VIAGGIO APOSTOLICO IN BRASILE
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI RAPPRESENTANTI DEL MONDO DELLA CULTURA
Cattedrale di Salvador - Domenica, 20 ottobre 1991
Signore e signori, fratelli e sorelle,
1. In questa sede di Bahia, un tempio così bello che mi ricorda l’eloquenza del grande padre Antonio Vieira, esponente della cultura brasiliana, e l’ammirevole opera educatrice dei Gesuiti durante l’epoca coloniale, assume un significato speciale questo incontro con i rappresentanti del mondo della cultura, della scienza, dell’arte e dell’industria. Siete “i costruttori della società”, come mi piace chiamarvi, perché nelle vostre mani si trova il vero futuro del paese, che è la costruzione di questo popolo come Nazione.
Ringrazio per le cortesi parole il professore José Carlos Almeida da Silva, Magnifico Rettore dell’Università cattolica di Salvador che mi ha salutato a nome vostro. Quelle parole hanno tradotto, in maniera chiara, le aspirazioni e le necessità degli uomini di cultura del Paese. Con stima e affetto ringrazio anche per i saluti del caro Cardinale Lucas Moreira Neves.
Sono già stato in questa città durante il mio primo viaggio in Brasile. Oggi sono tornato e devo dirvi che ho provato di nuovo quell’impressione così piacevole e duratura che avevo provato undici anni fa. La sua meravigliosa posizione, sulla costa orientale della Baia di Todos os Santos, che costeggia l’Atlantico, riflette qualcosa dell’infinita bellezza del Creatore e ci invita a lodare la sua immensa saggezza e bontà.
Le chiese coloniali, le moderne costruzioni, testimonianze di oltre quattro secoli della fede e del dinamismo imprenditoriale del popolo bahiano, fanno della città l’incontro tra il meglio della tradizione architettonica del barocco luso-brasiliano dei secoli XVII e XVIII, e la presenza viva e fattiva di un solo popolo costituito da molte razze e culture, deciso a costruire nella solidarietà il suo presente e il suo futuro.
Un’industria e un’attività commerciale intense rivelano la volontà di sviluppo alla quale si unisce la cultura accademica e scientifica che non si distacca da questa cultura popolare viva e vibrante che tanto caratterizza questa città.
Mi congratulo affettuosamente con la città di Salvador da Bahia: la sua storia di circa 450 anni, dalla fondazione dovuta alla visione geopolitica ed ispirata del primo Governatore Generale Tomé de Sousa, e la sua realtà attuale sono un espressivo monumento della capacità civilizzatrice dell’uomo nelle zone tropicali.
2. Questo contesto così stimolante mi offre l’occasione per ricordarvi, con la mia presenza e le mie parole, la grande responsabilità che avete nella vostra missione umanizzatrice nei confronti di questa Nazione: la cultura e l’evangelizzazione.
La cultura, secondo la Gaudium et spes, è “uno stile comune di vita” che caratterizza un popolo e comprende l’insieme dei valori che lo sostengono e dei disvalori che lo indeboliscono. Essa è costituita da “tutti quei mezzi con i quali l’uomo affina ed esplica le molteplici sue doti di anima e di corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la vita sociale sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il progresso del costume e delle istituzioni” (Gaudium et spes, n. 53).
Anche se si parla sempre di un contesto sociale, non possiamo dimenticare che l’uomo in quanto tale è l’unico soggetto e oggetto della cultura. È lui che entra in relazione con il mondo, con gli altri uomini, con Dio, realizzando così tutte le sue potenzialità. “L’uomo vive una vita veramente umana grazie alla cultura”. Nella varietà e ricchezza delle sue manifestazioni, è essa che rende l’uomo un essere differente e superiore al mondo che lo circonda. Per questo “l’uomo non può stare al di fuori della cultura” (Ioannis Pauli PP. II, Discorso all’Unesco, 2 giugno 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 1 (1980) 1636 ss.).
Il riconoscimento della sua condizione di “essere differente e superiore” porta all’uomo, allo stesso tempo, una duplice esigenza antropologica e etica. L’essenziale della cultura poggia su questo fondamento, cioè sull’“atteggiamento con cui un popolo afferma o nega il suo vincolo religioso con Dio”. Ne consegue che “la religione, o la sua assenza ispirano i vari settori della vita culturale, la famiglia, l’economia, la politica, l’arte e altri ancora, nella misura in cui li apre ad un significato ultimo, trascendente, o li rinchiude nel suo significato immanente” (Eiusdem, Discorso al mondo della cultura, Cile, 3 aprile 1987: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 1 (1987) 998 s.)).
