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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DELLA BIRMANIA
IN VISITA AD LIMINA APOSTOLORUM

Venerdì, 7 giugno 1985

 

Cari Fratelli Vescovi.

È con grande piacere e con profondo sentimento di gioia nel nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo che vi saluto. La vostra visita “ad limina” vi conduce dalla vostra lontana terra alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo, quegli uomini di fede e zelo, la cui forza e fedeltà nel rispondere alla chiamata di Cristo sono così legate al fondamento stesso della Chiesa e sono il modello della nostra fedeltà ai Signore nel servizio del Vangelo.

Vi saluto con le parole di San Paolo: “Ringrazio il mio Dio ogni volta ch’io mi ricordo di voi, pregando sempre con gioia per voi, a motivo della vostra cooperazione alla diffusione del Vangelo” (Fil 1, 3). Sì, spesso ricordo voi e i vostri collaboratori, sacerdoti, religiosi e laici, che quotidianamente lavorano con voi all’edificazione della Chiesa “nella difesa e nel consolidamento del Vangelo. Infatti Dio mi è testimonio del profondo affetto che ho per tutti voi nell’amore di Cristo Gesù” (Fil 1, 8).

1. Quali maestri nella Chiesa di Dio, voi siete profondamente consapevoli che il vostro servizio al Vangelo ha un carattere e una spiegazione squisitamente teologica. Tutto il mistero della redenzione procede da un’iniziativa divina. Ha la sua origine nel piano di Dio Padre. Scaturisce dalla “fonte d’amore, cioè dalla carità di Dio Padre” (Ad Gentes, 2) che fa nascere la missione del Figlio e dello Spirito Santo.

Come ci ricorda il Concilio Vaticano II, l’intenzione di Dio era di stabilire la pace e la comunione tra gli esseri umani peccatori e se stesso, e di configurare l’umanità in una comunità fraterna e riconciliata (cf. Ivi, 3). Per fare questo il Figlio di Dio ha percorso le vie di un’autentica incarnazione, per condurre gli uomini a partecipare alla sua vita divina. Egli divenne povero per noi, sebbene fosse ricco, perché la sua povertà potesse arricchirci (cf. 2 Cor 8, 9).

La Chiesa di Birmania sa di camminare sulle orme di quel Gesù di Nazaret che fu povero e umile, che preferì la compagnia dei semplici e dei bisognosi, e che insegnò ai suoi seguaci che “chiunque diventerà piccolo . . . sarà il più grande nel regno dei cieli” (Mt 18, 4).

Comprendo pienamente che il nostro ministero pastorale riflette questo esempio del Maestro. Il vostro è un servizio di amore reso ai vostri fratelli e sorelle nella fede, spesso in povertà e nella privazione. Ma lungi dall’essere uno svantaggio, questo è infatti la vostra gloria e la ragione della fiducia e dell’amore del vostro popolo per voi. Dovete continuare a lottare per adempiere alla raccomandazione del Concilio: “Nell’esercizio del loro ufficio di padri e di pastori, i vescovi in mezzo ai loro fedeli si comportino come coloro che prestano servizio; come buoni pastori che conoscono le loro pecorelle e sono da esse conosciuti; come veri padri che eccellono per il loro spirito di carità e di zelo verso tutti” (Christus Dominus, 16).

2. La vostra volontà di riporre la vostra fiducia soprattutto nella grazia di Dio, con una conseguente fermezza e purezza di cuore nel vostro ministero verso il popolo, rimane per voi e per i vostri collaboratori nel compito dell’evangelizzazione e della catechesi la migliore indicazione che voi state lavorando per il Signore stesso.

Stando vicini alla vita e alla cultura del vostro popolo voi mostrate che il Signore è presente in mezzo a loro, voi li sostenete nella loro professione di fede, li difendete contro lo scoraggiamento e l’attacco di una visione materialistica ed egoistica della vita. Voi li aiutate a diventare sempre più consapevoli della loro dignità di figli e figlie di Dio e di leali cittadini del loro Paese.

È vero che la vostra attività pastorale è sovente ostacolata dall’assenza di mezzi materiali e umani, per il fatto stesso che i cattolici formano una piccola minoranza in Birmania, e per circostanze inerenti alle attuali condizioni storiche e geografiche del vostro Paese.

3. Ma è anche vero che ci sono molti beni sovrannaturali nelle vostre Chiese locali che provano la dedizione generosa - spesso eroica - di pastori, sacerdoti, religiosi e laici. Siete ricchi di grazia e d’amore: il Signore vi ha fatto crescere (cf. 1 Cor 3, 7). Voi potete vantare un flusso regolare di vocazioni nei seminari diocesani minori e anche al seminario maggiore di Rangoon che, a causa dell’accresciuto numero di aspiranti, è ora esclusivamente per gli studenti di teologia, mentre gli studenti di filosofia si sono trasferiti a Maymyo e a Mandalay.

C’è stato un costante aumento nel numero di vocazioni alla vita religiosa, e le attività dei religiosi sono ben integrate nei programmi pastorali delle varie Chiese locali. La collaborazione attiva dei laici come catechisti e guide di comunità, con una crescente consapevolezza del loro ruolo specifico nella Chiesa, testimonia che lo Spirito Santo “suscita nei loro cuori l’adesione alla fede” (Ad Gentes, 15).

Questi sono i doni di Dio alla Chiesa di Birmania per i quali insieme rendiamo grazie nello spirito della comunione ecclesiale che ci unisce; i successori degli apostoli col successore di Pietro. Tra questi doni ce n’è uno che merita una speciale menzione. Mi riferisco ai vostri sacerdoti: i vostri collaboratori e assistenti nel lavoro di evangelizzazione e di catechesi per il vostro popolo. Essi sono una sola cosa con voi nel sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo, e per questa ragione partecipano, a loro modo, alla vostra responsabilità per ogni Chiesa locale e “persino per tutta la Chiesa”, come ci ricorda la costituzione dogmatica sulla Chiesa (Lumen Gentium, 28).

