DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AL CONVEGNO DELLA CHIESA ITALIANA
Palazzetto dello Sport
Loreto (AN) - Giovedì, 11 aprile 1985
Venerati fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio,
Carissimi delegati delle Chiese che sono in Italia,
1. A tutti il mio saluto deferente e cordiale! È con senso di intima gioia che oggi sono qui con voi, per prendere parte a questa vostra assemblea nella quale sono rappresentate le varie componenti del popolo di Dio, che vive la sua fede in questa diletta terra d’Italia. Sono venuto a Loreto innanzitutto per celebrare con voi il Cristo risorto, il Redentore dell’uomo, il Riconciliatore dell’umanità (cf. 2 Cor 5, 18-19). Sono venuto per mettermi con voi ai piedi della croce, segno sempre paradossale, ma insostituibile della nostra riconciliazione, di questo grande dono che manifesta la gratuità e l’efficacia dell’inesauribile amore di Dio.
La riconciliazione è dono di Dio che discende a noi attraverso il fianco squarciato del Cristo crocifisso. Essa è dono sempre trascendente, che assume, purifica, salva ed eleva i germi buoni seminati dalle mani di Dio creatore nella comunità degli uomini. Essa è dono che attira tutto a Cristo Signore “elevato da terra” (cf. Gv 12, 32), suscitando quel movimento sacramentale e storico, che convoca la Chiesa e in essa ricolma l’intera umanità della pacificazione con Dio e tra gli uomini.
Bene avete fatto, perciò, carissimi fratelli e sorelle, ad orientare la preparazione di questo Convegno verso la contemplazione della croce gloriosa di Cristo. La grande icona del Venerdì santo costituisce per noi un punto di riferimento incontrovertibile. Voi l’avete posta all’inizio del vostro itinerario, come si legge nel secondo sussidio di preparazione al Convegno, dal titolo “La forza della riconciliazione” (La forza della riconciliazione, 2.1). Questa stessa icona l’avete voluta qui al centro dei vostri lavori, facendo convergere su di essa l’attenzione di tutti i convegnisti. Anch’io mi associo a voi in quest’atto di adorazione e di contemplazione. E quanto vorrei che questo atto qualificasse sempre la diletta Chiesa di Dio che è pellegrina in Italia! Quanto vorrei che quest’immagine del Crocifisso fosse impressa nel cuore di tutti! Quanto vorrei che ciascuno di noi potesse dire sinceramente con l’apostolo Paolo: ritengo “di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso” (1 Cor 2, 2).
Sulla croce Cristo è morto, ma per risorgere. Secondo la testimonianza di Luca, egli è “il vivente” (cf. Lc 24, 5; At 1, 3) e così lo incontriamo sotto tanti segni per le strade del mondo, nel cuore degli uomini, soprattutto nella sua Chiesa. E noi, componendo la testimonianza di Paolo e il messaggio di Luca, amiamo metterci nell’atteggiamento di Giovanni l’evangelista il quale, col genio del “teologo” e con la gioia del salvato, ci presenta la croce di Gesù come trono regale, come motivo di gloria, come sorgente dello Spirito Santo. È qui, soltanto qui, presso la croce gloriosa di Gesù, il Figlio del Benedetto (cf. Mc 14, 61), che noi dobbiamo attingere lo stimolo e il coraggio per ogni atto di riconciliazione, a partire dalla riconciliazione all’interno della Chiesa, per spingerci a quella in ambito ecumenico e proiettarci, con slancio missionario, verso la riconciliazione del mondo. Voi avete anche voluto raccogliere il suggestivo messaggio dei due grandi patroni d’Italia: San Francesco d’Assisi e santa Caterina da Siena. Del primo avete ricordato l’impegno a moltiplicare vincoli di pace: “In realtà - dice un suo biografo - tutta la sostanza delle sue parole mirava a spegnere le inimicizie e a gettare le fondamenta di nuovi patti di pace” (Tommaso da Spalato, in Fonti Francescane, n. 2252). Di santa Caterina avete ripreso l’ammonimento ai cristiani del suo tempo: “Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutta Italia” (S. Caterina da Siena, Lettera n. 368 a Stefano di Corrado Maconi). Questa è la verità: se i cristiani di oggi saranno quello che devono essere, il fuoco della carità di Cristo tornerà a divampare nel cuore di un popolo che ha scritto pagine tanto gloriose nella storia della Chiesa e che altre è chiamato a scriverne ancora per il singolare compito che gli è stato affidato da Dio nell’annuncio del Vangelo al mondo.