Una visione deterministica e statica potrebbe far credere che ogni popolo abbia una cultura definitiva che non è possibile modificare. Invece, la libertà di cui l’uomo è dotato lo porta a non convivere solo con la natura, o ad adeguarsi semplicemente ad essa, ma a vivere bene. A questa esigenza fondamentale di vivere bene, si aggiunge il concetto di benessere, la necessità di una qualità di vita da cui non può essere disgiunta una esigenza etica fondamentale. L’atto culturale si presenta, quindi, come una decisione in favore della vita, del progresso e così si prolunga, in maniera sempre rinnovata e dinamica, lungo la storia delle diverse culture. La memoria storica aiuta molto questo dinamismo. Da ciò deriva anche la necessità di coltivare costantemente la cultura, di proteggerla da pressioni che possano indebolirla. Così la cultura di un popolo sopravvive, nella misura in cui i suoi valori vengono fortificati ed affermati.
3. La Chiesa, nella sua missione salvifica di annuncio della Buona Novella a tutte le Nazioni, si incarna nelle culture, ma non si identifica con nessuna di esse, accogliendo quel che di buono c’è nel substrato umano e nelle forme di vita di tutti i popoli (cf. Lumen gentium, 13, 2).
La Chiesa si interessa alle culture dei diversi popoli e delle diverse civiltà per due grandi motivi. Prima di tutto perché la cultura deriva, in maniera immediata dal carattere razionale e sociale dell’uomo. Di conseguenza, promuovere la persona umana, come vuole il Concilio, significa interessarsi a questa espressione privilegiata e necessaria della persona che è la sua cultura. In secondo luogo, perché il Vangelo deve essere annunciato nel contesto culturale di tutti i popoli (cf. Gaudium et spess, 58-59).
Il Concilio, avendo presente il vincolo tra la persona e la sua espressione culturale, chiede con insistenza l’accesso di tutti alla cultura, senza distinzione di razza, sesso, religione, nazione o condizione sociale, affinché tutti possano raggiungere il pieno sviluppo culturale, in sintonia con le proprie capacità e tradizioni.
4. Vedete quindi, amici miei, come sono difficili i compiti e serie le responsabilità che incombono su di voi, in virtù di questo titolo così nobile di uomini di cultura. Da questo posto di osservazione privilegiato del panorama culturale brasiliano che è Bahia, permettetemi di ricordare alcuni di questi compiti e responsabilità. Essi hanno una rilevanza ed un’urgenza particolari dinanzi alla sfida di una nuova evangelizzazione dell’America Latina, visto che il prossimo anno vedrà il V Centenario del primo annuncio del Vangelo su queste terre. Con il motto “Nuova Evangelizzazione, promozione umana, cultura cristiana”, essa sarà il tema della IV Assemblea Generale dell’Episcopato Latinoamericano che si riunirà l’anno prossimo a Santo Domingo.
In primo luogo, è necessario che il Vangelo, la fede, la religione, nel confronto con le culture vive che devono essere salvate da Cristo, abbiano per loro un ruolo decisivo, permeandole dei valori cristiani. Queste culture o non lo hanno recepito profondamente o sono andate offuscandolo, a causa dell’influenza dannosa del secolarismo, del consumismo, del relativismo e di altri mali di una modernità che fa a meno del messaggio di Cristo e della presenza feconda della Chiesa. L’evangelizzazione delle culture deve essere fatta sempre in maniera esplicita, suscitando in esse una adesione vitale e comunitaria, in necessaria connessione con la promozione umana, senza limitazioni o ambiguità.
D’altro lato, perché il Vangelo possa penetrare in maniera efficace e rispettosa all’interno delle culture, deve essere compreso da queste, deve parlare il loro linguaggio, deve interrogarle e lasciarsi interrogare da esse. Deve anche conoscere le loro radici, saperle identificare, discernere i valori autentici per accoglierli, quando siano compatibili con il messaggio evangelico o per purificarle dai falsi valori o dai disvalori. Questa è l’inculturazione del Vangelo, non un adattamento più o meno opportuno ai valori della cultura contingente, ma un’autentica incarnazione in questa cultura per purificarla e redimerla.
La cultura viva del Brasile è veramente un paradigma nel continente latinoamericano, a causa delle sue dimensioni e della sua tipologia. La sua origine risale all’incontro della cultura europea, nella versione portoghese, con le culture indigene e africane. Un impasto razziale e culturale ha segnato profondamente e continuerà a segnare il modo di essere e di esprimersi del popolo brasiliano. Non si può non riconoscere comunque che alcuni gruppi indigeni continuano a mantenere la loro cultura originale e che ve ne sono altri il cui grado di integrazione continua ad essere limitato.
