diversi continenti sono attualmente a conoscenza della tragedia dello sradicamento brutale di milioni di persone in seguito a conflitti armati, a rivalità etniche, a violazioni dei diritti umani più elementari, a persecuzioni religiose, a catastrofi naturali o a disastri ecologici causati dall’uomo. I rifugiati e le persone dislocate all’interno del proprio Paese o fuori dalle proprie frontiere vengono colpiti nella propria inalienabile dignità, feriti nel corpo e nello spirito, scherniti nei diritti, mentre i responsabili di tali iniquità rimangono impuniti. Negli occhi dei profughi, più spesso in quelli delle donne e dei bambini, ho potuto constatare la sofferenza di vite distrutte e l’angoscia di attese deluse. Le loro mani tese verso di me in numerosi Paesi che ho visitato mi chiamavano a sostenere la loro speranza, a gridare giustizia per loro e a ripetere al mondo che essi hanno il diritto di avere un focolare, una terra, una cultura, e di poterne beneficiare serenamente, liberamente e con dignità. Come ho più volte dichiarato, la sofferenza dei rifugiati è “una piaga tipica e rivelatrice degli squilibri e dei conflitti del mondo contemporaneo” (Sollicitudo rei socialis, 24).
Avete scelto come punto di partenza per la vostra riflessione il documento pastorale pubblicato dal Pontificio Consiglio “Cor Unum” e dal Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti con il titolo “I rifugiati una sfida alla solidarietà”. Questo documento mostra ancora una volta l’interesse della Santa Sede per questo problema.
In collaborazione con numerose persone di buona volontà, la Chiesa accompagna i rifugiati nel loro esilio, e grazie ai suoi volontari, sacerdoti, religiosi, religiose e laici, che prestano loro aiuto, contribuisce all’educazione dei bambini, garantisce un’assistenza pastorale e condivide con tutti loro, quotidianamente, la propria vita. Tutte queste persone generose e le organizzazioni che esse hanno creato offrono una testimonianza di solidarietà umana e di amore verso i più piccoli dei nostri fratelli e sorelle, testimonianza che mostra la via da seguire.
Mentre la comunità internazionale lavora ancora per rimediare alle conseguenze di decenni di scontri ideologici, essa deve far fronte a nuove, massicce migrazioni di popoli causate da nazionalismi inaspriti dall’instabilità politica e dalle lotte tribali. Alcune guerre sono scoppiate proprio per provocare nuovi esodi di popolazioni ricorrendo alla strategia immorale della pulizia etnica”. Esiste la tentazione di chiudere le porte, di rifiutare l’accoglienza, persino di rimanere indifferenti e abituarsi alla situazione disperata e alla morte lenta di milioni di rifugiati, la cui presenza costituisce un segno evidente dell’incapacità di controllare la violenza e un segno della divisione nella fraternità.
Ciononostante, sapete che soltanto la via della riconciliazione e del dialogo conduce alla pace e permette di ricostruire rapporti armoniosi. Il documento che esaminate lo ricorda: “Ci saranno rifugiati vittime di abusi di potere fintanto che i rapporti tra le persone e tra le nazioni non si baseranno su una vera capacità di accettarsi sempre di più nella diversità...” (n. 8).
Oggi più che mai, la comunità internazionale viene chiamata a costruire un mondo più giusto e più umano in cui la pace verrà consolidata, in cui le minoranze saranno rispettate, in cui la gente avrà la libertà di praticare la propria religione e di vivere senza paura nei propri focolari e nei propri Paesi con mezzi adeguati per la sussistenza delle proprie famiglie. Allo stesso tempo, gli aiuti ai rifugiati devono continuare, come pure lo sviluppo della tutela giuridica dei diversi gruppi di persone costrette a migrare.
Noto con soddisfazione che ci sono stati progressi. Grazie ai numerosi organismi che si dedicano a questo scopo – l’Alto Commissariato per i rifugiati innanzitutto –, la maggior parte dei rifugiati che si trovano nei Paesi in via di sviluppo riceve assistenza sotto forma di aiuti di prima necessità. Ma gli stessi organi si preoccupano anche di apportare un sostegno economico e politico allo sviluppo dei Paesi d’origine, per rendere effettivo il diritto al ritorno, e anche dei Paesi d’accoglienza, per facilitare un’eventuale integrazione.
Un numero sempre maggiore di Stati ormai ammette la fondatezza di uno statuto internazionale dei rifugiati e la necessità di condividere il peso della sua concreta attuazione.
Senza dubbio, rifletterete sull’importanza sempre attuale del diritto d’asilo, del diritto di stabilirsi su una nuova terra, del diritto di tornare volontariamente nella propria terra d’origine. Prenderete atto del fatto che l’aiuto umanitario, per quanto necessario esso sia, non può sostituirsi all’azione politica. Per risolvere il problema dei rifugiati, la solidarietà di tutti – gli Stati, le organizzazioni non governative e i singoli individui – è necessaria affinché vengano sconfitti il silenzio e l’indifferenza, affinché venga impedito il genocidio di interi popoli e affinché si giunga alla soluzione politica di problemi di fondo che straziano gran parte della famiglia umana.
All’alba del terzo millennio, ho il dovere di lanciare un appello urgente affinché nasca ovunque uno spirito di accoglienza e di solidarietà generosa nel rispetto dei diritti di tutti gli esseri umani. Se la determinazione nell’agire secondo tale spirito esiste, sarà possibile collaborare efficacemente e utilizzare i mezzi disponibili per proteggere i rifugiati; si troverà anche l’energia indispensabile per alleviare le sofferenze inflitte alle persone costrette allo sradicamento, si preparerà un avvenire in cui non esisteranno più rifugiati.
Sperando vivamente che le vostre riflessioni e i vostri appelli siano compresi e ascoltati ampiamente, affido i vostri lavori alla grazia misericordiosa del Signore e lo prego di benedire voi e tutti i rifugiati del mondo che volete servire.
Dal Vaticano, 5 marzo 1993.
IOANNES PAULUS PP. II
*L'Osservatore Romano 11.3.1993 p.6.
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