2. La riconciliazione, questo immenso flusso di grazia e di perdono che verso di noi discende dal cuore di Cristo, passa attraverso la Chiesa. Di essa ha detto il Concilio Vaticano II con parole che restano emblematiche: “La Chiesa è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen Gentium, 1). La ministerialità della Chiesa nell’opera della salvezza, in dipendenza e in continuità con l’opera di Cristo Servo e Signore (cf. Gv 13, 12-17), è un dato che la tradizione ha sempre posto in grande evidenza. Il Concilio se n’è fatto eco fedele. Occorre perciò che ogni cristiano si sforzi di vivere il suo impegno a servizio del Vangelo in piena sintonia con la Chiesa.
Ma per fare un’autentica e valida esperienza di Chiesa, è necessario accettare la Chiesa così com’essa è stata voluta dal suo fondatore. E dove il disegno di Cristo può essere meglio conosciuto che nella rivelazione e nei documenti del magistero della Chiesa, assistita dallo Spirito Santo? Vogliamo fermare oggi la nostra attenzione sul Concilio Vaticano II, che ha trattato profondamente quel tema. Occorre però che il Concilio non si interpreti secondo particolari visioni o scelte personali: nessuno deve sconvolgere il messaggio conciliare sulla Chiesa, sia essa considerata nella sua dimensione universale o in quella particolare.
A questo proposito, desidero rileggere qui con voi una pagina illuminante della Lumen Gentium, in cui la poliedrica e unica realtà della Chiesa appare in tutta la sua ricchezza, per il diverso e complementare contributo della presenza e dell’opera di tutti: il Papa con i Vescovi e il Popolo di Dio. Ecco quanto si legge al n. 23 del menzionato documento: “L’unione collegiale appare anche nelle mutue relazioni dei singoli vescovi con le Chiese particolari e con la Chiesa universale. Il Romano Pontefice, quale Successore di Pietro, è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei vescovi sia della massa dei fedeli. I singoli vescovi, invece, sono il visibile principio e fondamento di unità nelle loro Chiese particolari, formate ad immagine della Chiesa universale, e in esse e da esse è costituita l’una e unica Chiesa, e tutti insieme col Papa rappresentano tutta la Chiesa in un vincolo di pace, di amore e di unità”.
Rileggendo queste affermazioni di alto valore dottrinale e pastorale, mi è caro rendere omaggio alla profonda unità che lega i vescovi italiani tra loro e col Successore di Pietro e che vivamente apprezzo e che è per me motivo di conforto, nella comune sollecitudine di servizio alla Chiesa di Cristo che è in Italia, alla quale non a torto si guarda da ogni parte del mondo, avendo la Provvidenza divina guidato a questa terra i passi del Pescatore di Galilea.
Ringraziando Dio per i vincoli di comunione che egli alimenta fra noi con la forza vivificante del suo amore, prendiamo rinnovata coscienza dell’essenziale ruolo che, nel piano di salvezza, sono chiamate a svolgere le Chiese particolari. In religioso ascolto della parola di Dio (cf. Dei Verbum, 1), radicate nel mistero di Cristo mediante la partecipazione alla divina liturgia (cf. Sacrosanctum Concilium, 2), impegnate nella testimonianza della carità (cf. Gaudium et Spes, 26), raccolte intorno ai vescovi, successori degli apostoli (cf. Christus Dominus, 16), le Chiese particolari sono, nel mondo e per il mondo, segno visibile e tangibile dell’amore misericordioso del Padre, per il conforto e la piena liberazione dell’uomo. A questa missione i singoli cristiani sono chiamati a partecipare, secondo il grado del loro ministero.
Se un risultato è lecito auspicare da questo Convegno, esso può ben essere indicato in una rinnovata coscienza di Chiesa grazie alla quale, nella partecipazione all’unico dono e nella collaborazione all’unica missione, tutti imparino a comprendersi ed a stimarsi fraternamente, ad aspettarsi ed a prevenirsi reciprocamente, ad ascoltarsi e ad istruirsi instancabilmente, affinché la casa di Dio, cioè la Chiesa, sia edificata dall’apporto di ciascuno e perché il mondo veda e creda (cf. Gv 17, 21).
