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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AD UN GRUPPO DI VESCOVI DEL BRASILE
IN VISITA AD LIMINA APOSTOLORUM

Martedì, 4 giugno 1985

 

Cari Fratelli nell’Episcopato.

1. “Quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme” (Sal 133, 1). Desidero cominciare con queste parole del salmista per esprimere la gioia che provo nel salutare voi tutti, arcivescovi e vescovi delle province ecclesiastiche del Paranà e di Santa Catarina, che rappresentate i segretariati regionali Sud-Due e Sud-Quattro della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile. È un saluto cordiale e, allo stesso tempo, grato della testimonianza di comunione con il successore di Pietro, che sempre è parte di una visita “ad limina Apostolorum”.

Voi tutti rappresentate qui gli amati figli di quella bellissima regione del Sud del Brasile che ho già simbolicamente visitato nella mia indimenticabile permanenza a Curitiba, durante il pellegrinaggio pastorale in terra brasiliana. Le immagini di quell’incontro con gente buona e laboriosa, mi ricordano con una certa nostalgia l’intensità di affetto in Cristo che ho sperimentato, e la speranza immensa che ho vissuto, e che serbo nel cuore, che allora ho potuto leggere negli occhi di ciascun brasiliano da me incontrato.

Salda tradizione cristiana e sensibilità alla comunione ecclesiale sono ricchezza peculiare del popolo delle vostre terre, caratterizzate da continuità geografica e da diversità etnica, ma con aspetti socio-culturali e religiosi comuni.

Oggi rivedo in voi che avete origini ancestrali differenti questa “terra di tutte le genti”, rivedo il “mosaico” di fisionomie di varie razze, affratellate e riunite nel nuovo popolo di Dio dallo Spirito Santo “signore e vivificatore, il quale è principio di unione e di unità nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nella frazione del pane e nelle orazioni” (cf. At 2, 42) (Lumen gentium, 13). Saluto tutti i fedeli delle vostre fervorose comunità cristiane, chiamate a risplendere, nell’unica Chiesa di Cristo, come lanterne nel mondo, tenendo alta la parola di vita (cf. Fil 2, 16).

In qualità di pastori, che realizzano l’apologia dello “scriba istruito sul regno dei cieli” (cf. Mt 13, 52), voi vi impegnate a mantenere e incrementare la fedeltà a Cristo, che ha influito non poco sulla promozione umana del vostro popolo, in quanto racchiude in sé una potenza incommensurabile per lo sviluppo integrale della persona umana e per l’edificazione della società, animata dalla forza della fraternità.

2. È noto che la visita “ad limina”, oltre ad affermare la collegialità episcopale e a far vivere i legami di intima comunione, nella fede in Cristo e nella vita ecclesiale, tra la Santa Sede e le varie diocesi, è un invito a riflettere, a valutare, a indicare progetti e a “collocare” la propria sollecitudine di pastori. L’ascolto delle vostre relazioni e, soprattutto, il contatto personale con voi, mi hanno dato l’opportunità di condividere in parte ciò che vive nei vostri cuori. Ringrazio Dio per aver verificato che prevale l’amore di Cristo, insieme al senso di responsabilità personale e di co-responsabilità apostolica, al servizio del gregge di cui il Signore vi ha costituito pontefici, maestri e pastori (cf. Christus Dominus, 12. 15. 16).

In questo sguardo d’insieme sul quadro che avete tracciato del “campo di Dio”, che coltivate con la serena perseveranza del buon agricoltore (cf. Gc 5, 7), non ho mancato di notare ciò che in questo momento costituisce l’oggetto della vostra attenzione e sollecitudine: l’evangelizzazione del mondo della cultura; i particolari ostacoli nella pastorale urbana e suburbana; la presenza della Chiesa nel mondo del lavoro; l’attenzione ai fedeli che vivono nell’ambiente rurale; le migrazioni forzate; le disuguaglianze sociali da superare nella ricerca di una società più giusta e fraterna, fenomeni questi che non sempre trovano preparati i figli della Chiesa; il sorgere di nuove sette e movimenti, più o meno religiosi, che confondono il popolo semplice e sprovveduto; l’adattamento della catechesi alle situazioni locali, che però non autorizza deviazioni della dottrina, né alterazioni delle verità della fede; l’impegno dei laici nella vita della Chiesa e la loro partecipazione nella vita collettiva, la “spontaneità” nella vita e nell’adattamento della liturgia, eccetera.

È immenso e multiforme, quindi, il campo che, come vescovi, si apre al vostro zelo e al vostro impegno pastorale che già si mostra instancabile e intelligente. La fiducia nel fatto che siamo “collaboratori di Dio” deve sempre accompagnare tutti noi nel compiere ciò che ci compete. E vi accompagnerà sempre la mia preghiera.

