PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO IN FRANCIA
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AL CORPO ACCADEMICO DELL'UNIVERSITÀ CATTOLICA
Lione (Francia), 7 ottobre 1986
Signor cardinale cancelliere, signor rettore, signore, signori, cari amici.
1. Vi ringrazio di queste parole di benvenuto, che mi fanno già intuire ciò che questa Università cattolica rappresenta a Lione e in tutta la regione, e il lavoro che essa persegue in tanti campi del pensiero, delle scienze, della tecnica. Questa nuova sala mostra che il cantiere non è chiuso. Sono sempre felice di ritrovarmi per alcuni istanti in un ambiente universitario, che mi è stato familiare a più riprese nella mia vita. Porgo il mio saluto a tutto il corpo accademico delle facoltà e delle scuole collegate all’Università, ai membri del personale e alla delegazione degli studenti. Saluto non meno i rettori che rappresentano le altre università o facoltà cattoliche francesi. Sono tutte possibilità di prim’ordine offerte ai vostri compatrioti per progredire in una cultura ispirata ai valori cristiani. È un’eredità che va mantenuta con tenacia adattandola ai bisogni nuovi.
2. Non potrei lasciare questa città senza rendere un omaggio particolare alla grande figura di sant’Ireneo, vescovo e teologo, al quale la fede di tutta la Chiesa è tanto debitrice. E ho ritenuto che questo centro di cultura cristiana fosse il luogo più indicato, poiché questo Padre della Chiesa, si può dire questo genio teologico e pastorale, può ispirare non solo il lavoro dei teologi qui presenti, ma la testimonianza di tutti gli insegnanti, studiosi ed educatori che vogliono adempiere qui al loro servizio di Chiesa con le convinzioni di una fede attinta alle sorgenti e rafforzata da una matura riflessione, in consonanza con le istanze moderne del pensiero. Si parla volentieri dell’attualità dei Padri della Chiesa l’espressione vale in modo tutto particolare per Ireneo di Lione. La sua grande voce si è fatta sentire in modo nuovo nel nostro secolo. L’interesse da lui suscitato è al centro del rinnovamento patristico contemporaneo, nel quale la città di Lione occupa il posto che giustamente le spetta, in particolare con l’“Institut des Sources Chrétiennes”.
Alla autorità di Ireneo, il Concilio Vaticano II ha fatto più volte appello, specialmente per quel che riguarda la dottrina della trasmissione della divina rivelazione. Nella sua opera, la giovinezza di una fede sempre viva si esprime in formule scintillanti, che suscitano la nostra ammirazione e insieme la nostra adesione. Anche il teologo moderno può attingere dal suo sforzo esemplare un’ispirazione per le esigenze del nostro tempo. Ireneo, infatti, ha saputo associare la fedeltà alla tradizione a una inventività creatrice; egli è stato al tempo stesso il teologo di Dio e dell’uomo, di un Dio che mette la sua gloria nell’uomo vivente, di un uomo la cui vita consiste nella visione di Dio (cf. Adversus haereses [AH], IV, 20, 7).
3. Tutta l’opera di Ireneo si fonda su “l’ordine della tradizione degli apostoli”, trasmesso nelle Chiese presiedute dai vescovi. Al centro di questa tradizione c’è la confessione della fede trinitaria e cristologica. Solidamente ancorato nella tradizione apostolica, di cui è stato uno dei primi a cogliere la dottrina, il vescovo di Lione, sull’esempio degli antichi presbiteri, legge e interpreta le Scritture con le quali gli apostoli hanno trasmesso il Vangelo. Ireneo stesso è il testimone della tradizione giovannea che ha conosciuto in Asia Minore e della tradizione paolina che più caratterizza le Chiese d’Occidente. Egli mette la sua penna e la sua parola al servizio della predicazione e della fede della Chiesa che, “sebbene dispersa nel mondo intero, le custodisce con cura, come se dimorasse in una sola casa, crede ad esse in una maniera identica come se avesse una sola anima e un solo cuore, e le predica, le insegna e le trasmette con una voce unanime come se avesse una sola bocca. Perché se le lingue differiscono attraverso il mondo, il contenuto della tradizione rimane uno e identico” (AH, I, 10, 2), per le Chiese di Germania come per quelle degli Iberi o dei Celti - dei quali è egli stesso il vescovo - o ancora quelle dell’Oriente o dell’Egitto.
