VISITA PASTORALE NEI PAESI BASSI
INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON GLI ESPONENTI DELLE DIVERSE CONFESSIONI CRISTIANE
L'Aja - Lunedì, 13 maggio 1985
Miei cari fratelli e sorelle.
1. “La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con tutti voi” (2 Ts 3, 18). Durante le mie visite pastorali nei vari Paesi è sempre una gioia per me incontrare i miei fratelli e sorelle delle Chiese cristiane e delle Comunità ecclesiali che non sono in piena comunione di fede e di vita sacramentale con la Chiesa cattolica, ma che sono unite a noi in modo autentico dallo Spirito Santo che è operante tra loro con il suo potere santificante (cf. Lumen gentium, 15; Unitatis redintegratio, 3). Spero e prego che questa visita rafforzi i legami che già esistono tra noi, e desti in noi un rinnovato rammarico per le nostre divisioni e un più profondo desiderio di unità. Tale desiderio è davvero la nostra risposta alla manifesta volontà di Cristo nella sua preghiera: “Perché tutti siano una sola cosa” (Gv 17, 21). Tale desiderio è implicito ogniqualvolta diciamo “Fiat voluntas tua - Sia fatta la tua volontà” come facciamo ogni giorno nella preghiera che Gesù ha insegnato a noi tutti, da offrire al nostro comune Padre celeste.
2. Ascoltando le vostre parole profondamente cristiane, ho riflettuto sul lungo percorso che abbiamo già compiuto insieme nel nostro comune viaggio verso quell’unità. Ci incontriamo - avete detto - in comunione col nostro Signore Gesù Cristo. Il nostro incontro riassume ed esprime gran parte della preghiera e del dialogo che per molti anni hanno caratterizzato la vita cristiana, sia a livello internazionale che a livello locale. Preghiera e dialogo hanno condotto a uno studio congiunto degli insegnamenti della Sacra Scrittura e della Chiesa sui temi centrali della fede, particolarmente sul Battesimo, che già ci dà un’unità fondamentale come cristiani.
Attraverso la preghiera e il dialogo abbiamo cominciato a collaborare sui grandi problemi che sfidano la coscienza cristiana nella sua testimonianza al Vangelo, specialmente di fronte al mondo secolarizzato di oggi. Ciò è stato particolarmente degno di nota in materie riguardanti i diritti umani, la giustizia e la pace. Così abbiamo incominciato a dare una comune testimonianza di fede, una testimonianza che è positiva anche se deve rimanere limitata, finché non saremo pienamente una sola cosa nella fede e nella comunione. Anche questa limitazione dovrebbe essere considerata come un incentivo a proseguire infaticabilmente nella nostra opera per l’unità. Stiamo lottando per l’unità perché Cristo la vuole, ma stiamo anche lottando per quella precisa unità che Cristo vuole. Le limitazioni alla nostra comune testimonianza di fede sono infatti dovute a una perdurante divisione su quello che costituisce la volontà di Cristo in tutte le sue implicazioni. Questa comune testimonianza non può avere piena credibilità agli occhi del mondo finché non è credibile agli occhi di Cristo stesso (cf. Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 77).
3. Avete parlato di differenze e difficoltà. In passato, quando i nostri contatti erano meno frequenti, dedicavamo meno attenzione ai problemi delle Chiese separate e dei singoli cristiani. In larga misura eravamo portati a sottolineare quello che ci divideva e a prestare meno attenzione a quanto abbiamo in comune. Poiché ora cerchiamo di rispondere alle sollecitazioni della sua grazia e abbiamo una nuova consapevolezza della nostra fondamentale unità battesimale, la nostra stretta vicinanza ci dà una più diretta conoscenza della vita intima delle nostre rispettive comunità. È la nostra vicinanza in Gesù Cristo che ci fa sentire tanto profondamente le gravi difficoltà che sono ancora irrisolte e che ci impediscono di essere effettivamente uniti nella piena comunione di fede. Mi avete ricordato che molti, e non ultimi i giovani, sono scoraggiati e delusi da questi problemi. Ma non possiamo considerare tali problemi anche come un incentivo a portare avanti l’opera che abbiamo incominciato, nella speranza certa che Dio - il quale ci ha condotto fino a questo punto - ci condurrà ancora più avanti? E nello stesso tempo sappiamo che non possiamo proporre soluzioni superficiali ai milioni di giovani che chiedono una vera unità nella pienezza della fede.
