DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
Martedì, 12 aprile 1983
Cari fratelli nell’Episcopato.
Ringrazio il Cardinale Joseph Malula per le parole e i sentimenti di fiducioso attaccamento che mi ha appena espresso a nome di tutti, attirando la mia attenzione su alcuni punti che vi stanno particolarmente a cuore. Infatti, come anche voi avete appena detto, ritrovandovi ora a Roma, io ricordo con grande gioia gli incontri che ho potuto avere nel vostro Paese circa tre anni fa: con voi e con tutto il popolo di Dio, con i sacerdoti, le religiose, le famiglie, con le autorità civili, con il mondo universitario, il mondo rurale, con i luoghi di missione. Ho potuto così fare esperienza della bella vitalità cristiana della Chiesa dello Zaïre.
E oggi, siete voi che mi restituite la visita, come per fortificare il legame della vostra Chiesa con quella che ha la responsabilità, fin dalle origini, di presiedere alla carità, sulle orme degli postoli Pietro e Paolo che avevano ricevuto dal Signore una missione senza eguale, prima di dare qui la loro suprema testimonianza. Il servizio della Sede Apostolica - con l’autorità che vi corrisponde - è infatti quello di contribuire affinché la fede dei cristiani rimanga autentica man mano essa viene annunciata, celebrata e vissuta, affinché la loro unità sia salvaguardata attraverso la comunione dei Vescovi, e affinché la Chiesa prosegua il suo cammino, con l’armonia, la saggezza, l’audacia e la prudenza necessarie, in mezzo alle prove e alle nuove circostanze.
2. Noi abbiamo dunque celebrato insieme il centenario della seconda evangelizzazione dello Zaïre, dell’evangelizzazione decisiva. Pur avendo ben chiare le difficoltà e l’immenso lavoro che deve essere ancora compiuto, penso che occorra innanzitutto e sempre rendere grazie a Dio per l’opera meravigliosa realizzata da coloro che, pieni di amore per voi e per Cristo, sono venuti da lontano a condividere con i vostri padri la fede che avevano essi stessi ricevuto e da voi, africani, che avete così bene dato loro il cambio, assunto le vostre responsabilità, continuando però ad accettare la collaborazione delle altre Chiese o delle congregazioni religiose. Ci si stupisce constatando che nello spazio di un secolo tanti progressi siano stati compiuti, tante anime convertite e battezzate, tante comunità fondate, su tutto il territorio del vostro immenso Paese nel cuore dell’Africa. È quindi importante prendere innanzitutto in considerazione l’aspetto positivo di tutta questa vitalità, riconoscere con benevolenza il merito e gli sforzi della vostra Chiesa, lo slancio delle sue ricerche, il suo cammino generalmente entusiasta in alcuni campi, viste le difficoltà e le imperfezioni provvisorie, insomma, le promesse di una giovane Chiesa che la Chiesa universale e la Santa Sede in particolare guardano con stima, amore e fiducia, formulando per essa voti ferventi, nella speranza anche di uno scambio benefico e di un aiuto reciproco,
3. La seconda tappa dell’evangelizzazione, come ho detto a Kinshasa, senza smettere di essere contraddistinta dall’annuncio missionario per quegli ambienti che non sono ancora stati toccati dal Vangelo, dovrebbe essere anche caratterizzata dalla perseveranza, o meglio, dal rafforzamento della fede, dalla maturazione della Chiesa, dalla conversione in profondità degli animi e delle mentalità, dall’espressione tipica, a tutti i livelli, della fede vissuta. Sì, è proprio questo lo scopo che bisogna prefiggersi, prima ancora di parlare di mezzi, di tecniche, di metodi, di strutture che hanno anch’essi sicuramente la loro importanza: far vivere il Vangelo, tutto il Vangelo alla popolazione dello Zaïre.