A questo molto contribuirà la riscoperta - a cui vi esorto di cuore - del sacramento della Penitenza, vissuto in tutta la sua inesausta ricchezza e nella pienezza della sua dimensione personale e comunitaria.
Occorre richiamare in profondità il rapporto tra la celebrazione della misericordia, che cancella il peccato, e la rigenerazione di un impegno morale adeguato alla misericordia ricevuta.
Sono certo che, anche con quest’impegno, la Chiesa potrà ritrovare la via dell’unità e della pace e indicare alla comunità degli uomini in Italia i sentieri di Dio” (cf. Is 44, 8-11).
3. Con questa ravvivata coscienza ecclesiologica sarà possibile accingersi al non facile compito della ricerca delle vie più adatte per portare il messaggio di Cristo al mondo di oggi e, in particolare, per iscrivere la verità cristiana sull’uomo nella realtà di questa nazione italiana, che è tanto cara a ciascuno di noi. Presupposto indispensabile per un simile impegno è la conoscenza approfondita del contesto sociale italiano nelle sue complesse componenti. Senza dubbio i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano; anzi, tutta la sua storia e la sua cultura sono impregnate di cristianesimo e intimamente intrecciate col cammino della Chiesa a partire dai tempi apostolici. Lo testimoniano non soltanto le innumerevoli opere d’arte, che sono venute ad impreziosire nel corso dei secoli le varie contrade di questa terra, ma anche le tradizioni, gli usi, le consuetudini, a cui si ispira l’agire della gente d’Italia, nel contesto di un umanesimo cristiano vissuto ed arricchito col contributo di tante generazioni. Tuttavia tensioni e difficoltà già nel passato hanno spesso segnato la presenza della Chiesa in Italia. In anni più recenti le difficoltà hanno assunto dimensioni e prospettive nuove per il processo di secolarizzazione, che spesso s’esprime in una vera scristianizzazione della mentalità e del costume per il diffondersi del materialismo pratico, cui si aggiunge il peso culturale e politico di ideologie atee.
Non poche sono le tendenze negative: dalla crisi dell’istituto familiare, con l’aumento delle separazioni e dei divorzi, oltre che delle pratiche abortive, e con la connessa diminuzione dei matrimoni religiosi, ai problemi derivanti dalla presente fase nel processo di trasformazione sociale, anche per l’introdursi di nuove tecnologie nel campo dell’informazione, della comunicazione e della produzione, alle difficoltà soprattutto per i giovani e le donne di trovare un lavoro.
Ma fortunatamente non mancano, in questo contesto, motivi di fiducia: si avvertono, ad esempio, un rinnovato desiderio di affetti profondi e duraturi, che conduce ad un nuovo apprezzamento del valore della famiglia; degno di nota è certamente l’impegno a difesa della vita umana fin dal concepimento e il moltiplicarsi di iniziative educative ed assistenziali, che scaturiscono soprattutto dalla comunità ecclesiale, estendendosi dalle scuole libere cattoliche o di ispirazione cristiana ai luoghi di ritrovo e di formazione dei ragazzi e dei giovani, fino ai centri di ricupero per i tossicodipendenti, di assistenza agli anziani e ai portatori di handicap, con larga partecipazione del volontariato; lo stesso impegno di partecipazione alla vita pubblica mostra sintomi di ripresa, come ad esempio nella gestione sociale della scuola.
Segni positivi, quelli ora menzionati, che non cancellano i fenomeni negativi che hanno turbato o minacciano nuovamente di turbare la coscienza collettiva. Dietro a questi fenomeni occorre saper vedere gli effetti profondi del processo di scristianizzazione in atto: laddove infatti vien meno la fede nel Dio fatto uomo entra in crisi il più profondo motivo di riconoscimento della dignità originaria di ogni essere umano. Quando la persona viene tendenzialmente ridotta ad una particella della natura o ad un elemento anonimo della società, non è da stupirsi che cambino i parametri fondamentali su cui poggia la convivenza umana.
