DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI MEMBRI DEL COMITATO SPECIALE DELL'ORGANIZZAZIONE
DELLE NAZIONI UNITE CONTRO L'APARTHEID
Sabato, 7 luglio 1984
Signor presidente,
cari amici.
1. Ho accettato molto volentieri la vostra richiesta di essere ricevuti in udienza, perché ho visto in questo un segno del vostro apprezzamento per ciò che la Chiesa cattolica sta facendo per difendere la dignità della persona umana, e in particolare per combattere tutte le forme di discriminazione razziale.
Il vostro comitato non è estraneo a questo luogo, ed è familiare con l’insegnamento della Chiesa, spesso riaffermato, e con la posizione della Santa Sede sulla discriminazione razziale e l’apartheid.
Dieci anni fa, il 22 maggio 1974, il mio predecessore Paolo VI ricevette il vostro comitato e indicò le basi dell’impegno cristiano per la causa della promozione della dignità umana. L’incontro di oggi mi dà l’opportunità di sottolineare ancora una volta i principi che governano questo impegno. La creazione dell’uomo, compiuta da Dio “a sua immagine” (Gen 1, 27) conferisce a ogni persona umana un’eminente dignità; essa postula anche la fondamentale uguaglianza di tutti gli esseri umani. Per la Chiesa, questa uguaglianza, radicata nell’essere umano, acquista la dimensione di una speciale fratellanza mediante l’incarnazione del Figlio di Dio, il cui sacrificio ha redento tutti. Nella redenzione compiuta da Gesù Cristo la Chiesa vede un’ulteriore base dei diritti e dei doveri della persona umana. Dunque ogni forma di discriminazione basata sulla razza, occasionale o praticata sistematicamente, diretta a individui o a interi gruppi razziali, è assolutamente inaccettabile. L’apostolo san Paolo dice molto chiaramente: “Qui non c’è più né giudeo o greco, circoncisione o non-circoncisione, barbaro o sciita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti” (Col 3, 11).
2. Purtroppo, come ho dovuto notare in occasione della celebrazione della Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale: “...il flagello della discriminazione razziale, in tutte le sue numerose forme, sfigura ancora la nostra epoca. Esso nega la fondamentale uguaglianza di tutti gli uomini e le donne, proclamata dalle diverse dichiarazioni delle Nazioni unite, ma, soprattutto, radicata in Dio” (Ioannis Pauli PP. II, Nuntius ob diei universalis celebrationem ad generis discriminationem eripiendam datus, die 21 mar. 1984: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII/1 [1984] 729).
Vorrei inoltre ricordare il fatto che Paolo VI, nella sua ultima allocuzione al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, parlò del conflitto razziale in Africa e menzionò “il tentativo di creare strutture giuridiche o politiche che violano i principi del suffragio universale e dell’autodeterminazione dei popoli” (Pauli VI, Allocutio ad Excellentissimos Viros, qui apud Sanctam Sedem Legatorum munere funguntur habita, II, die 14 ian. 1978: Insegnamenti di Paolo VI, XVI [1978] 30s.).
La Santa Sede segue con grande attenzione lo sviluppo della situazione in Sud Africa, e ha ripetutamente dimostrato il suo impegno perché i diritti degli individui e dei popoli di quel Paese siano rispettati.
3. In questo contesto, vorrei fare riferimento a due aspetti particolari del problema esistente in quella parte del mondo. Si tratta di due aspetti che sollevano problemi complessi, seri e difficili, ma che sono fondamentali per il futuro della regione e per il benessere dei popoli che vivono in quel Paese. Parlo del problema dell’indipendenza della Namibia, a cui ho fatto riferimento nella mia allocuzione al corpo diplomatico, il 14 gennaio scorso, e il problema dell’emigrazione forzata delle popolazioni che vivono in Sud Africa.
La ragione per cui ricordo oggi questi due problemi non è che la Santa Sede desidera avanzare proposte di natura politica.