4. È un’opera misteriosa, che fa appello alla grazia, alla profonda disponibilità degli annunciatori e di coloro che accolgono il Vangelo. L’impegno da proporre al popolo di Dio, è un impegno per la santità della vita, che suppone un annuncio, una catechesi, una predicazione, un’azione pastorale adattata alle persone e agli ambienti, ma più ancora l’esempio vissuto di una tale santità, nei diversi campi che Gesù ha indicato come tipici dei comportamenti cristiani, in particolare attraverso le beatitudini: amore, perdono, sacrificio, giustizia, verità, purezza. Non è questo forse che voi domandate costantemente al popolo cristiano, e particolarmente a coloro che, con voi, hanno una speciale missione nella comunità: sacerdoti, religiosi, religiose, catechisti? I cristiani devono, per questo, conservare il senso dei propri limiti, delle proprie debolezze, dei propri peccati, dunque della conversione che deve essere operata senza posa, con il desiderio di promuovere prima di tutto il progresso morale e spirituale, contando sulla misericordia di Dio; senza questo, essi rischiano di cadere nell’illusione e nell’ipocrisia. Ma essi nello stesso tempo devono dare prova di una grande speranza, e dunque d’audacia evangelica: come già dicevo il giorno di Pasqua di quest’anno, non bisogna aver paura di sottomettere tutto alla potenza di Cristo al quale niente è impossibile per il rinnovamento delle nostre anime, delle nostre mentalità, delle nostre strutture di vita.
5. È dunque questa fede autentica in Cristo che bisogna approfondire, rafforzare, diffondere, attingendone la linfa nella Chiesa, il “luogo” in cui si è dispiegata e senza tregua si dispiega la potenza dello Spirito di Cristo, attraverso un’ininterrotta tradizione, una riflessione sulla fede che ha già elaborato soluzioni a molti difficili problemi, forme di preghiera e di vita comunitaria che sono fiorite in corrispondenza con i loro ambienti e di cui la Chiesa ha sanzionato il valore. Come potrebbe una fede veramente matura, profonda e convinta non arrivare ad esprimersi in un linguaggio, in una catechesi, in una riflessione teologica, in una preghiera, in una liturgia, in un’arte, in istituzioni che corrispondano veramente all’anima africana dei vostri compatrioti?
È qui che si trova la chiave del problema importante e complesso che mi avete sottoposto a proposito della liturgia, per non ricordarne oggi altri. Un progresso soddisfacente in questo campo non potrà che essere il frutto di una maturazione progressiva nella fede, che riunisca il discernimento spirituale, la lucidità teologica, il senso della Chiesa universale in un’ampia concertazione. La preghiera certo deve poter zampillare dai cuori dei vostri compatrioti dello Zaïre con la facilità, il calore, la spontaneità che corrispondono alla loro cultura. Essi dovranno allo stesso tempo comprendere tutta la profondità del rito cristiano che deve mantenere il suo significato originale ricevuto da Cristo, e il suo legame sostanziale con la liturgia cattolica, universale. Il suo carattere di festa, di festa comunitaria, è particolarmente vivo, e deve essere incoraggiato; c’è bisogno di aggiungere che è inseparabile, nella liturgia cristiana, dall’aspetto di mistero che unisce la comunità e ciascuna persona alla Passione e alla Risurrezione del suo Signore? Tutto questo, ancora una volta, richiede maturità e riflessione, in stretto contatto con i competenti Dicasteri della Santa Sede.
6. Lo dicevo a Kinshasa, in questo campo come in tutti gli altri, la Santa Sede non vi libererà da nessuna responsabilità; vi inviterà, invece, vi aiuterà ad andare fino in fondo alle vostre responsabilità. Questo cammino passa necessariamente attraverso la cooperazione, la coesione, l’unità. Questa convinzione, la Chiesa la trae dal suo messaggio e dalla sua esperienza. Lo ricordavo recentemente in America Centrale, tra l’altro a Managua.
C’è un’unità da promuovere e da perfezionare innanzitutto al livello del vostro presbiterio, tra sacerdoti africani e sacerdoti venuti da altre Chiese, religiosi o secolari, tutti chiamati a cooperare alla stessa missione e a testimoniare l’aiuto reciproco fraterno in spirito di servizio; e, certamente, è fondata sull’unita primaria tra ogni Vescovo e i suoi sacerdoti. Questo si realizza sempre meglio quando i sacerdoti si sentono più vicini al Pastore della loro diocesi che li visita e si interessa alle loro opinioni, e quando essi sono pronti, a loro volta, ad accettare un Vescovo nominato per le sue differenti qualità intellettuali, spirituali o pastorali, anche se appartiene ad un’etnia differente. L’accoglienza di un Pastore venuto da fuori, che cerca di adattarsi e di parlare la lingua, rappresenta anche una possibilità di apertura e uno scambio che ha sempre caratterizzato la Chiesa cattolica.