4. Quale terapia potremo, dunque, indicare per questa società che, se ha scoperto in modo altamente positivo il valore e i diritti della persona umana, opera non di rado scelte che si rivelano in contrasto con i più veri interessi dell’uomo e con la civiltà cristiana che ha caratterizzato la storia italiana? Tutto lo sforzo di riflessione e tutta l’invocazione di preghiera della Chiesa in Italia, riunita in questo Convegno e rappresentata dai suoi vescovi, intorno ai quali si stringono tanti eletti sacerdoti, religiosi e laici, tendono a rispondere a questo interrogativo. Unendo la mia riflessione e la mia preghiera alla vostra, desidero sottolineare alcune linee di fondo che occorre aver sempre presenti perché l’impegno pastorale della Chiesa possa sortire risultati positivi.
La prima di tali linee è senza dubbio l’unità interna della Chiesa: come potrebbe la comunità cristiana essere “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen Gentium, 1), se non vivesse in Cristo questa indissolubile unità anzitutto al proprio interno, così da essere Chiesa riconciliata ed, anzi, primizia del “mondo riconciliato” (cf. S. Agostino, Sermo 96, 8)? Esiste però un legame costitutivo tra unità e verità: la riconciliazione autentica non può avvenire che nella verità di Cristo, non fuori o contro di essa (cf. Giovanni Paolo II, Reconciliatio et paenitentia, 9). La verità rivelata, per altro, è proprietà di Dio; di essa la Chiesa non è padrona arbitraria, ma piuttosto serva e testimone fedele: lo Spirito di verità le è dato per assisterla in questa sua missione decisiva, garantendo il carisma dell’infallibilità ai pastori, ma dotando anche l’intero popolo di Dio di un particolare senso della fede. È pertanto necessario che il senso di responsabilità per la verità sia condiviso da tutti i fedeli, in particolare da coloro che, come i teologi, hanno una specifica funzione nell’approfondimento della verità rivelata e nell’impegno per inserirne i contenuti nel presente contesto culturale: ad essi in modo speciale è richiesta una stretta, fedele e rispettosa collaborazione con i pastori (cf. Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, 19).
La fedeltà alla verità è condizione imprescindibile perché i cristiani tutti possano svolgere la loro missione profetica nel mondo. La verità è misura della moralità: scelte e motivazioni non possono dirsi eticamente buone e, quindi, meritevoli di approvazione se non sono conformi al bene oggettivo. La comprensione e il rispetto per l’errante esigono anche chiarezza di valutazione circa l’errore di cui egli è vittima. Il rispetto, infatti, per le convinzioni altrui non implica la rinuncia alle convinzioni proprie.
La “coscienza di verità”, la consapevolezza cioè di essere portatori della verità che salva, è fattore essenziale del dinamismo missionario dell’intera comunità ecclesiale, come testimonia l’esperienza fatta dalla Chiesa fin dalle sue origini. Oggi, in una situazione nella quale è urgente por mano quasi ad una nuova “implantatio evangelica” anche in un Paese come l’Italia, una forte e diffusa coscienza di verità appare particolarmente necessaria. Di qui l’urgenza di una sistematica, approfondita e capillare catechesi degli adulti, che renda i cristiani consapevoli del ricchissimo patrimonio di verità di cui sono portatori e della necessità di dare sempre fedele testimonianza alla propria identità cristiana.
5. Nello stesso tempo, affinché la verità di Cristo possa essere compresa nel suo senso autentico ed accolta fino in fondo dall’uomo, in particolare dall’uomo contemporaneo, essa deve essere annunciata e vissuta come verità congiunta all’amore, secondo la parola del Salmo: “Misericordia e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno” (Sal 85, 11).
Mentre nell’epoca moderna l’affermazione della verità, per note ragioni storiche, è stata spesso considerata come un ostacolo alla pacifica convivenza tra gli uomini, quasi che questa potesse essere fondata soltanto su basi relativistiche, e mentre le ideologie effettivamente dividono e contrappongono gli uomini, la verità di Cristo domanda di essere realizzata nell’amore, per condurre in tal modo alla fraternità. Nella sua essenza profonda essa è, infatti, manifestazione dell’amore, e solo nella concreta testimonianza dell’amore può trovare la sua piena credibilità. Perciò le comunità cristiane sono chiamate ad essere luoghi in cui l’amore di Dio per gli uomini può essere in qualche modo sperimentato e quasi toccato con mano. La sete di autenticità che, proprio a causa della presente “cultura del sospetto”, è particolarmente viva nel cuore degli uomini, rende acuta l’esigenza di simili comunità: esse appaiono la via maestra per ricondurre il nostro popolo all’appartenenza piena alla Chiesa e all’adesione integrale alle verità della fede.