4. Avete menzionato alcuni problemi specifici e profondamente sentiti, problemi connessi al fatto che stiamo mirando agli stessi obiettivi. Abbiamo una comune sollecitudine per gli ideali di matrimonio cristiano e di famiglia cristiana, per la trasmissione della fede alle generazioni future e per la crescita nella santità di tutte le coppie cristiane. Noi tutti aneliamo a una sola Eucaristia e tutti noi cerchiamo di obbedire al comandamento del Signore: “Fate questo in memoria di me”, poiché consideriamo questo sacramento di Cristo stesso come il più grande suo dono alla Chiesa. Noi tutti crediamo in un solo Battesimo per il quale tutti sono uguali agli occhi di Dio, e allo stesso modo abbiamo una comune preoccupazione che le donne abbiano ogni opportunità di rendere il servizio che loro compete nella Chiesa di Dio.
È su questo sfondo che vorrei riflettere in maniera più dettagliata sui problemi particolari che avete sollevato. Ma voi sapete come me che problemi tanto delicati non possono essere risolti in uno scambio di discorsi. Ci sono problemi che sorgono dalle nostre rispettive convinzioni di fede, particolarmente dalla nostra comprensione della Chiesa e del suo ruolo ministeriale nel realizzare l’opera salvifica di Cristo per gli uomini e le donne in ogni età e luogo. Risolvere tali questioni in sincerità e verità richiede un perseverante ricorso a Dio e un lungo e attento studio e dialogo, uniti all’esperienza di un contatto e di una collaborazione prolungata nel lavoro e nella preghiera. Per questo motivo ringrazio Dio per il dialogo internazionale tra l’alleanza mondiale delle Chiese riformate e la Chiesa cattolica. Spero che questo dialogo abbia un proseguimento, una risonanza e un’eco nelle Chiese locali.
5. Parlavate, poc’anzi, dei cristiani di comunità diverse che hanno contratto un matrimonio cristiano. In primo luogo è vitale ricordare che quando il loro matrimonio è debitamente celebrato esso è, nell’insegnamento cattolico, sacramentale, e dunque un autentico riflesso dell’amore di Cristo per la sua sposa, la Chiesa. È poi una realtà santa e benedetta, un segno della presenza di Cristo nella Chiesa e nel mondo. Tali coppie sono chiamate a “rendersi artefici dell’unità” (cf. Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 71).
Come tutti gli artefici dell’unità essi debbono in primo luogo riconoscere le difficoltà; nei matrimoni misti queste difficoltà derivano dalla differenza nella fede professata come membri di Chiese o Comunità ecclesiali separate l’una dall’altra. Ma, come dissi a tali coppie in Inghilterra tre anni fa: “Voi riscontrate nei vostri matrimoni le speranze e le difficoltà che si incontrano sul cammino dell’unità cristiana. Esprimete quella speranza nella preghiera comune, nell’unità dell’amore. Insieme invitate lo Spirito Santo d’amore nei vostri cuori e nelle vostre case. Vi aiuterà a crescere nella fiducia e nella comprensione” (Giovanni Paolo II, Homilia ad Missam in urbe “York” habita, 31 maggio 1982: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V. 12 [1982] 2007ss.).
Dobbiamo avere veramente una profonda sollecitudine pastorale per le speciali esigenze di queste famiglie. Come avete affermato, le coppie nei matrimoni misti spesso perdono il contatto con le loro Chiese. È una preoccupazione, questa, che porta la Chiesa cattolica ad esigere dal partner cattolico alcune garanzie riguardanti la sua disponibilità a fare tutto quanto è possibile nell’unità del matrimonio per vivere la propria fede lealmente e per trasmetterla fedelmente. Il partner cattolico è chiamato ad essere leale alla tradizione della propria fede, a viverla e a trasmetterla. Questo è un compito serio e per nulla facile. Coloro che pensano a un matrimonio misto dovrebbero prestare un’attenta considerazione al suo carattere specifico e a tutte le difficoltà e le possibilità ad esso inerenti. Lo zelo pastorale è stata la motivazione della revisione della disciplina promulgata da papa Paolo VI in Matrimonia mixta, e ora ripetuta nelle sue linee essenziali nel nuovo Codice di diritto canonico. Con realismo e franchezza evangelica papa Paolo VI parlò delle difficoltà inerenti ai matrimoni misti e del fatto che una soluzione piena sia possibile solo ove sia restaurata l’unità cristiana.