È in queste Chiese, che portano il segno pubblico della successione dei vescovi e che sono in accordo con “la Chiesa somma, antichissima, da tutti conosciuta e che i due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo fondarono e stabilirono a Roma”, che si può trovare, “a motivo della sua origine più eccellente”, la verità del Vangelo. “Perché dove è la Chiesa, là è anche lo Spirito di Dio; e dove è lo Spirito di Dio là è la Chiesa e ogni grazia. E lo Spirito è verità” (AH, III, 24, 2). Questo senso dell’unità della fede e delle Chiese non impedisce d’altronde a Ireneo di fare la distinzione tra ciò che dev’essere unanime, legato all’identità della fede apostolica, e ciò che appartiene a una diversità legittima in ragione delle usanze, delle culture, delle sensibilità. In uno spirito di pace e di riconciliazione, colui “a cui ben si confaceva il suo nome” sottolinea che, da un luogo all’altro, “la differenza del digiuno conferma l’accordo della fede” (Eusebio di Cesarea, Hier. Eccl., V, 24, 18 e 13). Egli aiutò i papi Eleuterio e Vittore a conservare l’unità della Chiesa, nonostante le pratiche divergenti di un montanismo moderato e le date differenti della celebrazione di Pasqua in Oriente e in Occidente. Ireneo rimane oggi una guida per il superamento delle questioni secondarie in vista della piena comunione delle Chiese.
4. Ma l’atto di trasmettere non può mai ridursi a quello di ripetere. Uomo della tradizione, Ireneo, e anche uomo del suo tempo; la sua teologia sarà inventiva. Perché egli sa che la “fede, che abbiamo ricevuto dalla Chiesa . . . incessantemente sotto l’azione dello Spirito di Dio, come un deposito di gran prezzo racchiuso in un vaso eccellente, ringiovanisce e fa ringiovanire il vaso stesso che lo contiene” (AH, III, 24, 1). Ora, la Gnosi, una delle prime contestazioni del cristianesimo, minaccia le comunità cristiane. Il vescovo di Lione prende dunque posizione nei confronti di essa. A causa della sua responsabilità pastorale, per necessità, si fa polemista, denunciando e confutando; ma egli soprattutto espone, da teologo, il carattere positivo della vera dottrina. Con una mentalità straordinariamente moderna, egli si rende conto del fatto che non si può rispondere a questa ideologia religiosa, se non la si conosce bene. Perciò, prima di confutare, egli si informa ed espone. “Chiunque voglia convertire gli gnostici - egli scrive - deve conoscere esattamente i loro sistemi: impossibile guarire dei malati se si ignora il male di cui soffrono . . . Questo sistema te lo abbiamo fatto conoscere con tutta l’esattezza possibile” (AH, IV, Pref. 2). Solo dopo Ireneo risponderà, con le risorse della ragione e a partire dal fondamento delle Scritture. Tutto il suo sforzo teologico è così comandato dall’urgenza di far fronte al grande problema del suo tempo. Egli rende il discorso della fede pertinente rispetto alle istanze nuove della cultura.
