VIAGGIO APOSTOLICO DI GIOVANNI PAOLO II
IN ANGOLA E SÃO TOMÉ E PRÍNCIPE
APPELLO DI GIOVANNI PAOLO II
NELLA SPIANATA DELL’ANTICA CATTEDRALE DI M’BANZA CONGO
M’Banza Congo (Angola) - Lunedì, 8 giugno 1992
1. “Guai a me se non predicassi il Vangelo” (1 Cor 9, 16). Queste parole sono state pronunciate da San Paolo, l’Apostolo delle genti. Sono parole forti. In esse si esprime il mandato missionario, quasi come fosse una pressione interiore. L’Apostolo scrive: “... ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato” (1 Cor 9, 17). Ministro del Vangelo. Ricordando gli albori dell’evangelizzazione dell’Angola cinquecento anni fa, ricordando allo stesso tempo il secolo scorso in cui l’evangelizzazione del vostro Paese ha fatto grandi progressi, vogliamo oggi rendere grazie alla Santissima Trinità per tutti quelli per i quali le parole dell’Apostolo delle genti sono diventate un programma di vita e di vocazione. Il mio pensiero va necessariamente a M’Banza Congo, che nel 1984 è diventata sede di Diocesi per la seconda volta, poiché l’antica Diocesi del Congo, che risaliva al 1596, si è trasformata successivamente in Diocesi di Angola e Congo fino al 1940. L’antica Diocesi è stata segnata da diverse vicissitudini: morte prematura di vescovi, lunghi periodi di “sede vacante”, esiguo numero di missionari, carenza di agenti di evangelizzazione all’altezza della loro missione. Successivamente, gravi avvenimenti, legati all’arrivo di stranieri nel Paese, hanno sconvolto la vita sociale e si sono ripercossi negativamente sull’evangelizzazione: il flagello disumano e ingiusto del commercio degli schiavi e l’intrusione violenta di questi stranieri nella vita del Regno del Congo. I peccati degli uomini accrescono le difficoltà che accompagnano sempre qualsiasi sforzo di evangelizzazione. I tristi eventi che si sono verificati durante la celebrazione dei 500 anni dell’evangelizzazione del Congo, eventi che hanno avuto la loro massima espressione nella tragica morte del primo Vescovo di questa Diocesi, Afonso Nteka, mi portano a credere che Dio non voglia far deviare M’Banza Congo dal cammino che il proprio Salvatore ha percorso: senza spargimento di sangue non c’è redenzione. Rendo omaggio al giovane Vescovo e chiedo a tutti che si inchinino dinanzi alla sua memoria. Amati fratelli e sorelle di questa diocesi di M’Banza Congo, vi presento qui il nuovo Vescovo, Don Serafim Shyngo-Ya-Hombo, al quale auguro un ministero pastorale ricco di frutti della grazia divina. E lo faccio in una professione di speranza: le difficoltà che accompagnano la Missione del Congo non hanno impedito il fiorire della Chiesa sui due lati dell’attuale confine amministrativo. La forza della Pasqua di Cristo e l’azione del suo Spirito, con la collaborazione dei missionari, dei catechisti e di tutto il popolo cristiano, farà sì che questa Chiesa locale cresca ancor di più e diventi un centro di irradiazione cristiana per tutto il territorio attorno a M’Banza Congo.
2. Ho parlato prima di questa pressione interiore, un imperativo dell’Apostolo. Ma da dove proviene? Da dove, lungo tutti questi secoli e fino alla fine dei tempi? Per dare una risposta a questa domanda, occorre salire su quel monte della Galilea dove gli Apostoli hanno ascoltato le parole di Cristo prima di salire alla Casa del Padre: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 19-20).
3. Con queste parole lo stesso Cristo risponde alla domanda sul dovere di evangelizzare “tutte le nazioni”, di annunciare il Vangelo a tutti gli uomini in ogni epoca e in ogni luogo. Il “potere – di Cristo – in cielo e in terra” ha la sua fonte definitiva nella redenzione del mondo compiuta da lui stesso mediante la Croce. E nella Risurrezione Cristo si è manifestato come il Signore che rimane con noi, nello Spirito che è fonte di vita, “fino alla fine del mondo”. Quanti intraprendono un’opera di evangelizzazione vogliono rispondere all’amore del Redentore, che ci ha manifestato attraverso le sue opere e i suoi insegnamenti e, in modo definitivo, con il sacrificio della Croce: ha dato la sua vita per noi! Quanti intraprendono l’opera di evangelizzazione seguono la verità divina di questo amore, poiché soltanto in Lui si trova la salvezza dell’uomo e dell’umanità.