Egli parlò anche della necessità per i pastori cattolici di instaurare relazioni di sincera apertura e illuminata fiducia nei confronti dei ministri di altre comunità religiose col proposito di aiutare tali coppie (cf. Paolo VI, Matrimonia mixta, 14). Questo è un compito in cui anche le comunità locali possono avere la loro parte, non solo nell’importante periodo di preparazione ma anche in quegli altrettanto importanti primi anni di vita matrimoniale in cui i coniugi si scoprono reciprocamente in modo più pieno e crescono insieme in una vita di fede che può esprimere non solo un minimo accordo ma anche autentico apprezzamento di tutto ciò che si può stimare valido nelle tradizioni e nella pratica spirituale dell’altro. Io prego per quelle coppie che danno un valido contributo all’opera di riconciliazione. Prego anche per i pastori, le comunità e le associazioni che cercano di offrire la cura e il sostegno pastorali che essi hanno il diritto di esigere.
6. Nella vita di queste coppie - e anche in molte altre forme di stretto contatto ecumenico - l’incapacità di accostarsi insieme alla mensa del Signore è avvertita in modo particolarmente acuto. E ciò precisamente in ragione del fatto che noi tutti attribuiamo a questo sacramento del mistero pasquale cristiano un posto centrale, nella vita della Chiesa e del cristiano. In questo sacramento celebriamo il mistero di fede, poiché il Signore ci chiama a una sola fede (cf. Ef 4, 5), a “credere in colui che egli ha mandato” (Gv 6, 29). Il ben noto e amatissimo sesto capitolo del Vangelo di Giovanni ci esorta ad avere fede nelle parole di Gesù come pane di vita, affinché possiamo pervenire alla fede nel sacramento del suo corpo e del suo sangue. La Chiesa ha sempre considerato i sacramenti come sacramenti di fede; essi presuppongono, nutrono, irrobustiscono ed esprimono la fede (cf. Sacrosanctum Concilium, 59). Gesù nella sua preghiera sacerdotale pregò il Padre per coloro che avrebbero creduto in lui per mezzo della parola degli apostoli “perché tutti siano una sola cosa” (Gv 17, 20). È a questa unità nella fede e a questo culto sacramentale che il Signore invita i suoi discepoli. Scomparirebbero davvero le difficoltà se, malgrado le divisioni persistenti nella fede, cristiani di Chiese diverse fossero ammessi a una piena comunione nella celebrazione dell’Eucaristia o della Cena del Signore? È veramente a questo genere di unità che il Signore ci invita? Non è un fatto che - poiché la fede va affievolendosi - il mondo prenda meno seriamente le nostre differenze riguardanti la nostra natura sacramentale della Chiesa, il ministero e il sacramento dell’Eucaristia stessa? Se queste differenze, che costituiscono gli argomenti del dialogo tra le nostre Chiese, non fossero più prese seriamente, sarebbero per questo motivo superate? Non equivarrebbe, questo, ad attenuare la sofferenza, piuttosto che a rimediare al male di una divisione che esiste contrariamente alla volontà di Cristo?
Possa il dialogo che abbiamo incominciato, sostenuto dalla nostra comune preghiera, condurci a quella piena comunione di fede che troverà la sua espressione nella comunione sacramentale, quando adoreremo insieme in spirito e verità. A quella pienezza di comunione nella sua Chiesa il Signore ci invita e ci chiama e noi desideriamo veramente fare la sua volontà. Conosciamo e condividiamo con voi la pena della nostra divisione, specialmente nella celebrazione di questo sacramento. Ma dovremmo ringraziare Dio che ci ha fatto sentire rammarico per la nostra divisione e desiderio di unità (cf. Unitatis redintegratio, 1) e che ha consentito un solido progresso nel dialogo di fede. Questo dovrebbe riempirci di speranza, mentre con ansia aspettiamo il momento in cui sarà possibile una celebrazione comune.