Questo modo di procedere di Ireneo, fedele e inventivo al tempo stesso, traccia un comportamento teologico che, per il suo felice equilibrio, è un esempio per il teologo d’oggi. Questi, per compiere un lavoro che sia fecondo, ha bisogno di essere pervaso da un senso profondo, esigente e delicato della tradizione viva della fede. Ma egli nemmeno può dimenticare il mondo nel quale viviamo, le sue istanze legittime, le correnti di pensiero che lo attraversano, sovente apportatrici di verità da riconoscere, ma anche le tentazioni intellettuali, o le vertigini che lo assalgono, gli ostacoli o le condizioni che talune ideologie mettono davanti all’atto del credere. Per questo il teologo deve fare lo sforzo, lungamente sostenuto, di leggere gli autori che fanno da guide intellettuali del nostro tempo, di studiarli ed eventualmente dialogare con loro, in breve di “penetrare a fondo la loro dottrina” come Ireneo dice di aver fatto egli stesso. Con tutte le necessarie trasposizioni, il teologo ha il dovere di tener conto dei differenti aspetti della “modernità” nella sua riflessione sulla fede. Così pure, se i metodi esegetici di Ireneo non possono più essere esattamente i nostri, l’esegeta e il teologo devono mettere in atto il rapporto articolato che va dall’Antico al Nuovo Testamento, rapporto che costituisce un banco di prova fondamentale della fede cristiana. Va del resto sottolineato come questo tema sia attualmente l’oggetto di una rinnovata presa di coscienza. Oggi come ieri, l’esegesi deve condurre alla teologia e la teologia deve costruirsi a partire da una lettura sempre ripresa e attualizzata delle Scritture, lette nella Chiesa.
5. La Gnosi che Ireneo ebbe a combattere ci appare oggi come una serie di elucubrazioni del tutto superate. Essa rispondeva senza dubbio a un desiderio profondo di conoscere il senso delle cose nascoste. Ma era dominata dalla tentazione di giungervi da sola, mediante la ragione e il potere dell’immaginario, e di limitare questa conoscenza esoterica a una cerchia di iniziati. Era caratterizzata dalle concezioni dualiste - corpo, spirito - di certe filosofie, forse anche da un antigiudaismo. Essa utilizzava la rivelazione interpretata in modo parziale e le formule familiari del Credo cristiano, per giustificare una dottrina contraria alla fede. Si trattava di un paracristianesimo, di cui Ireneo vedeva bene il pericolo.
Sotto altre forme, chi oserebbe dire che la tentazione gnostica non è più un ostacolo per la Chiesa? Il tentativo d’interpretazione del cristianesimo da parte di filosofi come Hegel era proprio un modo di svuotare la fede cristiana della sua sostanza, interpretando lo spogliamento del Figlio di Dio come la perdita d’identità di Dio, e l’annullamento dell’abisso tra Dio e la sua creatura.
Anche oggi esiste in maniera diffusa, in taluni cristiani, la tentazione di interpretare la rivelazione e le formule del Credo cristiano in modo molto parziale, permettendosi di fare una lettura della Bibbia che obbedisce a presupposti estranei alla fede, di piegare la fede a un sistema costruito al di fuori di essa, conservando le formule familiari della Bibbia o della dottrina cristiana a sostegno di queste correnti di idee eterogenee. Il dovere del teologo è di evitare questo genere di sostituzione devastante, di vigilare sull’autenticità, come fece Ireneo.
Ireneo non aveva la pretesa propria della Gnosi di rispondere al come delle operazioni divine: come il Padre genera il Figlio, come egli crea le cose dal nulla, come il Verbo si fa uomo senza cessare di essere Dio, come l’Infinito si dona alla creatura finita quali noi siamo e introduce i nostri corpi nell’eterna vita dello Spirito.