L’efficacia del vescovo dipende in larga misura dai suoi sacerdoti. Perciò voi dovete sempre accoglierli con un amore speciale, considerarli vostri fratelli, figli e amici, ascoltarli e dar loro la vostra fiducia. Dovreste essere interessati al loro benessere spirituale, intellettuale e materiale, perché essi possano vivere vite sante e compiere fedelmente e fruttuosamente il loro ministero. Siete chiamati ad avere compassione e ad aiutare quei sacerdoti che sono in qualsiasi tipo di pericolo o che hanno in qualche modo mancato (cf. Christus Dominus, 16). Nel far questo voi imitate l’amore del cuore di Gesù, e traete abbondanti benedizioni sui vostri sacerdoti, molti dei quali vivono in condizioni di isolamento e persino di pericolo, poiché servono comunità lontane tra di loro e, forse, hanno poche opportunità di sperimentare il calore e la compagnia dei loro fratelli nel sacerdozio.

4. La Chiesa in Birmania può contare sull’impegno e il sostegno generoso di molti laici nell’opera di evangelizzazione e di sviluppo sociale. I vostri catechisti svolgono un ruolo indispensabile nel sostenere la vita cristiana delle vostre comunità e nel portare il messaggio divino di salvezza ai vicini e ai lontani. La validità di questo contributo dei laici alla missione della Chiesa è strettamente legata alla formazione disponibile per gli uomini e le donne che sono ansiosi di essere di efficace aiuto ai loro pastori nell’apostolato del “simile verso il simile” e nel proclamare Cristo nei luoghi in cui per il clero e i religiosi è difficile o impossibile arrivare. Vi incoraggio nei vostri sforzi per fornire questa formazione attraverso speciali centri per questo scopo e in programmi adattati alle possibilità del vostro popolo.

Sono lieto, in modo particolare, di sapere che voi riservate una speciale attenzione ai bisogni e alle possibilità dei giovani. Anch’essi possono avere una straordinaria efficacia nel portare il messaggio di Cristo ai loro coetanei e ai membri più giovani della comunità. Nella mia recente lettera apostolica ai giovani del mondo per l’Anno internazionale della gioventù, ho scritto che “la Chiesa guarda i giovani; anzi, la Chiesa in modo speciale guarda se stessa nei giovani” (Giovanni Paolo II, Epistula Apostolica ad iuvenes, Internationali vertente Anno Iuventuti dicato, 15, 31 marzo 1985: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VIII/1 [1985] 794).

Come pastori voi saprete come far diventare realtà viva nelle vostre Chiese locali il ruolo dei giovani. Significa destinare sacerdoti e religiosi capaci al compito della loro formazione, e questo implica uno sforzo da parte di tutti per dare loro un sentimento di appartenenza alla Chiesa, come loro diritto e dignità.

5. C’è un altro punto al quale vorrei riferirmi brevemente e affidarlo alla vostra devota considerazione. È il problema del necessario e importante dialogo tra fede e cultura che avviene nelle concrete circostanze della presenza della Chiesa in ogni luogo.

La Chiesa, che è la luce di tutte le nazioni, annuncia lo stesso messaggio di salvezza e offre gli stessi mezzi di santità e di giustizia a tutti i popoli. Tuttavia, in ogni Chiesa locale essa cerca un “dialogo” serio e sincero con la cultura e le tradizioni del popolo, al fine di assicurare una genuina “inculturazione” della fede cristiana. Senza permettere alcun indebolimento dell’integrità della sua verità o dell’unità della sua disciplina cattolica, la Chiesa “si serve delle differenti culture, per diffondere e spiegare il messaggio cristiano nella sua predicazione a tutte le genti, per studiarlo e approfondirlo, per meglio esprimerlo nella vita liturgica e nella vita della multiforme comunità dei fedeli” (Gaudium et Spes, 58).

In questo modo la fede arricchisce le qualità spirituali di ogni nazione, e la Chiesa stessa progredisce verso una più piena comprensione del mistero della redenzione. In questo processo devono essere rispettati due principi: la compatibilità delle varie culture e degli elementi culturali assimilati nella vita della Chiesa col Vangelo, e la salvaguardia della comunione con la Chiesa universale (cf. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, 10). Questo “dialogo” tra l’autentica fede cattolica della Chiesa e le culture locali è un aspetto importante del vostro ministero episcopale. È essenziale che i vescovi dello stesso Paese lavorino insieme in questo ambito, in stretto contatto con la Curia romana. Prego perché lo Spirito Santo, signore e datore della vita, vi guidi in questo compito di assicurare che il seme della fede cristiana si radichi sempre più profondamente nella terra di Birmania.

6. Miei fratelli vescovi, abbiamo toccato soltanto alcuni dei molti aspetti del vostro ministero pastorale. Non è possibile parlare di tutto ciò che abbiamo in cuore. Ciò che è particolarmente importante è che abbiamo vissuto questo incontro in piena comunione di fede e nell’amore di nostro Signore Gesù Cristo.

Affido voi e le Chiese che voi presiedete e servite all’intercessione di Maria, Madre della Chiesa. Vi chiedo di portare i miei saluti ai vostri fratelli vescovi che non hanno potuto venire. Prego per tutto il popolo di Birmania, specialmente i giovani, gli anziani e i malati.

Con le parole dell’apostolo Pietro vi dico: “Pace a voi tutti che siete in Cristo” (1 Pt 5, 14).



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