Anche nella pastorale di casi difficili, come quelli che riguardano divorziati risposati o sacerdoti che si trovano in situazioni irregolari, è necessario, come ho ricordato nell’esortazione post-sinodale Reconciliatio et paenitentia (Giovanni Paolo II, Reconciliatio et paenitentia, 34), tenere simultaneamente presenti il principio della compassione e della misericordia, secondo il quale la Chiesa cerca sempre di offrire, per quanto le è possibile, la via del ritorno a Dio e della riconciliazione con lui, e il principio della verità e della coerenza, per cui la Chiesa non accetta né può accettare di chiamare bene il male e male il bene.
A loro volta i rappresentanti del cosiddetto “dissenso” possono essere certi che la via del ritorno è sempre aperta anche per loro, ma a tal fine devono accogliere sinceramente le esigenze della comunione ecclesiale, sul terreno della fede e della disciplina.
6. Per promuovere la comunione ecclesiale e la capacità di presenza apostolica della Chiesa appare molto significativa e carica di promesse la grande varietà e vivacità di aggregazioni e movimenti, soprattutto laicali, che caratterizza l’attuale periodo post-conciliare. Perché la ricchezza dei carismi che il Signore ci dona porti il suo pieno contributo all’edificazione della casa comune, è necessario innanzitutto il riferimento costante al proprio vescovo, “principio visibile e fondamento dell’unità della Chiesa particolare” (Lumen Gentium, 23). Ogni “ambiente” ecclesiale, come anche ogni problema che in esso può sorgere, trova nella Chiesa particolare e nella concretezza delle sue strutture il “luogo” provvidenzialmente predisposto, a cui fare riferimento nella ricerca della soluzione adeguata. Il tutto, ovviamente, nel contesto dell’indispensabile comunione con la Chiesa universale, che ha nel Successore di Pietro il perpetuo e visibile centro della propria unità (cf. Ivi). Le Chiese particolari, nelle quali e a partire dalle quali sussiste l’una ed unica Chiesa di Cristo (cf. Ivi), trovano infatti il loro senso autentico e la loro consistenza ecclesiale solo come espressioni e realizzazioni della “Catholica”, della Chiesa una, universale e primigenia.
Per la solidale edificazione della casa comune è necessario, inoltre, che sia deposto ogni spirito di antagonismo e di contesa, e che si gareggi piuttosto nello stimarsi a vicenda (cf. Rm 12, 10), nel prevenirsi reciprocamente nell’affetto e nella volontà di collaborazione, con la pazienza, la lungimiranza, la disponibilità al sacrificio che ciò potrà talvolta comportare.
Associazioni e movimenti costituiscono, in effetti, un canale privilegiato per la formazione e la promozione di un laicato attivo e consapevole del proprio ruolo nella Chiesa e nel mondo, secondo il genuino insegnamento del Concilio. Questa autentica laicità cristiana, che sarà oggetto della prossima sessione ordinaria del Sinodo dei vescovi, non può intendersi in alcun modo in alternativa all’ecclesialità, ma solo all’interno di essa, come un modo specifico, caratterizzato dall’inserimento nelle realtà terrene, di vivere la comune appartenenza e missione cristiana ed ecclesiale (cf. Lumen Gentium, 31). Analogamente la legittima autonomia delle realtà terrene (cf. Gaudium et spes, 36) trova il suo senso e la sua collocazione solo all’interno dell’unica economia di salvezza, incentrata in Cristo, che abbraccia tutto l’ordine della creazione e della redenzione (cf. Lumen Gentium, 7; Gaudium et spes, 45; Apostolicam actuositatem, 5). In concreto la Chiesa, che costituisce in terra l’inizio e il germe del regno di Dio, ha il compito di instaurare nel mondo questo regno di giustizia e di pace (cf. Lumen Gentium, 5).