Domande di questa natura, come quelle che pone lo spirito razionalista dei nostri giorni, appartengono al mistero insondabile di Dio. Lo spirito umano deve arrestarsi alla soglia della trascendenza. Ireneo, da parte sua, cerca invece di rispondere ai perché della creazione, del peccato, dell’incarnazione, della divinizzazione, del lento cammino dell’umanità. Lo fa in un discorso teologico nuovo, attingendo in ciò che si trovava in germe, e talvolta diffuso, nelle Scritture, nell’Antico e nel Nuovo Testamento; egli è d’altronde il primo Padre della Chiesa a citare così abbondantemente - molto più di san Giustino - l’insieme degli scritti del Nuovo Testamento, il cui canone è ormai fissato. Profondamente convinto della corrispondenza tra i due Testamenti e della continuità del disegno divino dell’alleanza, egli raduna questi dati sparsi in una sintesi nuova e solida che porta a sottolineare la libertà di Dio, la libertà del suo sovrabbondante amore. Si può veramente parlare a suo riguardo della intelligenza della fede, che parte dalla fede e va alla fede, integrando in sé le legittime questioni avanzate dai contemporanei, e con un senso molto sicuro della tradizione omogenea della Chiesa. Egli dispiega così, dalla serie delle “economie” realizzate da Dio, una visione grandiosa di tutta la storia della salvezza, tutta centrata sul Cristo, tesoro nascosto nel campo delle Scritture, ora svelato sulla croce, “che ha portato ogni novità portandoci la propria persona” (AH, IV, 26, 1 e 34, 1).
6. Mettendo in luce questo splendore della salvezza, Ireneo è stato al tempo stesso il teologo di Dio e dell’uomo. “Un solo Dio, un solo Cristo”, questo è il ritornello di tutta la sua esposizione. Il Dio di Ireneo è il Dio unico rivelato nell’Antico Testamento e manifestato nel Nuovo come il Padre del nostro Signore Gesù Cristo. È un Dio che ama l’uomo, al punto di modellarlo con le sue due mani che sono il suo Verbo e il suo Spirito, non perché egli avesse bisogno dell’uomo, ma “per avere qualcuno in cui deporre i suoi benefici” (AH, IV, 14, 1). È colui che ha inviato il suo Verbo “a farsi quello stesso che noi siamo per fare di noi quello stesso che Egli è” (AH, V, Pref). E il Verbo ha amato l’uomo fino ad unirsi a lui nella fragilità della sua carne. Questa incarnazione, scandalosa per gli gnostici, ma centrale nel mistero della fede, è sottolineata da Ireneo secondo tutto il suo realismo. Poiché, se la carne dell’uomo non fosse stata capace di salvezza, mai il Verbo di Dio si sarebbe fatto carne. E se il Cristo si fosse mostrato solo in apparenza, “se egli non si fosse fatto quello stesso che noi eravamo, poco importava ch’egli faticasse e ch’egli soffrisse” (AH, III, 22, 1).
Il cristocentrismo del vescovo di Lione lo spinge a sviluppare una teologia della “ricapitolazione” di tutte le cose nel Cristo. La ricapitolazione è l’atto per il quale Cristo assume in se stesso una solidarietà concreta con il mondo dell’uomo, al fine di manifestare visibilmente il primato che egli ha su tutte le cose, poiché il Verbo si “trovava impresso in forma di croce nella creazione tutta intera” (A, V, 18, 3). È anche l’atto con il quale egli concentra e “riassume” in sé tutta la storia della salvezza, passato e avvenire. Da una parte, il suo concepimento verginale rinnova la creazione originale dell’uomo, modellato a partire dalla terra nuova, e la sua obbedienza riscatta la disobbedienza del primo Adamo. Ireneo considera anche il ruolo unico di Maria ordinata al mistero del Cristo: paragonata a Eva disobbediente, di cui ella è l’avvocata, “Maria, obbedendo, divenne causa di salvezza per se medesima e per tutto il genere umano” (AH, III, 22, 4). D’altra parte, la morte e la risurrezione del Cristo compiono per anticipazione la fine dei tempi. Questa ricapitolazione è redentrice, perché essa ricrea, rinnovella e libera l’uomo modellato da Dio all’origine, facendogli recuperare ciò che aveva perduto in Adamo, “cioè di essere a immagine e somiglianza di Dio” (AH, III, 18,1). Questa ricapitolazione è divinizzatrice, perché essa dà all’uomo la comunione con Dio, scopo della vita dell’uomo, essa porta a compimento e alla sua piena realizzazione tutto l’universo in Dio. Questo Dio unico ci comunica infine il suo Spirito che è “la comunione con il Cristo . . . pegno della incorruttibilità, confermazione della nostra fede e scala della nostra ascensione verso Dio” (AH, III 24, 2). Ireneo insiste sempre sull’unità dell’uomo, corpo e anima, aperti sullo Spirito.