A partire dai secoli XVI e XVII furono lanciate le basi della cultura latinoamericana, compresa quella brasiliana, e del suo profondo sostrato cattolico. La prima evangelizzazione del continente fu abbastanza profonda, al punto che la fede cattolica è diventata costitutiva del suo essere e della sua identità. Questo fatto permane nella religiosità popolare, tanto segnata da un particolare senso della trascendenza e, al tempo stesso, della vicinanza di Dio e dell’intimità con Lui. Una saggezza popolare che ispira il modo di vivere delle persone, il loro rapporto con la natura e con il prossimo, in un clima di festa, di solidarietà, di amicizia, di parentela e cameratismo, di tutte quelle cose, infine, che rendono così tipica la cordialità brasiliana e fanno la vita semplice e allegra.
La nascente cultura dell’uomo nuovo che era sorta in Brasile e nell’America Latina dal miscuglio di razze o che si manteneva in alcuni gruppi indigeni o africani, incominciò a subire, a partire dal XVIII secolo, l’influenza di un nuovo modello di civiltà. Forze sociali e politiche antagoniste, l’impatto delle ideologie dominanti dell’illuminismo, del liberalismo, del razionalismo e, più di recente, del marxismo e del secolarismo, la ricerca da parte di molti di un’apparente sicurezza in alcuni movimenti libertari o conservatori, tutto questo ha prodotto una forte accelerazione della storia. Questo fatto sta richiedendo uno sforzo enorme di creatività da parte dei popoli latinoamericani che non hanno voluto vedere le loro culture relegate in secondo piano o addirittura eliminate (cf. Celam, Evangelizzazione della cultura, Rio de Janeiro, 1985, pp. 75-78).
5. Essendo la cultura di un popolo la sua maggiore ricchezza, non c’è missione così importante come quella che chiedo a voi, di conservarla nella sua integrità, di difenderla dalle minacce o dai rischi di contaminazione, di proteggere i suoi valori evangelici e cristiani. In questo momento, qui a Bahia che fin dall’inizio è stata il luogo privilegiato in cui si è plasmata la cultura brasiliana, permettetemi di formulare i più fervidi auguri per il rinnovato vigore di questa cultura nelle sue più autentiche manifestazioni. Che il “sostrato cattolico” del modo di essere dell’uomo brasiliano non si perda, ma acquisti una nuova vitalità. Che le qualità umane e cristiane del popolo, i valori morali e spirituali che gli danno un aspetto così particolare non vengano frustrati né contaminati. Soprattutto che venga conservata, come un autentico dono di Dio, la sua eccezionale capacità di integrare e di rendere solidali, senza alcun tipo di discriminazione, le diverse componenti etniche della sua fisionomia umana in tutto il Brasile.
Spetta a voi, uomini e donne di cultura, in quanto “costruttori della società” essere la coscienza viva della Nazione. Spetta a voi portarla, soprattutto negli strati più favoriti, a condividere con maggiore generosità i beni economici e le iniziative di tipo sociale e politico, prese a volte con non poco sacrificio da parte di tutta la popolazione, mirando al progresso del paese, al bene comune, in particolare dei più deboli e bisognosi.
Per conservare ed arricchire la cultura brasiliana, molti settori dovranno essere oggetto di maggiore attenzione.
Fra questi, in primo luogo, la famiglia. Impegnati nella costruzione di una civiltà dell’amore, conosciamo tutti il ruolo della famiglia che è il servizio all’amore e alla vita. Nella mia Esortazione apostolica Familiaris consortio ho espresso chiaramente la convinzione per cui la salute e il benessere della società passano necessariamente attraverso la famiglia.
Rivolgo qui un appello a tutta la società brasiliana, ai poteri pubblici, ai legislatori, agli industriali, agli educatori, ai Pastori e ai Capi religiosi, ai padri e alle madri di famiglia, ai movimenti sociali e ai comunicatori affinché impieghino tutti i loro sforzi perché le famiglie brasiliane possano trovare condizioni migliori, nell’ambito domestico e sociale, per compiere bene la loro missione. Questo appello si rende urgente, perché sono a conoscenza del dramma di tante famiglie distrutte o costruite in modo instabile, di coppie che si uniscono soltanto “per fare esperienza”, completamente impreparate e immature di fronte ad una opzione di vita così seria, di bambini che non conoscono il padre o vivono senza di lui. Consolidare l’unione delle famiglie è indispensabile per recuperare uno dei pilastri fondamentali della cultura brasiliana.
In secondo luogo, devo parlarvi dell’educazione e dei suoi agenti. Una cultura cresce e si perfeziona nella misura in cui viene permesso a tutti l’accesso ad una educazione integrale. Questa è la condizione indispensabile per la promozione umana e la vera liberazione delle persone e delle comunità.