7. La nostra riflessione giunge così al secondo fondamentale aspetto del Convegno: il contributo che la Chiesa riconciliata può e deve dare, nel Paese d’Italia, alla costruzione della “comunità degli uomini”, adempiendo ad una componente irrinunciabile della sua missione di promotrice di unità e ministra della riconciliazione. La Chiesa cammina, infatti, insieme con l’umanità e si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia (cf. Gaudium et spes, 1 e 40). Avendo ricevuto l’incarico di manifestare il mistero di Dio, il quale è il fine ultimo personale dell’uomo, essa al tempo stesso svela all’uomo il senso della propria esistenza, vale a dire la verità profonda su di sé e sul proprio destino (cf. Ivi, 41).
Il Convegno, pertanto, se vuol raggiungere i suoi scopi, dovrà mettere in evidenza questo compito della comunità ecclesiale, fondato in ultima analisi sul fatto sconvolgente e gratificante che “con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo” (cf. Ivi, 22). Cristo è “la principale via della Chiesa”, ed è anche la via che conduce a ciascun uomo: “Su questa via che conduce da Cristo all’uomo - ho scritto nell’enciclica Redemptor hominis - la Chiesa non può essere fermata da nessuno” (Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, 13).
Anche e particolarmente in una società pluralistica e parzialmente scristianizzata, la Chiesa è chiamata a operare, con umile coraggio e piena fiducia nel Signore, affinché la fede cristiana abbia, o recuperi, un ruolo-guida e un’efficacia trainante, nel cammino verso il futuro. Vorrei ricordare qui la precisa convinzione di papa Giovanni XXIII che “l’ordine etico-religioso incide più di ogni valore materiale sugli indirizzi e le soluzioni da dare ai problemi della vita individuale ed associata nell’interno delle comunità nazionali e nei rapporti tra esse” (Giovanni XXIII, Mater et magistra, 193), La promozione dei valori morali è un fondamentale contributo al vero progresso della società.
Nell’adempiere a quest’opera la Chiesa non invade pertanto competenze altrui, ma agisce in virtù di ciò che originariamente le appartiene: “La forza che essa riesce ad immettere nella società umana contemporanea consiste infatti nella fede e carità portate ad efficacia di vita, non nell’esercitare con mezzi puramente umani un qualche dominio esteriore” (Gaudium et spes, 42).
Ovviamente la complessità del contesto socio-culturale rende particolarmente necessario quell’esercizio del discernimento spirituale e pastorale che è al centro dell’attenzione del Convegno, Occorre innanzitutto aver chiaro il criterio di fondo di tale discernimento, Già il Concilio (Ivi, 12) individuava nell’uomo, nella centralità dell’uomo, il principio di convergenza tra credenti e non credenti nell’epoca presente, che non può non dirsi umanistica (cf. Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, 17), ma subito aggiungeva l’interrogativo fondamentale: “Ma che cosa è l’uomo?”, e sottolineava la varietà e contrarietà delle opinioni in proposito. Sviluppando questo grande orientamento conciliare, ho avuto modo di notare che “quanto più la missione svolta dalla Chiesa si incentra sull’uomo, quanto più è, per così dire, antropocentrica, tanto più essa deve confermarsi e realizzarsi teocentricamente, cioè orientarsi in Cristo Gesù verso il Padre. Mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e perfino a contrapporre il teocentrismo e l’antropocentrismo, la Chiesa invece, seguendo il Cristo, cerca di congiungerli nella storia dell’uomo in maniera organica e profonda. E questo è anche uno dei princìpi fondamentali, e forse il più importante, del magistero dell’ultimo Concilio” (Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, 1).
Occorre superare, carissimi fratelli e sorelle, quella frattura tra Vangelo e cultura che è, anche per l’Italia, il dramma della nostra epoca; occorre por mano a un’opera di inculturazione della fede che raggiunga e trasformi, mediante la forza del Vangelo, i criteri di giudizio, i valori determinanti, le linee di pensiero e i modelli di vita (cf. Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 19-20), in modo che il cristianesimo continui ad offrire, anche all’uomo della società industriale avanzata, il senso e l’orientamento dell’esistenza.
Ciò potrà avvenire solo a condizione che non si appiattisca la verità cristiana, e non si nascondano le differenze, finendo in ambigui compromessi: il dinamismo inesauribile della riconciliazione cristiana e del perdono “fino a settanta volte sette” non annulla infatti le esigenze oggettive della verità e della giustizia (cf. Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, 14).