7. La nostra speranza ha un fondamento sacramentale nell’unico Battesimo che noi tutti abbiamo ricevuto, attraverso il quale “non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3, 28), parole che avete citato parlando del ruolo delle donne nella Chiesa. Quasi in tutte le società il posto delle donne oggi si sta rivalutando, il loro ruolo si sta riesaminando. Questo fatto dovrebbe indurre noi cristiani a chiederci se abbiamo adempito correttamente la volontà del Signore. Sebbene l’atteggiamento della società ad un dato punto della storia non sia un criterio di verità, può costituire per noi un motivo per ricercare più diligentemente con i criteri della Chiesa la pienezza di quella verità che corrisponde alla rivelazione di Dio. La grazia, le doti e le caratteristiche femminili hanno tanto da offrire alla missione e all’opera della Chiesa. Non dovremmo mai dimenticare quanto di fatto è stato realizzato nella storia della Chiesa da innumerevoli sante donne, a cominciare da Maria, Madre del Signore. Ma molto resta ancora da fare per rendere le donne in grado di partecipare pienamente alle odierne circostanze, affinché esse possano adempiere ai loro legittimi compiti nella vita della Chiesa.
La Chiesa cattolica, come le Chiese ortodosse, è obbligata dalla sua fedeltà alla parola di Dio, come essa la intende dall’esempio del Signore, dalla testimonianza della Sacra Scrittura e da una tradizione di circa duemila anni, ad escludere l’ordinazione delle donne al ministero sacerdotale e questo potrebbe far pensare a persistenti differenze tra noi nella nostra comprensione dell’ordinazione stessa. Ma questa posizione non vuole escludere le donne dalla vita della Chiesa, e ancor meno ostacolare e impedire lo studio e lo svolgimento del loro proprio ruolo. Il ruolo delle donne è una questione importante che oggi riguarda ogni comunità cristiana. Molti aspetti di tale questione possiamo certamente esaminarli insieme, poiché sarebbe davvero spiacevole se il particolare problema dell’ordinazione dovesse renderci ciechi dinanzi a tutto ciò che vi è di positivo e di cui abbiamo veramente bisogno.
8. Ho ritenuto mio dovere soffermarmi sull’argomento in risposta al vostro riferimento ai problemi da affrontare. Ma spero che questa accentuazione non travisi il mio profondo apprezzamento per quanto abbiamo già fatto insieme. Ho parlato della comune testimonianza che siamo in grado di dare in tanti settori vitali in questi giorni inquieti e pericolosi, poiché l’unità dei cristiani deve sempre mirare alla presentazione al mondo del Vangelo della riconciliazione. Questo stesso è un segno del nostro impegno ecumenico come lo sono i dialoghi nazionali e locali di cui avete parlato e nei quali, sotto la guida dei vescovi e in conformità con le direttive del decreto del Concilio Vaticano II sull’ecumenismo, i cattolici hanno avuto la loro parte discutendo sul Battesimo, la Cena del Signore e il magistero nella Chiesa. È motivo di gioia ritrovarci più che mai vicini l’uno all’altro nella preghiera e nel dialogo. La Chiesa cattolica è irrevocabilmente impegnata nella vocazione ecumenica. Su questo non ci sono dubbi. Con tutta l’enfasi possibile, voglio assicurarvi - come ho fatto ripetutamente fin dal giorno della mia elezione a supremo Pastore della Chiesa cattolica - che l’ecumenismo è e rimane una priorità fondamentale nella vita della nostra Chiesa. Ed è con questa garanzia dell’impegno da parte della Chiesa cattolica alla fedeltà alla parola di Dio che vorrei chiedervi di spiegare ogni decisione individuale che può sembrare forse andare contro questo impegno. Dove c’è fiducia reciproca queste apparenti difficoltà non devono costituire un ostacolo ma possono diventare occasione per uno sviluppo nella comprensione reciproca.
