DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DELLA CALABRIA
IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM"
10 dicembre 1981
Se è sempre una gioia, per me, l’incontrarmi con ogni categoria di fedeli e di persone, lo è soprattutto quando, come Pastore di tutta la Chiesa, posso rivolgermi, singolarmente o a gruppi, ai Pastori delle Chiese locali, per avere più direttamente da loro informazioni sui problemi delle loro diocesi, le difficoltà di oggi, le prospettive per il domani.
Così le sollecitudini della cura pastorale si sentono più da vicino, dal vivo, sono condivise, diventano comuni, e insieme si possono trovare le linee di soluzione a servizio dell’Unico Supremo Pastore e a bene di tutte le anime.
Oggi ho la gioia di stare in mezzo a voi, Vescovi di una terra ricca e generosa come la Calabria.
Ricca, dal punto di vista della natura, di sole, di aria, di luce, di cielo, di mare. Ricca, dal punto di vista umano e religioso, di bontà di cuore, di generosità, di senso di ospitalità, dei grandi valori spirituali e cristiani, soprattutto dei grandi affetti della famiglia, ancora unita, solidale, numerosa. Una terra di tradizioni religiose, dove diffusa e sentita è la devozione alla Madonna, e numerose sono state sempre le vocazioni sacerdotali e religiose, offerte generosamente a servizio anche di altre regioni d’Italia e del mondo.
Tuttavia, nello stesso tempo, dal punto di vista economico e sociale, come voi stessi avete voluto sottolineare nella relazione sulla situazione socio-religiosa della vostra regione, una terra povera di risorse, come, in genere, tutto il Meridione italiano. Le condizioni del terreno non consentono un’agricoltura intensiva a vasto raggio. Il processo di industrializzazione, già in corso da vari anni anche in più parti del Sud, non ha raggiunto nella Regione calabrese i livelli sufficienti a venire incontro alle esigenze crescenti della popolazione provata da una lunga abitudine alla sofferenza e all’abbandono. A tutto questo si aggiunge la minaccia quasi permanente di calamità naturali, e penso al terremoto, che costituisce l’insidia nascosta di tutto il Meridione e ha più volte recato desolazione e devastazione a vaste e ridenti zone della vostra terra.
Non si può non restare insensibili davanti ai problemi, così numerosi, gravi e annosi, della cosiddetta “questione meridionale”, con le differenze economiche e sociali tra Nord e Sud; né si può ignorare che anche all’interno della questione meridionale esiste, come voi la chiamate, una “questione calabrese”, che ha dietro alle spalle cause molteplici di natura storica, geografica, culturale e sociale.
È per tutte queste ragioni che la Calabria, come del resto tutto il Sud, è divenuta, almeno da quasi due secoli, e continua a essere, terra di emigrazione.
Un fenomeno, questo, da considerare più in particolare, perché mentre in genere l’Italia, tradizionale terra di emigrazione, si è rapidamente trasformata da qualche tempo in terra di immigrazione, capovolgendo la vecchia realtà, la Calabria, insieme con altre poche regioni italiane, continua a mandare fuori della propria terra la sua ricchezza maggiore, cioè i propri figli, le forze più fresche e più giovani.
È uno dei problemi più assillanti di oggi, su cui vorrei richiamare in modo particolare la vostra attenzione e quella di tutta la Chiesa locale, affidata alle vostre cure pastorali.
Conoscendo bene il fenomeno e i problemi dell’emigrazione del mondo, perché già prima di avere sulle spalle la responsabilità pesante di tutta la Chiesa, ho avuto modo di incontrarmi più volte, da Vescovo e da Cardinale, con i connazionali emigrati fuori della patria in vari Paesi del mondo, al di qua e al di là dell’oceano, e nei miei viaggi internazionali di questi tre anni ho preso sempre contatto con i gruppi immigrati nelle nazioni ospitanti.
Nell’enciclica Laborem Exercens, pur riconoscendo il diritto, che ha l’uomo, di lasciare il proprio Paese d’origine per vari motivi ho presentato l’emigrazione come una perdita del Paese dal quale si emigra: effettivamente, si allontanano uomini e insieme membri di una grande comunità, che è unita dalla storia, dalla tradizione, dalla cultura, per iniziare un cammino, spesso incerto, in mezzo ad un’altra società, unita da un’altra cultura e molto spesso anche da un’altra lingua.
Il fenomeno dell’emigrazione, interna ed esterna, così diffuso nel mondo, dalle proporzioni numeriche calcolabili a non poche decine di milioni, deve sollecitare di continuo l’attenzione e la cura pastorale della Chiesa, sia di accoglienza sia di partenza, con l’occhio vigile su tutta l’ampia gamma delle sue implicazioni.