Egli si dedica anche a mostrare che la salvezza si opera nella durata; secondo la crescita e la maturazione proprie nell’uomo; il Cristo stesso è passato per tutte le età della vita. Ed è in questo che Dio dispiega la sua pazienza e la sua pedagogia, come se si mettesse al ritmo dell’uomo per lasciargli il tempo di imparare per via di esperienza e di stringere amicizia liberamente. “II Verbo si è fatto Figlio dell’uomo per abituare l’uomo a capire Dio”, per prepararlo a vedere Dio.
L’Eucaristia è quaggiù il luogo della comunione tra l’incorruttibilità e il corruttibile: i nostri corpi corruttibili sono nutriti dal corpo incorruttibile nel Verbo, un po’ come il pane ricavato dalla terra diviene eucaristia; essi non divengono immediatamente incorruttibili, perché è nella fragilità e debolezza della carne umana deposta nella terra che si manifesterà la forza di Dio (cf. AH, V, 2, 3), come nella passione e risurrezione del Cristo. La Chiesa getta in terra, come una semente, il corpo dell’uomo eucaristiato, nell’attesa della “seconda modellatura”, quella che si fa a partire dalla morte (AH, V, 23, 2). In questa rimodellatura, che porta alla mescolanza o unione, mai Ireneo lascia supporre una confusione tra l’assoluto di Dio e la creatura umana.
Ireneo mette ancora in valore la libertà dell’uomo e la sua vocazione alla libertà. Egli non esita a dire che senza la libertà, senza la capacità dell’uomo a conoscere il bene e il male, si “sopprime senza saperlo l’uomo stesso quale noi siamo” (AH, IV, 39, 1). Senza libertà, in effetti, non può esservi amore e l’uomo non potrebbe rispondere all’appello della libertà divina.
7. Così la teologia trinitaria e cristocentrica di Ireneo dà all’uomo uno spazio grandioso. Ireneo è un maestro in antropologia cristiana. In lui, l’uomo non è mai il rivale di Dio, ma sempre il suo compagno amato. La grandezza dell’uomo va alla grandezza di Dio e la grandezza di Dio diviene il bene supremo dell’uomo. Oggi che si oppone talvolta Dio all’uomo, l’insegnamento del vescovo di Lione ci mostra che la divinizzazione dell’uomo nel Cristo non è una perdita della sua umanità, ma il compimento pieno, e il solo possibile, della sua umanizzazione.
Meditando le opere di Ireneo, veniamo messi in comunione con una prospettiva di fede estremamente positiva. Il peccato e il male non vengono ignorati, ma la salvezza non si riduce al salvataggio dal peccato. Ireneo si applica a parlare del dono inaudito e gratuito della vita di Dio, mediante l’incarnazione e la redenzione, e tutto il suo ragionamento teologico è solidamente radicato nella rivelazione. Egli conduce il credente a un atteggiamento di azione di grazia e di adorazione, di gioia e di speranza. Abbiamo individuato ad ogni passo la consonanza dei suoi temi con quelli che sono cari ai nostri contemporanei: la vita, il senso del tempo, l’unità del corpo e dello spirito, la libertà, la dimensione cosmica. La fedeltà, a Dio e all’uomo insieme, è un motivo che torna di continuo nel Concilio Vaticano II (cf. Gaudium et Spes, 21). Non c’è qui tutto un programma per la teologia odierna?
