DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II ALLA PLENARIA
DELLA CONGREGAZIONE PER L’EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI
Venerdì, 14 aprile 1989
Signori Cardinali,
venerati fratelli nell’Episcopato,
carissimi fratelli e sorelle.
A tutti il mio saluto deferente e cordiale. Ringrazio il signor Cardinale Jozef Tomko, prefetto della congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, per le parole che mi ha rivolto, come anche per le puntuali informazioni che mi ha offerto. Vi ringrazio per la presenza, con la quale esprimete fedele comunione con la Sede Apostolica, e soprattutto per il prezioso servizio che state rendendo alla Chiesa in questi giorni, mentre studiate un “direttorio generale o guida per i sacerdoti diocesani dei territori di missione”. So che questo argomento continua quello della plenaria precedente, che si era appunto occupata della formazione dei seminari maggiori.
La speciale attenzione alla formazione del clero, che il dicastero preposto all’evangelizzazione dei popoli sta dimostrando in questi anni, è quanto mai lodevole, anche in considerazione del fatto che lo stesso tema sarà trattato nel Sinodo dei Vescovi del 1990.
La Chiesa ha sempre dimostrato stima e cura materna per i presbìteri, consapevole del sublime valore della loro vocazione. Ogni sacerdote, infatti, in comunione con il Vescovo, “rende presente Cristo” (Lumen Gentium, 21); consacra “in persona di Cristo” (Lumen Gentium, 28); mediante il servizio della Parola, compie lo stesso “ministero di Cristo” (Presbyterorum Ordinis, 2) e guida, come pastore, la comunità “in nome di Cristo” (Lumen Gentium, 10). Inoltre, ogni sacerdote esprime la Chiesa e ne realizza il progetto di salvezza.
Voi sapete che, fin dall’inizio del mio pontificato, sono stato particolarmente vicino ai sacerdoti. Ho voluto rivivere con essi la grazia del giovedì santo, inviando ogni anno un messaggio speciale. Ho sempre cercato di incontrarli a parte, durante le mie visite apostoliche alle Chiese.
Mentre, dunque, esprimo il mio più vivo compiacimento per questo impegno e vi incoraggio a portarlo a termine con l’aiuto del Signore Gesù, “grande Sommo Sacerdote” (Eb 4, 14), desidero sottolineare alcuni punti, che ritengo fondamentali oggi per la vita e il ministero dei presbìteri, con speciale riferimento a quelli dei territori di missione.
2. Prima di tutto, intendo ricordare la preminenza della vita spirituale. Col sacramento dell’Ordine, i presbìteri partecipano alla “consacrazione” di Cristo sacerdote, avvenuta al momento dell’Incarnazione del Verbo nel seno di Maria, e ne diventano strumenti vivi per proseguire la sua mirabile opera. Da questa realtà soprannaturale scaturisce per i sacerdoti l’esigenza di una intensa vita spirituale, fino alle vette della santità (cf. Presbyterorum Ordinis, 12).
Nel contesto ecclesiale missionario, di cui si occupa la plenaria, è necessario privilegiare alcune linee forti della spiritualità sacerdotale, che devono essere chiaramente “orientate alla missione”: anzitutto, la comunione sentita e personale col Salvatore, tanto da poter dire con Paolo: “Non sono più io che vivo, bensì è Cristo che vive in me” (Gal 2, 20); il servizio ecclesiale, che diventa zelo irresistibile: “l’amore di Cristo ci spinge” (2 Cor 5, 14); l’impegno sincero di perfezione, ricercata con costanza nell’esercizio del ministero (cf. Presbyterorum Ordinis, 13; Codex Iuris Canonici can. 276, § 1, 2, 1°); la coerenza negli impegni propri del sacerdote: l’obbedienza generosa e con spirito di fede, il celibato per il Regno nella fedeltà totale a Gesù amato sopra ogni cosa, la povertà volontaria, la capacità di distacco e di sacrificio fino alla croce (cf. Presbyterorum Ordinis, 15-17).
La vita spirituale dei sacerdoti si esprime in modo eminente nella preghiera. Il sacerdote, come “uomo del sacro”, vive la preghiera comune condividendo l’esperienza liturgica della comunità cristiana nella quale è costituito pastore (cf. At 1,14; Presbyterorum Ordinis, 13); ma perché ciò avvenga con autenticità e naturalezza egli deve nutrire la propria vita spirituale con la preghiera personale, frequente e ordinata, seguendo la saggia tradizione della Chiesa.
Nei territori di missione, poi, nei quali il sacerdote è chiamato ad essere annunciatore privilegiato della verità evangelica ai non cristiani, la personale testimonianza di santità acquista un rilievo singolarissimo e diventa, anche più che altrove, suggello di credibilità e garanzia di efficacia dell’attività apostolica.
3. Desidero inoltre sottolineare l’importanza del “senso di appartenenza ecclesiale”. Per i presbìteri, questo senso di appartenenza alla Chiesa sia universale che particolare si concretizza nell’impegno di obbedienza, comunione e cooperazione apostolica sia verso il romano Pontefice, principio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione (cf. Mt 16, 19; Gv 21, 15-17; Lumen Gentium, 18), sia verso il proprio Vescovo, in sintonia con gli altri presbìteri e con i fedeli laici.