Si pongono sul tappeto numerosi e complessi problemi di natura non soltanto economica politica, sociale, giuridica, internazionale, ma anche, e soprattutto, di natura umana, personale, familiare, etnica, religiosa.
Ancora una volta il protagonista, e spesso la vittima, del complesso e grave fenomeno dell’emigrazione è l’uomo. La Chiesa, che guarda all’uomo, non può non guardare all’emigrazione, come del resto ha fatto da quando il problema si è presentato in tutta la sua gravità e complessità, con istituzioni appropriate e figure di apostoli, come la santa Cabrini e il Vescovo di Piacenza Giovanni Battista Scalabrini. Per questa ragione la Santa Sede ha costituito, da oltre dieci anni, una Pontificia Commissione specializzata in tali problemi, per studiarli, seguirli e dare utili indicazioni agli operatori pastorali.
La Chiesa ha il dovere di pensare ai colossali problemi degli agglomerati umani che stanno superando ogni prevedibile dimensione, come in America del Sud, dove la Calabria ha inviato, in un primo tempo, tanti suoi figli; così come in seguito, in un secondo tempo, li ha inviati a gruppi nelle grandi città dell’Europa, e, con un fenomeno di massa, nelle grandi città italiane del Nord.
Sono nati i grandi problemi dell’emigrazione, che sono soprattutto problemi dell’emigrante: l’impatto generalmente traumatizzante con le zone superindustrializzate nei Paesi d’arrivo; il distacco e, non di rado, la scomposizione della famiglia; la disparità di trattamento legislativo; lo svantaggio nell’ambito dei diritti, che spesso diventa sfruttamento; la solitudine e l’emarginazione.
Sono soltanto alcuni dei tanti aspetti del fenomeno dell’emigrazione, che io, ben conoscendo la vostra sollecitudine e il vostro impegno in questo campo, richiamo alla vostra considerazione per stimolarvi ad andare sempre avanti, ancora più avanti su questa strada dell’aiuto all’emigrante nei modi propri della Chiesa, soprattutto col servizio pastorale.
Sono bene al corrente della generosità di tanti sacerdoti, che hanno fatto liberamente la scelta di divenire essi stessi emigranti per stare vicino ai fratelli costretti dalla necessità a lasciare il luogo di origine. È un dovere della Chiesa locale di partenza non lasciar mancare l’assistenza umana e religiosa ai propri figli lontani. Una cura pastorale apprestata nella propria lingua, col linguaggio della cultura d’origine, pur nel dovere dell’emigrante d’inserirsi nella cultura del Paese di arrivo, ha il vantaggio di essere strumento efficace nel contribuire a salvaguardare valori che non si devono perdere, a fare dell’emigrante cristiano un animatore del mondo contemporaneo, un collaboratore nell’opera di evangelizzazione.
La Chiesa calabrese, sempre ricca di energie umane e generosa nell’offrirle agli altri, non mancherà di fare la sua parte nel campo dell’emigrazione. Se alto è il tasso dell’emigrazione della Calabria, anche alto deve essere il contributo della Chiesa locale alla cura pastorale dei migranti. Sono sicuro che i Pastori e i sacerdoti s’impegneranno in misura adeguata.
Avrei voluto considerare con voi anche altri aspetti della vostra specifica azione pastorale in terra di Calabria, la cui responsabilità ci è stata affidata dallo Spirito Santo: ma mi premeva sottolineare un aspetto direi emblematico, che nell’azione dei Vescovi della vostra Regione, come del resto anche di altre, dev’essere privilegiato e messo a fuoco per una sempre più adeguata risposta, secondo le esigenze del momento.
Mi compiaccio nell’apprendere che vi siete proposti come impegni prioritari la catechesi, la vita liturgica e sacramentale, l’impegno sociale di testimonianza cristiana, il servizio di carità, la pastorale della famiglia, della gioventù, delle vocazioni oltre ad altre provvide iniziative. Sono tutti campi che mi stanno molto a cuore, e sui quali ho avuto modo – e ne avrò ancora – di soffermarmi con i Vescovi delle altre Regioni italiane, che vengono quest’anno a questo incontro, tanto corroborante per me e per tutti, delle visite “ad limina”. Coraggio! Seguite con tutta la vostra attenzione e con tutta la vostra tenacia questi programmi, vasti e impegnativi, affinché le carissime popolazioni, che vi sono state affidate, possano sempre progredire nella vita di fede profonda, di invitta speranza, di convinto amore a Dio e ai fratelli, per una vera promozione umana e cristiana della loro terra forte e generosa.
Dite loro che il Papa li ama, li segue, li conforta: e, insieme con voi, li benedice di gran cuore.
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