Ireneo è anche un Padre per i vescovi d’oggi, e in particolare per il successore di Pietro, incaricato di confermare i suoi fratelli, vigilando con cura gelosa sul tesoro della fede apostolica, per conservarlo e far scaturire da questa sorgente quello che occorre per nutrire la fede dei suoi contemporanei.
8. In questa Università cattolica, voglio non solo incoraggiare i teologi, ma tutti gli studenti in teologia, e a un titolo speciale i seminaristi, poiché il Seminario universitario prenderà un nuovo avvio che mi rallegra grandemente.
Adesso, nella luce del messaggio di sant’Ireneo, mi rivolgo più direttamente a tutti gli altri insegnanti e studenti che formano la maggioranza di questa assemblea. Non oso dire, cari amici, che voi avete un settore profano, perché niente è totalmente profano per un cristiano. Il campo specializzato che è il vostro richiede anzitutto una grande competenza scientifica e pedagogica, e io non dubito che questa sia la vostra prima preoccupazione: questo dovere professionale è comune a tutti coloro che hanno scelto questo compito esigente. Ma accettando di insegnare in una Università cattolica - che non è solamente una Università privata -, voi vi siete assunti un impegno anche maggiore. La vostra identità cristiana, ecclesiale, riveste qui una grande importanza. Voi avete in qualche modo una missione nei riguardi della società francese, e nei riguardi della Chiesa, per preparare uomini e donne competenti, generosi, convinti, dei quali la società e la Chiesa hanno bisogno, ora che molti dei valori umani e cristiani subiscono un certo affievolimento. Nella maggior parte dei campi nei quali voi lavorate, le convinzioni etiche cristiane proiettano una nuova luce o una nuova esigenza sull’oggetto del vostro insegnamento, senza alterare le condizioni del sapere scientifico e tecnico, poiché la verità è una.
Si potrebbero qui elencare l’approccio del filosofo nella sua ricerca della verità ultima, metafisica; l’arte della pedagogia orientata verso lo sviluppo della personalità in tutte le sue dimensioni; il campo della bioetica, con i problemi delicati in merito all’integrità del corpo umano e agli embrioni umani; i settori della comunicazione e dell’informatica, con l’esigenza del rispetto delle persone; tutto ciò che può promuovere i valori familiari; tutto ciò che ha attinenza all’azione sociale, allo sviluppo dei popoli, alla disparità Nord-Sud, al rispetto dei diritti dell’uomo, della vita umana . . . Come dimenticare che Lione è stata, con Marius Gonin e con Joseph Folliet, la culla del cattolicesimo sociale, con le Semaines sociales e “La chronique sociale”? Oggi è altrettanto urgente approfondire la dottrina sociale della Chiesa e ad essa ispirarsi per le iniziative sociali ed economiche al servizio dell’uomo.
Mi sono limitato ad evocare alcune delle poste in gioco decisive per l’avvenire umano e cristiano della società, in Francia e negli altri Paesi, e l’ho fatto con voi che da novant’anni contribuite a formare dei responsabili tra il laicato. Sono sicuro che da parte vostra vi sta a cuore di approfondire la vostra visione cristiana su tutti questi punti. E di darne con chiarezza una testimonianza, nel rispetto delle coscienze dei vostri studenti: essi devono iniziarsi liberamente alla Verità, secondo un procedimento rigoroso dello spirito, senza trascurare il ricorso ai valore della fede. “Non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa” (Mt 5, 15). La vostra missione è di essere questa luce, sulla scia delle forti personalità che hanno lasciato la loro impronta in questa Università cattolica di Lione. Oggi questa missione non è meno urgente, davanti alle sfide di un mondo secolarizzato e spesso angosciato del suo avvenire. Il messaggio luminoso del maestro Ireneo faccia di voi dei seminatori di speranza!
Invoco su voi tutti i lumi e la forza dello Spirito Santo, l’intercessione di Maria, sede della Sapienza. E, invitandovi a vivere, come Ireneo, in comunione con la Chiesa universale, vi impartisco di tutto cuore la mia benedizione apostolica.
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