Parlando di educazione mi riferisco a tutti i suoi livelli, ma, in particolare desidero sottolineare i due che occupano gli estremi di questa classificazione. Anzitutto, il settore dell’alfabetizzazione e della scolarità primaria, così vitale in un paese dalle dimensioni geografiche e demografiche del Brasile. La percentuale di analfabeti, soprattutto nelle zone rurali, il dramma del mancato rispetto degli obblighi scolastici durante i primi anni, esigono uno sforzo e devono essere affrontati ad ogni costo. Questo paese non può lasciarsi sfuggire la sua maggiore ricchezza, l’elemento umano, in quanto elemento decisivo per il suo sviluppo. D’altro canto, l’ingresso del Brasile, con competenza e con il rispetto degli altri popoli, nel concerto delle nazioni più avanzate, richiede il contributo indispensabile del suo livello di studi superiori. Il vero progresso di un paese si misura sulla possibilità di accesso dei suoi giovani agli studi universitari, che hanno la duplice funzione di formare professionisti di livello superiore e di realizzare e promuovere la ricerca pura e quella applicata.
In Brasile, dove le Università, per motivi storici noti a tutti, sono relativamente giovani in confronto a quelle di altri paesi del continente, vedo con gioia e ammirazione lo sforzo realizzato che ha saputo recuperare uno svantaggio di tre secoli. Il Brasile possiede oggi sedici Università cattoliche, cinque delle quali pontificie. In stretta collaborazione con le Università pubbliche, esse svolgono un lavoro di straordinario valore nel campo della promozione della cultura nazionale. Riconosco lo sforzo dell’Episcopato brasiliano, con l’appoggio dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose, dei professori e degli studenti, per promuovere una pastorale universitaria seria e un dialogo significativo tra fede e cultura.
A questo proposito, desidero presentare all’Università cattolica di Salvador, ai suoi dirigenti, ai suoi professori, ai suoi impiegati e alunni, le mie affettuose congratulazioni per i suoi trenta anni di fondazione e i miei auguri di grande progresso nel futuro, nel nuovo “campus” in costruzione nella bella zona di Pituaú. Voglio farlo in modo più significativo, benedicendo, a conclusione di questo incontro, la prima pietra di questa eminente opera edilizia. Ricevo, inoltre, con grande gioia, la notizia che per questa opera gigantesca, e in particolare per l’edificazione dell’Istituto di Scienze Biomediche, viene assicurato un valido appoggio da parte della Fondazione Monte Padova dell’Ospedale San Raffaele. Era mio vivo desiderio esprimere con una visita personale il mio apprezzamento per questa casa di salute, pietra miliare altamente significativa della presenza imperiale a Salvador. Nell’impossibilità di fare questa sospirata visita per mancanza di tempo e per un’agenda già piena d’impegni, voglio esprimere i miei auguri di ottimi risultati all’attività del San Raffaele, soprattutto nell’assistenza ai malati meno abbienti e, pertanto, più bisognosi di assistenza. Questa benedizione è rivolta principalmente a tutti coloro che oggi e in futuro cercheranno in questa casa la salute desiderata.
Saluto con molta gioia le altre Università e Scuole Superiori cattoliche e in particolare il loro Ente rappresentativo, l’Abesc (Associazione Brasiliana delle Scuole Superiori Cattoliche) la cui opera so che è stata molto proficua in questi ultimi anni. Le mie congratulazioni a tutte le istituzioni pubbliche e private di insegnamento superiore del Brasile, a tutti gli istituti di formazione tecnica, tra i quali voglio ricordare, nel suo primo cinquantenario, il Senai (Servizio Nazionale di Apprendistato Industriale), contributo benemerito dell’Industria brasiliana per la formazione professionale di tanti giovani. Desidero infine porgere il mio saluto amichevole ai gruppi, alle entità e ai movimenti culturali qui rappresentati. Auguro a tutti una vitalità sempre più grande e il riconoscimento da parte di tutti gli organismi responsabili della promozione della cultura in questo paese, della sua attività e dei suoi meriti.
Il momento che stiamo vivendo è cruciale per il Brasile e per il mondo. Si ha l’impressione che una pagina decisiva della storia di tutta l’umanità stia per essere voltata in questa fine del Millennio. Soprattutto nell’immenso continente che celebra il V Centenario della sua evangelizzazione. Chiedo al Signore, e che tutti chiedano con me, che ci ispiri e ci protegga lungo il cammino che dobbiamo percorrere. Spero fermamente in voi, uomini e donne che fate della cultura il vostro lavoro. Sono certo che saprete scrivere una nuova pagina, bella e feconda, negli annali della storia così ricca della evangelizzazione della cultura del vostro popolo. E come segno della grazia e della protezione divina sul vostro ideale di servizio, vi benedico di cuore e vi affido alla protezione della Vergine Maria, “Sede della Sapienza”. Grazie!
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