In particolare, nelle Chiese giovani non meno che in quelle di antica tradizione, dev’essere intensamente vissuto il senso di appartenenza al presbiterio locale. I sacerdoti siano coscienti di essere per vocazione “saggi e necessari collaboratori” dell’Ordine Episcopale nel servizio del Popolo di Dio (cf. Presbyterorum Ordinis, 2.7; Lumen Gentium, 28), e di costituire con il Vescovo “un unico presbiterio” (Lumen Gentium, 28). Accolgano con stima e amore il suo servizio di guida alla comunità diocesana e lo considerino padre. Inoltre, ognuno di essi si senta unito con tutti gli altri da “particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità” (Presbyterorum Ordinis, 8). Non si insisterà mai abbastanza sul valore evangelizzatore che la fraterna comunione tra i presbìteri possiede per se stessa. Tale fraternità non si fonda su vincoli umani, ma “sacramentali” ed è intrinsecamente destinata a formare di tutti i presbìteri un “corpo” dinamico, unito, incisivo e credibile (cf. Gv 13, 35). A questa “fraternità sacerdotale” hanno parte anche i sacerdoti appartenenti agli istituti missionari internazionali, che operano numerosi e con generosità nelle Chiese di missione.
Il senso di appartenenza alla comunità della Chiesa particolare fa sì che i presbìteri si considerino Popolo di Dio assieme con gli altri fedeli laici e si sentano radicalmente dedicati al loro servizio, perché presi fra gli uomini e costituiti in loro favore, nelle cose che si riferiscono a Dio (cf. Eb 5,1; Presbyterorum Ordinis, 3). Su questo particolare rapporto tra presbìteri e laici, che è fondamentale soprattutto per Chiese che stanno sviluppandosi, ho impostato la mia lettera in occasione del giovedì santo di quest’anno.
Sappiano dunque i sacerdoti vivere nella comunità cristiana come “fratelli tra fratelli”, senza dimenticare - come ho ricordato nella citata lettera - che “per il loro stesso ministero sono tenuti . . . a non conformarsi a questo secolo; al tempo stesso, tuttavia, sono tenuti a vivere in questo secolo, in mezzo agli uomini (Presbyterorum Ordinis, 3)” (Epistula universis presbyteris Feria V in Cena Domini, anni MCMLXXXIX, missa, 5, die 12 mar. 1989: vide supra, p. 541). È bene ricordare che i laici “sono coloro tra i quali ciascuno di noi viene scelto, coloro tra i quali è nato il nostro sacerdozio” (Epistula universis presbyteris Feria V in Cena Domini, anni MCMLXXXIX, missa, 3, die 12 mar. 1989: vide supra, p. 541).
4. Infine, non dev’essere mai dimenticato che ogni sacerdote, in modo proprio è missionario per il mondo. La comunione delle Chiese “particolari con la Chiesa universale raggiunge la sua perfezione solo quando anch’esse prendono parte all’impegno missionario in favore dei non cristiani, dentro e fuori dei propri confini” (cf. Ad Gentes, 20).
In questo stupendo dinamismo missionario, i presbìteri hanno necessariamente un posto di rilievo. Ciò tanto più vale per quelli operanti nei territori di missione, dove è in atto l’evangelizzazione dei non cristiani. Con l’ordinazione, infatti, essi hanno ricevuto un dono speciale, che - come spiega il decreto Presbyterorum Ordinis - “non li prepara ad una missione limitata o ristretta, bensì a una vastissima e universale missione, “fino agli ultimi confini della terra” (At 1, 8)” (Presbyterorum Ordinis, 10; cf. Ad Gentes, 20).
I sacerdoti delle Chiese di missione, dunque, si sentano onorati e felici di poter vivere in pienezza la loro comunione con Cristo mandato dal Padre (cf. Gv 17, 18; 20, 21) e con la Chiesa universale, nel farsi carico, in modo speciale, sotto la direzione del Vescovo e in collaborazione con i sacerdoti degli istituti missionari internazionali, dell’evangelizzazione dei non cristiani nel loro territorio. In nessun altro settore dell’apostolato quanto in questo, i sacerdoti possono dimostrare l’intensità del loro amore per Cristo e per l’uomo. Intimamente pervasi da questo amore, essi inoltre non mancheranno di rendersi concretamente disponibili allo Spirito Santo e al Vescovo, per essere mandati a predicare il Vangelo oltre i confini del loro paese. Ciò richiederà in essi non solo maturità nella vocazione, ma pure una capacità non comune di distacco dalla propria patria, etnia e famiglia, e una particolare idoneità ad inserirsi nelle altre culture, con intelligenza e rispetto (cf. Ad Gentes, 25). L’intima conformazione a Cristo li renderà capaci di tutto ciò, così che anch’essi possano dire con l’Apostolo: “Mi sono fatto tutto a tutti per salvare ad ogni costo qualcuno” (1 Cor 9, 22).
5. Oltre a questi temi fondamentali che vi ho presentato, tanti altri meriterebbero la nostra attenzione. Voi non avrete certo mancato di prenderli in seria considerazione, durante la plenaria.
A Maria, madre del sommo ed eterno Sacerdote e regina degli apostoli, intorno alla quale s’è stretta la prima comunità cristiana (cf. At 1, 14), affido con fiducia tutti i presbìteri delle Chiese di missione e i giovani che si stanno formando nei loro seminari.
A voi che siete qui presenti, alle Chiese da cui provenite e a tutte le Chiese dei territori missionari, ai membri del vostro dicastero, imparto di cuore la confortatrice benedizione apostolica.
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