Non deve essere, infatti, sottaciuto il rischio di una “espropriazione” effettiva di ciò che è sostanzialmente cristiano sotto l’apparenza di una “appropriazione” che in realtà resta soltanto verbale, con la conseguenza della “assimilazione” al mondo invece che della sua cristianizzazione.
È dunque necessario avere fiducia, non solo per quanto concerne la Chiesa ma anche per la vita della società, nella forza unitiva e riconciliatrice della verità che si realizza nell’amore. Vorrei dire qui agli uomini e alle donne di questa grande nazione: non abbiate paura di Cristo, non temete il ruolo anche pubblico che il cristianesimo può svolgere per la promozione dell’uomo e per il bene dell’Italia, nel pieno rispetto anzi della convinta promozione della libertà religiosa e civile di tutti e di ciascuno, e senza confondere in alcun modo la Chiesa con la comunità politica (cf. Gaudium et Spes, 76).
8. Proprio la forma di governo democratica, che l’Italia ha conseguito e che come cittadino ogni cristiano è impegnato a salvaguardare e a rafforzare, offre lo spazio e postula la presenza di tutti i credenti. I cristiani mancherebbero ai loro compiti se non si impegnassero a far sì che le strutture sociali siano o tornino ad essere sempre più rispettose di quei valori etici, in cui si rispecchia la piena verità sull’uomo.
A questo riguardo mi piace ricordare l’antica e significativa tradizione di impegno sociale e politico dei cattolici italiani. La storia del movimento cattolico, fin dalle origini, è storia di impegno ecclesiale e di iniziative sociali che hanno gettato le basi per un’azione di ispirazione cristiana, anche nel campo propriamente politico, sotto la diretta responsabilità dei laici in quanto cittadini, tenendola ben distinta dall’impegno di apostolato, proprio delle associazioni cattoliche. Essa ricorda che nello svolgersi degli avvenimenti non sono mancate tensioni e divisioni, ma è sempre prevalsa la tendenza verso un impegno che, nella libera maturazione delle coscienze cristiane non poteva non manifestarsi unitario soprattutto nei momenti in cui lo ha richiesto il bene supremo della nazione.
Questo insegnamento della storia circa la presenza e l’impegno dei cattolici non va dimenticato: anzi, nella realtà dell’Italia di oggi, va tenuto presente nei momenti delle responsabili e coerenti scelte che il cittadino cristiano è chiamato a compiere.
Come ho avuto occasione di dire, precisamente nel 1981, ai partecipanti al Congresso promosso dalla CEI nel novantesimo anniversario della Rerum novarum: “Esiste, deve esistere un’unità fondamentale, che è prima di ogni pluralismo e sola consente al pluralismo di essere non solo legittimo, ma auspicabile e fruttuoso . . . La coerenza con i propri principi e la conseguente concordia nell’azione ad essi ispirata sono condizioni indispensabili per l’incidenza dell’impegno dei cristiani nella costruzione di una società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio” (Giovanni Paolo II, Ad eos qui conventui Romae habito, LXXXX expleto anno ab editis Litteris Encyclicis “Rerum Novarum”, interfuere coram admissos, 3, 31 ottobre 1981: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IV/2 [1981] 522.523).
In particolare vorrei poi sottolineare l’importanza eminente che hanno, per il servizio della Chiesa italiana all’edificazione della Comunità degli uomini, le opere e iniziative sociali cattoliche, delle quali ho già menzionato l’attuale dinamismo. Esse non sono mera supplenza di provvisorie carenze dello Stato, né tanto meno concorrenza nei suoi confronti, ma espressione originaria e creativa della fecondità dell’amore cristiano. L’impegno nelle opere cattoliche non rappresenta d’altronde un’alternativa alla presenza dei credenti nelle strutture civiche. Nel campo immenso della promozione di un’umanità riconciliata desidero ricordare particolarmente anzitutto la famiglia, cellula nevralgica sia della Chiesa sia della società civile. Accanto alla famiglia, il mondo del lavoro, che oggi conosce una grave crisi di occupazione anche per l’introduzione di nuove tecniche produttive: il lavoro umano resta comunque una fondamentale dimensione dell’esistenza, la chiave di tutta la questione sociale. Di fronte alle difficoltà attuali occorre finalizzare lo sviluppo tecnologico in forma sempre più decisa al bene primario dell’uomo e del lavoro umano. Un ulteriore settore in cui è essenziale l’impegno dei cristiani riguarda tutto l’arco dei temi educativi e della comunicazione sociale: è qui infatti che si gioca in larga parte il presente e il futuro del rapporto tra Vangelo e cultura.