A livello nazionale, so che la vostra Conferenza è dotata di strutture che permettono un buon lavoro collegiale. Questo lavoro, che richiede un ritmo sostenuto di riunioni, o per lo meno di assemblee generali, deve rimanere prima di tutto un lavoro proprio degli stessi Vescovi con l’aiuto eventuale di segretariati che rimangono al loro servizio - al loro posto subordinato - e io dico: di tutti i Vescovi dello Zaïre, soprattutto quando la loro responsabilità pastorale è impegnata in gravi questioni riguardanti la teologia, la liturgia, l’etica familiare, le decisioni in campo scolastico. Questa responsabilità delle Commissioni episcopali competenti e soprattutto dell’insieme dell’Episcopato permetterà di giungere alle soluzioni di quelle questioni, molto più che non attraverso progetti di esperti elaborati in astratto.
Penso anche che, per i grossi problemi ricordati, un accordo con i vicini episcopati d’Africa rappresenti una garanzia supplementare di saggezza e di prudenza, e allo stesso tempo possa preparare pastorali simili o convergenti sullo stesso continente.
Nella dinamica dell’unità, c’è bisogno forse di aggiungere la necessità di porsi nella Chiesa universale, i cui apporti sono chiarificatori per ciascuno, come lo si vede nei Sinodi molto rappresentativi tenuti a Roma? E quando parlo dell’insieme della Chiesa, io penso alle comunità ecclesiali attuali dei diversi Paesi, ma anche a quelle della Chiesa antica, la cui esperienza è insostituibile.
Quanto alla Santa Sede, si potrebbe dire che essa c’è proprio per assicurare l’espressione di tutte queste possibilità di approfondita riflessione, di prospettive a lunga scadenza, di una concertazione più ampia. La sua ottica universale non traduce solamente una preoccupazione di fedeltà e di unità di tutta la Chiesa - di cui il successore di Pietro ha la responsabilità come primo capo -, ma garantisce il valore delle esperienze a beneficio del Paese che le vive, e la piena responsabilità dei Pastori locali. Per questa opera, e in particolare per determinare i criteri di giudizio di queste esperienze, voi sapete che il Papa conta naturalmente sui Dicasteri della Curia, con i quali vi invita sempre a cooperare con fiducia.
Lo studio e la messa in opera dei documenti della Santa Sede sono ancora dei modi per promuovere l’unità d’azione e di pensiero nei campi fondamentali. Penso per esempio al nuovo Codice di diritto canonico, che ho promulgato dopo un’ampia consultazione di Pastori e di esperti di tutta la Chiesa, o ancora all’esortazione Familiaris Consortio, in cui ho sviluppato i frutti del Sinodo dei Vescovi.
È in tali condizioni, cari fratelli, che la Chiesa nello Zaïre potrà con l’aiuto del Signore e in comunione con le altre comunità della Chiesa, tracciare il suo cammino, il cammino di cui ha bisogno, affinché i suoi figli siano evangelizzati in profondità, e possano esprimere la loro fede, il loro culto, la loro vita comunitaria, con le fibre del loro essere e delle loro tradizioni culturali che il cristianesimo avrà aiutato a purificare e ad elevare, come fa per tutte le culture, che esso trascende. E apporteranno nello stesso tempo il loro contributo al multiforme progresso della Chiesa a gloria del Signore.
Portate ai vostri sacerdoti, al catechisti, alle famiglie, ai bambini, ai giovani, ai religiosi e alle religiose, a coloro che sono nella prova, il saluto cordiale del Papa che si ricorda di loro con emozione. E anche la mia benedizione apostolica, che vi imparto con particolare affetto, una grande fiducia e i miei vivi incoraggiamenti a essere quei buoni Pastori di cui parlava san Pietro nella sua lettera. Che lo Spirito Santo vi rafforzi nella sua luce, nella sua forza e nel suo amore!
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