Essa è conscia delle numerose implicazioni politiche relative a questi problemi, ma il suo interesse è ad un altro livello: il livello della persona umana. Ed è a questo livello che tali questioni causano profonda inquietudine, perché il peso di sofferenza che tocca gli individui e le comunità interessate è gravissimo. La Chiesa cattolica, fedele alla sua missione nel mondo, condivide queste sofferenze e non può passarvi sopra in silenzio perché, se lo facesse, la sua testimonianza d’amore e di servizio all’uomo sarebbe compromessa. La buona novella che essa ha ricevuto dal suo divino fondatore obbliga la Chiesa a proclamare il messaggio di salvezza e la dignità umana e a condannare le ingiustizie e le minacce alla dignità umana.
Per quanto riguarda la Namibia, la Santa Sede esprime la speranza che i negoziati, già prolungatisi per molto tempo, si traducano, al più presto, in chiare decisioni che riconoscano senza ambiguità il diritto di questa nazione ad essere sovrana e indipendente. Ciò sarà un importante contributo al ristabilimento della pace in quella regione e un valido segno di riconciliazione tra i diversi popoli ivi residenti. Sarà poi un’esemplare applicazione dei principi del diritto internazionale che non deve mancare di estendere la sua influenza positiva agli altri conflitti, nel continente africano e anche altrove.
I recenti accordi che hanno caratterizzato le relazioni tra diversi Paesi in Sud Africa sembrano costituire un progresso in questa direzione. Nello stesso tempo, è di capitale importanza che il comportamento delle autorità civili e militari nel territorio della Namibia debba essere ispirato dal rispetto per i diritti degli abitanti, persino nelle situazioni di confronto che possono verificarsi.
Per quanto riguarda il secondo problema che ho menzionato, cioè l’emigrazione di numerosi cittadini sudafricani verso luoghi di residenza assegnati loro dal governo, la Chiesa cattolica locale ha già espresso la sua protesta, poiché questa procedura rappresenta una grave violazione dei diritti della persona umana, e nello stesso tempo danneggia profondamente la vita familiare e il tessuto sociale.
Una comune iniziativa ecumenica è stata presa dalla Conferenza dei vescovi cattolici del Sud Africa e dal Consiglio delle Chiese sudafricane, per attirare l’attenzione pubblica e quella delle organizzazioni internazionali su questi fatti, che sono una conseguenza del sistema dell’apartheid. La Santa Sede, per parte sua, esprime la sua preoccupazione per queste procedure contrarie alla dignità degli individui e dell’intera comunità. Essa spera seriamente che si instauri una politica differente, perché a quella popolazione già così dolorosamente provata e il cui diritto a essere trattata senza discriminazioni è sistematicamente oltraggiato, possano venire risparmiate ulteriori dolorose e tragiche esperienze. Essa desidera inoltre una revisione di tale politica perché si possano evitare in futuro altre conseguenze catastrofiche per l’autentico bene di tutti coloro che vivono nella regione e per la causa della pace nel mondo.
4. Miei cari amici: il vostro delicato lavoro richiede fermezza nella difesa dei principi e prudenza nella scelta dei mezzi adatti a raggiungere il vostro scopo. Vi do assicurazione che la Chiesa, ben conscia del suo livello di responsabilità e di competenza, è al vostro fianco mentre percorrete il vostro difficile cammino, ed è pronta a sostenere ogni sforzo finalizzato ad allontanare la tentazione della violenza e a contribuire alla soluzione del problema dell’apartheid in uno spirito di dialogo e di amore fraterno che rispetti i diritti delle parti implicate.
Che Dio onnipotente ispiri buona volontà a tutti coloro che sono interessati e aiuti i responsabili a prendere sagge decisioni perché in quella regione del mondo giustizia e pace possano prevalere. Ciò che è in gioco è la dignità della persona umana e il bene dell’umanità.
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