LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II
A DON PIETRO PASQUALI,
SUPERIORE GENERALE DEI SERVI DELLA CARITÀ
Al diletto figlio
Don Pietro Pasquali,
Superiore Generale dei Servi della Carità
Il 150° anniversario della nascita del Beato Luigi Guanella mi offre la gradita occasione non solo di porgere a Lei e ai Padri Capitolari, partecipanti al XVI Capitolo generale, il mio affettuoso saluto, ma anche di esprimere vivo compiacimento per l’opera preziosa che l’intera Congregazione dei “Servi della Carità” svolge nella Chiesa e nel mondo.
In un tempo come il nostro, segnato dal contrasto fra l’opulenza di una parte dell’umanità e l’immensa schiera di indigenti lasciati spesso in condizioni subumane da una colpevole indifferenza, occorre un sussulto di carità, che muova le coscienze e pieghi le istituzioni a una più generosa pratica del comandamento dell’amore.
In così improrogabile urgenza, i Servi della Carità sono chiamati dal loro stesso carisma e, in certo senso, dal loro stesso nome a stare in prima linea. Tale consapevolezza, del resto, è viva tra di loro, come dimostra il fatto che in questi ultimi anni, nonostante l’esiguità delle forze, essi hanno aperto le frontiere della loro Opera a diverse nazioni dell’America Latina, dell’Asia e dell’Africa.
L’Assemblea Capitolare permetterà di approfondire ulteriormente l’impegno apostolico di codesta Famiglia religiosa per adeguarlo alle esigenze dei tempi, al fine di testimoniare la carità, andando incontro ai poveri per riscattarli dai bisogni materiali, per evangelizzarli e condurli alla pienezza della vita soprannaturale.
Don Luigi Guanella ha insegnato a vedere Cristo nei poveri; al tempo stesso lo ha additato ad essi quale piena risposta ai loro più profondi bisogni.
Possa questo carisma essere custodito sempre fedelmente dai suoi figli spirituali.
L’amore tenero e fattivo verso i fratelli sofferenti, espresso con quella delicatezza che merita il corpo stesso di Cristo, brillerà come un “Vangelo vivente” e sprigionerà un’energia benefica capace di toccare profondamente i cuori. A poco servono atti episodici che alleviano la sofferenza di un momento, senza però mirare a sottrarre stabilmente gli indigenti alla morsa del bisogno. Per questo i Membri della Congregazione, che intendono essere “specializzati” nella carità, verificano periodicamente il loro servizio, programmandolo in modo coraggioso e profetico.
Tuttavia, la necessaria concretezza degli interventi mai deve disgiungersi dall’audacia, che tanto caratterizzò il Beato Luigi Guanella, e che oggi sollecita i suoi figli spirituali a spingersi generosamente verso le nuove frontiere della sofferenza.
Il segreto di quest’amore inesauribile e creativo si trova nella conversione quotidiana, nella vita interiore, nella pratica attenta di tutte le virtù evangeliche. Si trova in una effettiva condivisione della vita dei poveri.
La povertà evangelica, prima di essere una condizione di vita, è scelta di fede. Gesù è stato autentico modello del povero, perché ha rimesso radicalmente la sua vita nelle mani del Padre. Solo così la sua povertà è diventata uno spazio sgombro in cui Dio ha potuto agire liberamente.
Scelta per amore, la povertà diviene un segno molto apprezzato dai “nostri contemporanei che interrogano i Religiosi con particolare insistenza” (Evangelica testificatio, 16).
È necessario recuperare costantemente lo spirito della beatitudine evangelica, resistendo ad ogni subdola tentazione di efficienza umana. La povertà evangelica, lungi dal sottrarre risorse alla carità, piuttosto le moltiplica, mentre assicura quello stile di umiltà, semplicità e condivisione, che fa sentire i poveri non destinatari di assistenza, bensì fratelli che hanno diritto al nostro amore.
Don Luigi Guanella ha voluto che i “Servi della Carità” fossero come navigatori esperti nel mare della sofferenza per far emergere dall’amarezza del dolore quel germe di benedizione capace di “sprigionare amore” e “trasformare tutta la civiltà umana nella civiltà dell’amore” (Salvifici doloris, 30).
Arditamente Paolino di Nola, Santo della povertà e della carità, diceva che i poveri vanno considerati come “Patroni” (“patroni animarum nostrarum pauperes”: Epistola 13,11, a Pammachio), per il vantaggio spirituale che recano, mentre si presta loro l’umana e cristiana solidarietà. Quello che danno è più di quanto ricevono. Bisogna imparare a servirli non solo con dedizione, ma con gratitudine.
A tali finezze soprannaturali conduce la povertà evangelica. Sia quindi coltivata diligentemente dai Servi della Carità, memori del motto “Pregare e patire”, lasciato loro come testamento dal Beato Fondatore. Con brevi ma incisive parole egli così disegnava ai suoi figli lo stile e il segreto del servizio al prossimo: “Farete miracoli di bene, se amerete i disagi più che le comodità... nel servire i fratelli bisognosi” (Costituzioni, 15).
Maria, Madre della Divina Provvidenza, protettrice della Congregazione guanelliana, orienti le riflessioni e le decisioni del Capitolo generale e accompagni quanti saranno chiamati ad assumere l’impegnativa responsabilità di guidarla per il prossimo sessennio.
Per tutti imploro una copiosa effusione dei doni dello Spirito, perché il rinnovamento dell’Istituto si traduca in motivo di consolazione e di speranza per tanti sofferenti.
A Lei, ai Padri Capitolari, nonché ad ogni membro di codesta Famiglia religiosa, volentieri imparto l’implorata benedizione apostolica.
Dal Vaticano, 25 giugno 1993.
IOANNES PAULUS PP. II
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