3. Nell’ambito della complementarità dei temi che mi sono proposto di trattare negli incontri con i differenti gruppi di vescovi del Brasile, vorrei intrattenermi oggi, con brevi considerazioni, sull’impegno di formatore permanente dei suoi sacerdoti, che spetta a ogni vescovo diocesano: formazione nel seminario e, oltre il seminario, formazione permanente. La messa a fuoco delle problematiche in questo campo non può differire da ciò che è stato indicato dallo Spirito di verità e di amore, attraverso l’autore sacro: il sacerdote, “scelto tra gli uomini viene costituito per il bene degli uomini, nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati” (Eb 5, 1). La formazione del sacerdote si deve pertanto articolare in cinque dimensioni: la “segregazione” tra gli uomini (per non parlare di “mondo”), il servizio dell’uomo nelle cose di Dio, il sacrificio e la riconciliazione. Sarebbe bello e produttivo svolgere, secondo le piste tracciate dal Concilio Vaticano II, ciascuno di questi punti; su di essi si basa la definizione di sacerdote, l’identità del padre, come si preferisce dire nella vostra lingua.

Ero già a conoscenza, e voi me lo avete confermato con gioia, che le vostre regioni possono essere chiamate il “granaio del Brasile” non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. La vocazione è e rimane sempre dono di Dio, che egli non rifiuta a nessuna comunità; ma è come il buon seme che prospera, cresce e arriva a metter frutti solamente nell’humus della buona terra.

4. In un Paese immenso come il Brasile, con così accentuata scarsità di clero e di persone consacrate, è consolante verificare un rifiorire delle vocazioni. Questo alimenta la speranza che la crisi generalizzata, forse meno sentita nelle vostre regioni, sia in via di superamento. Eppure questo risveglio vocazionale si dimostrerà fruttuoso nella misura in cui si verificherà con accuratezza la formazione dei “chiamati”. Essa è qualcosa di più della sola acquisizione di nozioni o della formazione accademica: deve essere formazione integrale della persona, che va dalle doti e qualità umane da sviluppare e orientare per la missione della Chiesa, alla globalità della vita ascetico-spirituale di ciascuno, che dovrà servire da base alla dottrina, nei vari rami delle scienze sacre, debitamente integrate dalle scienze umane, e alla preparazione pastorale.

Condivido la sollecitudine che dimostrate nell’offrire una solida formazione ai futuri sacerdoti, e non posso non lodare l’importanza che riconoscete alla funzione del seminario nel raggiungere tali obiettivi. La vita comunitaria in queste istituzioni, secondo quanto preconizzato dal Concilio Vaticano II e più recentemente confermato dal Codice di diritto canonico, continua ad essere una necessità nella preparazione al sacerdozio. Su questo punto sono forse eloquenti alcune esperienze e, più ancora, la pratica seguita nelle diocesi affidate alla vostra sollecitudine di pastori, in cui abbondano e fruttificano i seminari. È certo che essi hanno bisogno di costante rinnovamento e adattamento ai tempi nuovi, il che esige, da parte di chi li attua, equilibrio e buon senso e le necessarie qualità; in particolare, profondo spirito evangelico e sacerdotale, ben inquadrato nella missione della Chiesa.

5. Non si esiti, quindi, nel destinare e nel preparare adeguatamente per i seminari i migliori membri del presbiterio o della famiglia religiosa, anche a costo di privarsi del loro valido aiuto in altre opere. Questo è un compito vitale per il futuro delle comunità; umanamente parlando, è tempo più o meno lungo. La configurazione delle comunità cristiane, sia parrocchiali che di altro genere, così come quella della comunità diocesana, dipende, in gran misura, dalla figura e dalle capacità - sempre “strumenti” di Dio, ben inteso - dei rispettivi pastori che le guidano e le servono.

A questo proposito vorrei ricordare la parola ispirata, ripetuta dal Signore ai suoi discepoli in un momento molto significativo: “Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse” (Mc 14, 27; cf. Zc 13, 7). Lo sa bene il “principe del mondo” (Gv 14, 30); lo sanno anche “i figli di questo mondo, più scaltri dei figli della luce” (cf. Lc 16, 8), che non cessano, in quest’epoca di secolarismo, di insidiare e tentare di sedurre i sacerdoti con “il linguaggio del mondo”. Intanto, noi e i nostri sacerdoti disponiamo della grande certezza di vincere: “Colui che è in noi è più forte di colui che è nel mondo” (cf. 1 Gv 4, 1). Poi lo stesso Cristo continua a ripetere: “Abbiate fiducia! Io ho vinto il mondo” (Gv 16, 33).