In questa prospettiva di futuro il pensiero va con particolare affetto al mondo dei giovani, una larga rappresentanza dei quali ho avuto la gioia di incontrare in occasione del raduno indetto per l’Anno internazionale della gioventù. La Chiesa deve essere accanto ai giovani nella loro aspirazione alla pace nella giustizia e nella libertà: tanto a coloro che adempiono con lealtà ad dovere di servire la patria, quanto a coloro che, sollevando obiezione di coscienza, scelgono di prestare un servizio civile alternativo.
Vorrei riservare una particolare parola per il ruolo che nella Chiesa hanno i sacerdoti i quali, in docile collaborazione con i vescovi, sono chiamati ad essere gli “ambasciatori di Cristo” e ministri della riconciliazione (cf. 2 Cor 5, 18-20). Sono loro che, nelle parrocchie e nelle associazioni, portano il peso della concreta presenza salvifica della Chiesa. Con i sacerdoti è doveroso ricordare anche l’apporto dei religiosi e delle religiose alla vita quotidiana della Chiesa: nella varietà dei carismi e dei ministeri della vita religiosa, la comunità ecclesiale trova una ricchezza sempre nuova per la sua missione di riconciliazione e per la sua presenza concreta ed impegnata a livello di opere educative, assistenziali e missionarie. La consapevolezza dell’importanza di questa componente per la vita della Chiesa deve spingere tutti ad adoperarsi con rinnovato zelo nell’opera delle vocazioni, coltivandole nel loro sbocciare ed accompagnandole poi lungo tutto il cammino della loro formazione.
Infine, ma come punto qualificante e decisivo di tutto il cammino di riconciliazione, si profila davanti ai nostri occhi lo spazio immenso dell’umanità sofferente e minacciata: dagli ammalati a noi vicini, agli emigranti ed immigrati, fino alle moltitudini innumerevoli dei popoli della fame, passando attraverso coloro che subiscono la tragedia della guerra, della persecuzione, della privazione dei diritti fondamentali, a cominciare da quello della libertà religiosa. A tutti siamo debitori dell’aiuto fraterno, della solidarietà generosa e coraggiosa, del pane terreno e del pane che viene dal cielo per la vita del mondo. In base a questa solidarietà e fraternità siamo e saremo giudicati.
9. Queste, Carissimi Fratelli e Sorelle, le riflessioni che desideravo comunicarvi. Sono certo che vorrete prestare ad esse la vostra attenzione. Auspico di cuore che lo scambio di esperienze e di riflessioni, che caratterizza la natura a voi ben nota di questa qualificata assemblea, possa suggerire valide proposte, dalle quali i vescovi trarranno le opportune linee di azione pastorale per la Chiesa nell’Italia del nostro tempo.
Auspico inoltre che voi sappiate essere per l’intera comunità ecclesiale italiana un grande segno di comunione, facendo convergere rispettivi punti di vista nella mirabile sinfonia dell’unità cattolica.
Così il Convegno potrà anche assumere un alto significato e costituire un forte motivo di pace e di riconciliazione per la diletta comunità degli uomini che è in Italia in questa fine del secondo millennio.
Apprestandoci ormai a celebrare insieme l’Eucaristia davanti al venerabile Santuario di Maria qui in Loreto, affidiamo a lei e alla sua potente intercessione il buon esito di questo Convegno, al quale annettiamo tante attese e speranze: l’amore misericordioso di Dio che è principio di ogni comunione e riconciliazione si rivela infatti con particolare sensibilità attraverso il suo cuore di Madre, nella storia della Chiesa e dell’umanità (cf. Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, 9).
La Vergine Madre, icona dell’umanità riconciliata, assista i lavori che ancora vi attendono; lei che è immagine di obbedienza e di offerta di sé alla “parola della riconciliazione”.
In lei riposa tutta la nostra fiducia.
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