9. Ci incontriamo in questa casa di papa Adriano VI che, quando fu eletto al papato, si trovò al centro dei gravi problemi e delle lotte del suo tempo, lotte in una società secolare, lotte nella vita della Chiesa al tempo della Riforma, caratterizzate da fazioni opposte di prìncipi e responsabili della Chiesa in uno spirito di ostilità piuttosto che di riconciliazione. L’iscrizione sulla tomba nella chiesa di Santa Maria dell’Anima a Roma offre un’eloquente testimonianza di questo: “Proh dolor, quantum refert in quae tempora optimi cuiusque virtus incidat”. Educato nello spirito dei grandi maestri spirituali dei Paesi Bassi, il mistico Jan van Ruysbroeck, il fondatore dei fratelli di vita comune Geert Grote e il grande scrittore spirituale Tommaso da Kempis, papa Adriano era ben preparato a capire le esigenze religiose del suo tempo, e a scrivere il famoso “Breve” e istruzione alla dieta di Norimberga (1522-23) che oggi potremmo definire un documento ecumenico. Qui, nella sua casa e nella sua città natia, ci siamo incontrati in uno spirito ecumenico, con la determinazione di adempiere insieme - con l’aiuto dello Spirito Santo - la volontà di Cristo. Per questo rendo grazie a Dio.
Mi ha profondamente commosso, alla conclusione del vostro discorso, la richiesta di ricordarmi - nelle mie preghiere per l’unità - delle vostre Chiese. Carissimi fratelli e sorelle: vi ricordo davvero nelle mie preghiere e continuerò a farlo. Sono convinto che, attraverso il trionfo della sua potenza, Dio porterà la sua opera a compimento in noi. Per usare le parole di San Paolo: “Non cesso di rendere grazie a voi, ricordandovi nelle mie preghiere, perché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui. Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere. qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti” (Ef 1, 16-19). Possa la sua volontà compiersi in noi per la gloria del suo nome e l’avvento del suo regno. Amen.
Preghiera ecumenica
Carissimi fratelli, e sorelle in Cristo.
Nel breve tempo disponibile ci siamo intrattenuti, abbiamo pregato insieme il Signore. Qual è il significato di quest’avvenimento? Abbiamo espresso gli uni agli altri la nostra preoccupazione per questioni di grande rilevanza ecumenica e pastorale, questioni che abbiamo posto in quanto fratelli e sorelle che vogliono ristabilire insieme l’unità, per la quale il Signore ha pregato. Il significato di ciò che si fa non viene determinato dal tempo più o meno lungo, ma dallo Spirito.
Abbiamo appena terminato la nostra preghiera col Padre nostro. Questa preghiera è scelta come tema per la visita pastorale alla Chiesa nei Paesi Bassi. È stata scelta volutamente. Non la recitano forse tutti i discepoli del Signore ogni giorno? Anche questa preghiera è breve, il Signore non aveva bisogno di molte parole. Tutta la tradizione della preghiera, poggiante sull’alleanza che Dio ha stretto dapprima col popolo d’Israele e che ha poi portato a compimento nella nuova alleanza in Gesù il Cristo, vive in questa preghiera.
Noi diciamo: “Sia fatta la tua volontà”. In questa parola è riassunta tutta la vita di Gesù. Entrando nel mondo egli dice: “Ecco, io vengo per compiere, o Dio, la tua volontà” (Eb 10, 7). Egli accetta la morte con le parole: “Non la mia, ma la tua volontà sia fatta” (Lc 22, 42). Tutto questo è fatto per noi. Ci ha fatto egli conoscere anche la sua volontà su di noi, ci ha lasciato la sua volontà? Nella preghiera sacerdotale ha pregato per noi, per tutti quanti credono in lui sulla parola degli apostoli: “Che siano una sola cosa”. Un Signore, una fede, un battesimo. “Che siano perfettamente una sola cosa e il mondo crederà che tu mi hai mandato”.
Possa d’ora in poi, ogni volta che diciamo: “Sia fatta la tua volontà” essere compresa in questa preghiera la nostra preoccupazione, il nostro desiderio che l’unità venga ristabilita.
Copyright © Libreria Editrice Vaticana
Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana