VISITA PASTORALE IN EMILIA
INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON GLI UNIVERSITARI NELLA PIAZZA DI SAN PETRONIO
Bologna - Martedì, 7 giugno 1988
1. Sono grato al Signore e a tutti voi per l’opportunità che mi è concessa di incontrarmi nuovamente con la carissima Bologna, dopo essermi soffermato nella sua antica università, che quest’anno celebra i novecento anni della sua vita.
Porto impresso nel cuore il lieto ricordo della mia precedente venuta in questa città e in particolare rivivo l’immagine splendida e l’ora commossa del grande incontro in questa antica piazza. Era allora con noi il vostro compianto Arcivescovo, Cardinale Antonio Poma, che ricordo con affetto e gratitudine.
Ora la bontà di Dio ci fa incontrare nuovamente, per singolare privilegio, dopo alcuni anni così ricchi di avvenimenti di grande portata storica. Saluto oggi con affetto il vostro Arcivescovo e mio amato fratello, Cardinale Giacomo Biffi, che vi guida e vi incoraggia sulla via della fede e della testimonianza a Cristo risorto, presente in mezzo alla storia degli uomini.
Saluto in particolare voi, carissimi giovani della comunità universitaria. Dopo l’incontro con le autorità accademiche e i vostri professori nella bella aula magna della vostra università, eccomi ora a voi in questa straordinaria “aula magna”, questa antica e meravigliosa piazza di san Petronio, cuore della città, circondata dagli insigni monumenti che testimoniano la fede, la cultura, la laboriosità, l’arte e la convivenza civile dei vostri padri.
In questa stupenda cornice architettonica sono lieto di cogliere il segno e la speranza di un rapporto rinnovato e fecondo tra l’antico ateneo che promuove e sviluppa i vari drammi e le loro speranze; voglio augurarmi che università e città possano, come in antico, ispirarsi ed integrarsi a vicenda per il bene dell’uomo e per la crescita culturale, morale, spirituale e civile.
2. La mia parola si volge specialmente a voi giovani, che con la vostra presenza ricca di impegno cristiano vi studiate di testimoniare i valori evangelici nell’ambiente universitario. Nell’incoraggiarvi in tale proposito, desidero richiamare la vostra attenzione su alcuni doni di Dio che in modo speciale segnano la vostra vita e che, se riconosciuti, costituiscono il segreto della gioia, della fiducia nell’avvenire, della giusta volontà di realizzarsi.
Innanzitutto il dono semplice e grande della giovinezza: è un dono che anagraficamente passa, ma che può diventare spiritualmente perenne.
Giovinezza vuol dire libertà da preconcetti e sclerotizzazioni ideologiche, che impediscono di aprirsi alla verità nella sua interezza.
Giovinezza vuol dire capacità di speranza e di tensione verso traguardi non puramente utilitaristici; vuol dire disponibilità a pensare e a operare “in grande” senza lasciarsi intimidire dalle presunte esigenze di leggi e meccanismi inadeguati alla dignità della persona; vuol dire saper cogliere in ogni situazione e avvenimento la possibilità di procedere oltre, di cercare ancora, e di operare più profondamente per consentire all’uomo di non chiudersi in prigioni da lui stesso edificate.
Giovinezza è infine propensione alla solidarietà e al desiderio di comunione che sono insiti nell’animo umano, non ancora soffocato dalla ricerca smodata dell’interesse individuale.
Dobbiamo veramente ringraziare Dio per la generosità con cui molti giovani si riuniscono intorno a progetti utili e buoni, e soprattutto intorno a proposte di riscoperta e di sviluppo dei valori cristiani dell’esistenza. Queste forti esperienze comunitarie portano i cuori a guardare con attenzione solidale alle condizioni più gravi e più ingiuste di emarginazione e di abbandono, e a farsene carico. È infatti impossibile che chi ha conosciuto e vive un’esperienza comunitaria autenticamente cristiana, possa accettare di chiudersi in forme egoistiche e sterili di autocompiacimento, senza guardare con affettuosa partecipazione e con impegno intelligente a chi amaramente affronta da solo il dramma della vita.
3. Come vedete, parlo della giovinezza non solo e non tanto come di un’età, ma come di una qualità dell’esistenza stessa. La giovinezza esige, allora, di essere difesa da tutte quelle forze negative che, purtroppo, molto spesso riducono la condizione giovanile ad una vicenda umiliata e cinica, ad una specie di anticipata decrepitezza dello spirito. Il vostro stesso impegno culturale deve costituire una valida difesa contro tutte le seduzioni che la potenza occulta e suasiva del mercato e della pubblicità esercita sulle parti più vulnerabili del tessuto sociale. L’esaltazione del piacere ricercato per se stesso affascina le personalità più fragili e le porta ad evadere dall’intima verità del proprio essere verso forme di pericolosa superficialità, di acritica adesione all’ultima moda e, nei casi più gravi, di resa rassegnata al dramma della droga e dell’alcolismo.
Una vita senza ideali, non permettendo alla persona di esprimere positivamente le sue molteplici potenzialità, può facilmente trasformare queste energie in tensioni negative di aggressività e di violenza, sia individuale che collettiva.
Il rifiuto aprioristico della ricerca della verità o la sua insufficiente fondazione teoretica possono portare al rapido declino di progetti vaghi e illusori, sospingendo gli animi verso posizioni di scetticismo e disimpegno. A ciò s’aggiunge la possibile influenza negativa del mondo degli adulti, nel quale talvolta prevalgono sentimenti di chiusura egoistica sullo sfondo di una società che spesso non ha saputo sviluppare valori duraturi e fecondi.
Contro tali rischi, cari giovani, è necessario vigilare e, quando è il caso, reagire con semplice e umile coraggio; ma è soprattutto necessario avanzare proposte sapienti, che possano costruire un’ipotesi nuova e stimolante per ogni cuore che cerchi onestamente la verità.
4. L’altro dono, che desidero segnalare alla vostra attenzione, è quello della possibilità di accedere alle fonti del sapere. Nella vostra esperienza umana e cristiana questi anni di apprendimento, di studio e di ricerca costituiscono un vero privilegio. Troppo facilmente si considera questo periodo una semplice fase di passaggio verso l’età della professione e del mestiere o, ancor peggio, un itinerario più stancante che utile attraverso nozioni lontane dai propri interessi immediati. È una visione errata. Gli studi universitari sono una grande ricchezza. Molte nazioni e Paesi in via di sviluppo stentano a decollare dalle loro condizioni di povertà e di emarginazione proprio a motivo della impossibilità per quasi tutte le forze giovanili di accedere ad una cultura superiore.
A questo proposito, con particolare affetto e viva speranza rilevo la presenza tra voi di molti giovani provenienti da Paesi lontani, segnati spesso da povertà e da grande desiderio di riscatto e di crescita. Il cuore del Papa si sente vicino a voi, studenti stranieri a Bologna: sono consapevole del grande sacrificio che vi impongono la lontananza dagli affetti e dalle consuetudini dei vostri Paesi e la necessità di affrontare ambienti, linguaggi e abitudini tanto diversi da quelli propri dell’orizzonte storico e culturale nel quale siete nati e cresciuti. Conosco anche i gravi sacrifici che vi sono imposti dalle ristrettezze economiche nelle quali dovete vivere: il problema di avere un’abitazione, l’esclusione forzata da tante forme di comodità, talora addirittura la difficoltà per assicurarsi il cibo di ogni giorno.
Mi rivolgo a tutti i vostri compagni di studi per esortarli ad essere il primo segno di quell’affetto familiare che avete dovuto lasciare, per crescere, oggi, nel sapere, e per servire, domani, i vostri Paesi. La solidarietà universitaria deve far sì che nessuno sia costretto ad arrendersi e ad abbandonare lo studio intrapreso, a motivo di queste difficoltà. La mia esortazione a questo proposito s’allarga all’intera popolazione di Bologna: cari fratelli e sorelle, confermate e rinnovate le vostre antiche tradizioni di carità e di solidale, accogliente cordialità. Questi giovani, presenti tra voi negli anni del loro studio accademico, sono una ricchezza; essi porteranno in tutto il mondo la memoria, la stima e la riconoscenza per questa antica città e per la sua scuola. Nessuno abusi di tale preziosa ricchezza per uno sfruttamento meschino di condizioni deboli e fragili.
Voi studenti, però, qualunque sia la vostra provenienza e il vostro livello, dovete assumere con grande serietà il vostro impegno di apprendimento e di ricerca. Se è vero che questa fase della vostra vita deve essere ricca di interessi molteplici, non v’è dubbio che tale apertura è legittimata principalmente dalla fedeltà allo studio che avete intrapreso. Senza una dedizione generosa a questo dovere primario, ogni altra attività o interesse perderebbe credibilità ed efficacia. Ne sarebbe compromesso il vostro futuro.
5. Cari giovani, sul vostro cammino di studenti non mancano rischi: quello innanzitutto di uno studio così specialistico da non riuscire ad inserirsi in quel contesto globale di significati e di valori che caratterizza la scuola come “università”, cioè come sintesi e armonia universale dei diversi ambiti del sapere.
E ancora: l’itinerario accademico può essere concepito esclusivamente come progetto di acquisizione di capacità e conoscenze in vista della propria affermazione sociale e del proprio tornaconto: ma questo umilierebbe in modo drammatico il senso dello studio e della ricerca, certamente orientati anche a dare a ciascuno una possibilità di lavoro, ma primariamente finalizzati all’avanzamento nella conoscenza e alla promozione di capacità e competenze da porre al servizio dell’intera comunità umana, a partire dalle sue membra più deboli.
Evitate questi pericoli, cari giovani, tenendovi aperti con passione al desiderio e alla ricerca della verità. Sarà proprio questa “passione di verità” a rinnovare le vostre forze intellettuali e spirituali e a consentirvi di superare le difficoltà che possono venirvi anche dalle deficienze del sistema e dalla inadeguatezza delle strutture.
La stessa “passione per la verità” vi persuaderà che gli studi superiori non possono risolversi in un cumulo di informazioni e che non ci si può rassegnare a quella frammentazione del sapere, che è il rischio conseguente alla specializzazione propria delle scienze moderne. L’esigenza di verità unitaria e totale è profondamente radicata nel cuore dell’uomo, e trova la sua piena risposta in Gesù Cristo, Verbo eterno di Dio che si è manifestato nella storia.
6. Giungo così a mettere davanti alla vostra attenzione il terzo, ma non ultimo dono: il dono della fede. Esso non è estraneo né ostile al privilegio del sapere.
La fiducia nella razionalità e l’utilizzazione dei metodi scientifici non solo non rappresentano un ostacolo alla fede, ma ne fanno sentire più acuta l’esigenza, perché proprio la fede può darvi la prospettiva nuova, originale e vera sull’intera realtà. Essa è il grande dono che Dio stesso ci ha fatto in Cristo perché tutto l’essere, tutta la creazione e quindi tutto il sapere siano riscattati dalla disperata e confusa dispersione in cui ogni cosa è precipitata quando la disobbedienza del peccato ha separato l’uomo dal suo Creatore.
Tale dono della fede, se da un lato vi fa diversi, incompresi e quasi stranieri nel mondo dominato dall’incredulità, dall’altro lato vi deve rendere sempre più capaci di comprensione verso tutti, sempre più perspicaci nel cogliere in ogni uomo la scintilla della presenza di Dio e in ogni elaborazione umana qualche luce della divina verità.
Mi auguro che possiate incontrare dei veri maestri, fratelli a voi nella fede, desiderosi di camminare con voi sulla via della sapienza cristiana: insieme potrete attendere al grande compito di fare della fede il principio di ogni valutazione sulla natura, sulla storia, sui comportamenti. Insieme potrete realizzare un’autentica comunione scientifica e didattica, in cui la preparazione alla professione futura sarà arricchita da un’esperienza comune di ricerca della verità e del vero bene dell’uomo.
7. Vorrei infine ricordarvi che la presenza cristiana nell’ambiente universitario si esprime e passa attraverso un serio impegno culturale, ispirato alla visione evangelica.
La fede deve generare la cultura; deve cioè portare ad affrontare i problemi e a vivere le situazioni in modo coerente alla propria convinzione cristiana. Nello stesso tempo la fede dovrà manifestarsi in una testimonianza di servizio, in relazione ai molti bisogni che affiorano nell’ambiente: dall’accoglienza alle matricole e ai fuori sede, alle varie forme di amicizia e di aiuto, specialmente verso i giovani che vengono da regioni e da nazioni lontane.
Il mio auspicio è che questa presenza cristiana nell’università, in forma singola o associata, sia sostenuta dall’impegno dell’intera comunità ecclesiale. Come ricordai sei anni fa nell’incontro coi vostri docenti nell’ateneo, “la comunità ecclesiale nel suo insieme si sente corresponsabile della promozione dei valori umani ed evangelici nella vita della vostra università”.
Cari giovani e voi tutti che mi ascoltate, “il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori” e siate sempre “radicati e fondati nella carità” (cf. Ef 3, 17). Fate che la vostra fede, restando limpida, integra e sempre identica a sé, si manifesti in ogni tempo e in ogni luogo come testimonianza sempre nuova del grande amore con cui siamo stati amati dal Padre, e come espressione di una vita ricca di senso e di scopo.
A tutti la mia benedizione!
Al termine dell’incontro con gli universitari nella Piazza San Petronio di Bologna il Santo Padre si rivolge ancora ai molti giovani presenti con queste parole.
Vorrei aggiungere qualche cosa, perché non solamente ho pronunciato questo discorso, ma mentre lo leggevo ho fatto anche una riflessione sul discorso pronunciato.
Ho parlato degli studenti stranieri, soprattutto degli studenti che vengono dai Paesi di altri continenti, come una volta venivano studenti ad esempio dalla mia patria. Oggi, ancora, ho ammirato il busto di Nicolò Copernico nell’atrio della vecchia università, e tanti altri. Così oggi vengono gli studenti, non tanto dai Paesi europei, quanto dai Paesi africani, asiatici, latino-americani. In riferimento a loro molto si parla oggi nella Chiesa, nella teologia della inculturazione. È vero che loro si trovano con la loro prima o quasi prima evangelizzazione, in questo periodo in cui si devono ricercare i legami propri tra messaggio evangelico e la loro cultura tradizionale. Questa opera preoccupa molti pastori, vescovi, sacerdoti, missionari, come preoccupava, secoli fa, i nostri antenati quando i nostri Paesi, le nostre patrie si trovavano nel periodo della prima evangelizzazione. Naturalmente questo non si riferisce a Bologna, all’Italia, perché la vostra prima evangelizzazione risale ai tempi apostolici. Ma questa è solamente una parte del problema, poiché noi in Europa, con i diversi episcopati europei, anche con l’episcopato italiano così “splendidamente” rappresentato, noi parliamo molte volte, anche a Roma naturalmente, della necessità di una nuova evangelizzazione del nostro continente, dei diversi Paesi del nostro continente, dove la Chiesa è già radicata da secoli.
Chiesa radicata, dove ci sono le istituzioni, la cultura, le culture delle nostre patrie, delle nazioni europee, già impregnate dei comuni elementi cristiani, ma il problema di una nuova evangelizzazione esiste. E questo problema della nuova evangelizzazione dell’Europa per i diversi Paesi e nazioni europei pone, allo stesso tempo, il problema della nuova inculturazione. Se si vogliono tirare fino alla fine le conseguenze di tutto quello che ho detto circa la richiesta dei miei giovani amici – due, una signorina ed un giovane signore che hanno preceduto il mio discorso –, noi cristiani in Europa, in Italia, siamo e dobbiamo essere impegnati in una nuova inculturazione. Non possiamo soltanto ripetere: ma noi abbiamo questa grande cultura cristiana, la si vede dappertutto. Si, si vede, ma il problema è questo: per che cosa si vede la cultura o i monumenti della cultura? Per l’evangelizzazione non bastano i monumenti di una evangelizzazione già compiuta in passato. Per la nuova evangelizzazione ci vuole una nuova inculturazione, non monumenti del passato, ma cultura contemporanea, cultura dei nostri contemporanei, cultura delle nostre odierne istituzioni, cultura della nostra scienza contemporanea che è molto diversa da quella scienza medioevale, anche se essa aveva già in sé le prospettive dell’oggi, basta pensare ad esempio a Copernico e a tanti altri.
Allora: come di questa cultura, di questa cultura europea – che attraverso i progressi intellettuali, culturali, scientifici si è staccata, anzi programmaticamente staccata dal cristianesimo, dalla fede, come con questa cultura, fare una nuova inculturazione per realizzare una vera nuova evangelizzazione? Ecco il problema degno di questa città, di questo ambiente. Circa questo problema pensano i pastori, i Vescovi, i teologi, i sacerdoti, ma oggi viviamo una Chiesa, la stessa ed al contempo altra, che dà di sé una nuova autodefinizione: la Chiesa del Popolo di Dio, la Chiesa in cui, come nei tempi apostolici, si parla dell’apostolato comune di ogni cristiano. Allora siamo tutti responsabili di questa nuova evangelizzazione, non soltanto gli ecclesiastici – ed occorre dire che nella nostra epoca il loro numero è insufficiente ed il problema delle vocazioni si pone anche negli ambienti universitari -: tutti siamo impegnati o almeno chiamati ad essere impegnati nel processo della nuova evangelizzazione che vuole dire nuova inculturazione, che certo sarà diversa da quella medioevale, per esempio in quanto gli elementi sono diversi e forse sarà più difficile. Ma quanto più difficile, tanto maggiore sarà la sfida.
Allora vorrei lasciare voi giovani con questa sfida di una nuova evangelizzazione, di una nuova inculturazione. Mi avete domandato: cosa dobbiamo fare? Io vi ho detto alcuni elementi soprattutto se si tratta del piano globale di ciò che si deve fare, che dovete fare voi, i cristiani dell’incipiente terzo millennio. Voi dovete realizzare questa nuova evangelizzazione che vuole dire nuova inculturazione dell’Europa.
Allora se vi chiederanno che cosa ha detto il Papa, dovete rispondere: il Papa ha letto un discorso e dopo ha fatto un altro discorso sul suo discorso.
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