Dio voglia che possiate trovare disponibili i sacerdoti da preparare o già preparati per tale compito ecclesiale. E, con questo voto, mi viene spontanea anche una benevola parola di apprezzamento per questi servitori così pieni di abnegazione per la causa del regno - i formatori di nuove leve di sacerdoti - con il desiderio, pieno di affetto, che non deludano mai la fiducia del loro vescovo, che è la fiducia della Chiesa; che si dimostrino cioè non solamente esperti e aggiornati nelle rispettive materie, ma anche esemplari nella fedeltà al magistero e alla gerarchia, inseriti con umiltà e povertà di spirito in tutto il processo formativo, soprattutto sacerdotale, seguito nelle istituzioni in cui prestano servizio. Queste devono risplendere in tutte le diocesi come modello di comunità formative.

6. Mi fa piacere registrare la vostra premura nel seguire la lodevole tradizione delle vostre regioni, affinché i vostri sacerdoti vengano plasmati come li vuole Dio stesso e secondo le esplicitazioni della volontà divina che la Chiesa va via via proponendo.

Non ignoro, inoltre, l’amore in Cristo verso i sacerdoti, che vi distingue e che si manifesta perfino nella preoccupazione che essi abbiano una vita umanamente degna e socialmente decorosa, anche dal punto di vista materiale. Vorrei spronarvi a continuare in questa dedizione preferenziale, affinché i vostri diretti collaboratori stiano bene e vivano con gioia e in pienezza la loro identità nella fedeltà a Dio e agli uomini, nella presenza nel mondo, senza essere del mondo, come autentici “ambasciatori di Cristo” (cf. 2 Cor 5, 20).

Le doti che i sacerdoti acquistano nel seminario, enumerate nei decreti conciliari Optatam totius e Presbyterorum ordinis, la cui dottrina il Codice di diritto canonico suppone e assume, constano di un insieme di virtù, apprezzate dalla convivenza sociale, di qualità morali, ascetico-spirituali, intellettuali e pastorali. Tali doti devono essere rinnovate e arricchite costantemente, perché non si attenui nei sacerdoti il “buon profumo di Cristo” (cf. 2 Cor 2, 15). Al fine di immunizzare e preservare il tesoro contenuto in “vasi di creta” (cf. 2 Cor 4, 7), costituito da coloro che completano i vostri presbiteri, è importantissimo che essi vedano nel loro vescovo un amico di fiducia della loro vita, un fratello nel sacerdozio e un padre nella fede. In ciò si baserà la predisposizione dei sacerdoti, senza perdita di autorità da parte di chi presta il servizio di guida, al dialogo, compatibile con il prestigio, se unito a povertà di spirito; alla collaborazione, che esige stima reciproca; e all’obbedienza, che suppone, da entrambe le parti, fede viva e carità soprannaturale.

Ciò facilita molto la testimonianza che darà efficacia alla missione: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 35; cf. 15, 9 ss); una carità che crei l’unità “affinché tutti siate una cosa sola . . . e il mondo creda” in colui che il Padre ha mandato (cf. Gv 17, 21), il quale, a sua volta, invia noi.

7. Ma il carattere complesso della società in cui viviamo esige, per poterla interpellare e per indicarle la via per attingere i beni della salvezza, insieme alla testimonianza, anche l’attualizzazione di posizioni e metodi durante il periodo di svolgimento effettivo del ministero pastorale (cf. Codex Iuris Canonici, can. 279 e can. 555 § 2). I campi da irrorare con lo spirito evangelico sono molti e diversificati; e il messaggio è unico, semplice, sempre identico e destinato a tutti. È necessario adattarlo, in modo intelligente e saggio, a coloro che devono accoglierlo per essere salvati; deve porsi in pratica la formula dell’apostolo: “Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno” (1 Cor 9, 22). Il Concilio dice: “Tutti i presbiteri hanno la missione di contribuire ad una medesima opera, anche se sono impegnati in differenti mansioni” (cf. Presbyterorum ordinis, 8; Codex Iuris Canonici, can. 275). E quest’opera, fondamentalmente, è l’attuazione del disegno di Dio, “che vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità” (1 Tm 2, 4).

Così la missione del sacerdote, nella missione della Chiesa, non è di ordine politico, economico e sociale (cf. Gaudium et spes, 42). Il sacerdote - uomo di Chiesa - “segregato” tra gli uomini per servirli, come dispensatore dei misteri di Dio, per elezione è un professionista della fede e uno specialista di Dio (cf. Codex Iuris Canonici, can. 276).

8. Per mantenere, in questa sua condizione peculiare, lo splendore della “luce del mondo” e il vigore del “sale della terra”, dovrà possedere limpide convinzioni personali, attinte e coltivate costantemente sul fondamento della filosofia perenne e della teologia insegnata e approvata dal magistero della Chiesa, nel contatto ininterrotto con la Sacra Scrittura, la dogmatica, la morale, la liturgia, la pastorale, il diritto, la sociologia, la pedagogia, eccetera. Solamente con convinzioni e sicurezze personali il sacerdote sarà in condizione di dialogare costruttivamente con il suo mondo, di superare e aiutare gli altri a vincere lo stato di confusione e di illusione, creato dalle moderne versioni del mito di Prometeo.

Non posso, poi, non congratularmi con voi per l’attenzione posta nel promuovere incontri di studio, corsi di aggiornamento, ritiri spirituali per i vostri presbiteri, e ancora per il livello e il tono che date ai piani e ai programmi di pastorale organica, ciclicamente emanati dai vostri segretariati regionali Sud-Due e Sud-Quattro e integrati da alcuni di voi.

Una delle più importanti funzioni del vescovo diocesano è proprio questa: essere formatore permanente dei suoi sacerdoti, animatore della loro fedeltà alla vocazione e promotore e orientatore del loro zelo e rendimento pastorale. Presiedendo al proprio presbiterio, il vescovo dovrà mostrarsi chiaro e fermo nel mantenere la sana dottrina e nell’osservanza delle norme sia giuridiche che liturgiche e pastorali; e, allo stesso tempo, sempre accogliente e misericordioso verso le persone e le loro vicissitudini, come un buon padre di famiglia: la famiglia sacerdotale.

9. Prima di concludere questo gradito incontro, vorrei trattare un altro argomento di grande importanza in rapporto a ciò che ho appena finito di dire; lo faccio, soprattutto, per il sempre latente pericolo di osmosi, oggi molto favorito dai mezzi di comunicazione sociale, che non sempre si arrestano alle porte del santuario; e, inoltre, per le crescenti esigenze e i requisiti di un’evangelizzazione efficace e senza ambiguità degli uomini del nostro tempo.

Mi riferisco alla vita consacrata. Sono a conoscenza e apprezzo insieme a voi il generoso e prezioso aiuto dei membri degli istituti di vita consacrata nei molteplici campi dell’apostolato, nelle vostre regioni e in tutto il Brasile, soprattutto dove scarseggia maggiormente il clero. Sono sicuro che non passerà mai in secondo piano, nella vostra sensibilità di pastori, la responsabilità che avete di essere maestri autentici e guide della perfezione cristiana di tutto il gregge del Signore; e, di conseguenza, di essere anche custodi della vocazione alla santità, secondo lo spirito e il carisma proprio di ciascun istituto, lungo i cammini di una sana dottrina, e nello stesso tempo animatori, educatori e padri nella fede dei chiamati alla vita consacrata (cf. Christus Dominus, 33-35; Mutuae relationes, 28).

È ovvio che la responsabilità del vescovo incide più direttamente sul servizio che le persone consacrate prestano sul piano dell’apostolato diocesano; spetta a noi, come vescovi, guidarle e dirigerle (cf. Codex Iuris Canonici, cann. 394 e 680).

10. Cari fratelli: che vi guidino queste considerazioni svolte a partire da quello che ho potuto ascoltare nelle relazioni e nei colloqui personali, insieme al vostro amore alla Chiesa e alla luce dello Spirito Santo, nella vostra attività pastorale, realizzando il mandato di Cristo e continuando la missione per la quale egli “è disceso dal cielo, per noi uomini e per la nostra salvezza”. In lui si consolidi la vostra speranza e il vostro impegno pratico per costruire un mondo più riconciliato, più cristiano e per ciò stesso più umano e più fraterno, in cui regnino l’amore e la pace.

E mi sia concesso, in questo momento, di assumere e parafrasare le parole con cui terminava una delle vostre relazioni: ringraziamo Dio, Padre di tutti gli uomini e fonte di ogni dono, che ci ispira e aiuta, con la sua divina grazia, nella realizzazione di tante cose meravigliose. Che egli, attraverso il suo divin Figlio, Gesù Cristo morto e risorto, Redentore dell’uomo, continui ad elargirci l’assistenza del suo Spirito di verità e di amore! E che, per intercessione della Vergine, Madre della Chiesa e Madre della nostra speranza, sostenga l’animo e la buona volontà di tutti noi, dei vescovi e dei nostri collaboratori nel ministero, per continuare, uniti e parlando lo stesso linguaggio, a edificare il regno di Dio.

Così sia, con un’ampia e affettuosa benedizione apostolica che vi imparto e che estendo alle comunità delle vostre Chiese locali.



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