4. Sento un’emozione particolare, come Pastore della Chiesa Universale, nel momento in cui poso il piede su questa terra di M’Banza Congo. Perché qui il cristianesimo ha una storia di cinque secoli, una tradizione che affonda nelle ombre del passato e nelle imprese che si sono distinte per l’audacia. Se oggi rendiamo grazie a Dio per tutti coloro a cui l’Angola deve l’evangelizzazione, è perché vogliamo mostrare allo stesso tempo la sua necessità oggi e per il futuro della vostra Patria. Voi Pastori, missionari, catechisti e semplici laici, a cui rivolgo il mio saluto affettuoso e caloroso – segno di omaggio e fonte di stimolo – avete ereditato un compito impegnativo, una responsabilità storica e una tradizione che esige fedeltà.
5. Il lavoro dei primi missionari nel portare fino a questi luoghi la fiamma della Fede, è stato un’epopea di sacrifici e consolazioni, di luci e ombre, di angosce e speranze: è stato questo l’inizio e in questo modo è sopravvissuto il cristianesimo per cinque secoli in queste regioni. Questo processo di evangelizzazione, come un minuscolo seme, si è andato sviluppando fino a giungere ad essere ciò che è oggi la realtà cristiana dell’Angola: una gerarchia saldamente radicata, con i cristiani che partecipano, accanto ai loro pastori, alla vita della Chiesa. In questo richiamo storico non possiamo dimenticare il nome di un grande re, la cui memoria è rimasta per secoli nel popolo del Congo: Re Alfonso I, Mvémba-Nzínga, che è stato a quei tempi il più grande missionario del suo popolo. È per me una gioia ricordare anche i rapporti diretti che il Regno del Congo ha cercato di mantenere con la Santa Sede di Roma, inviandovi ambasciatori che i miei predecessori hanno accolto con ammirazione e affetto. Ma, come diceva il Concilio Vaticano II: “La Chiesa non è realmente costituita, non vive in maniera piena e non è segno perfetto della presenza di Cristo tra gli uomini, se alla gerarchia non si affianca e collabora un laicato autentico” (AG 21). Una delle principali caratteristiche della Seconda Evangelizzazione dell’Angola, iniziata nel 1866, è la mobilitazione del laicato locale, soprattutto di coloro che sono chiamati catechisti. Le prove attraverso cui la Chiesa in Angola è passata durante questi ultimi trent’anni segnati dalla guerra di indipendenza, seguita dalla guerra civile, avrebbero certamente provocato la scomparsa di gran parte delle comunità cristiane, se ci fossero stati catechisti consapevoli e responsabili, all’altezza delle circostanze. Infatti la preghiera comunitaria, la catechesi a tutti i livelli, la resistenza all’ateismo ufficiale, hanno impedito l’estinzione delle comunità cristiane – come è accaduto dopo il 1834 in seguito alla cacciata dei missionari – perché i catechisti hanno mobilitato e hanno preparato il popolo alla difesa dei valori religiosi e morali. Centinaia di loro sono diventati martiri: hanno pagato con la vita il loro coraggio e la loro determinazione. Dio voglia che i loro nomi non siano dimenticati e i loro esempi vengano seguiti a edificazione delle future generazioni. Colgo l’occasione per salutare e congratularmi con tutti gli agenti dell’evangelizzazione dell’Angola, soprattutto voi catechisti: alcuni portano sul petto la medaglia “Pro Ecclesia et Pontifice”, come segno di riconoscenza della Sede apostolica per i servizi prestati e per i sacrifici sopportati. E come non ricordare le altre forme di servizio alla vita della Chiesa, alla missione di altri operai del Vangelo?: “animatori della preghiera, del canto e della liturgia; capi di comunità ecclesiali di base e di gruppi biblici; incaricati delle opere caritative, amministratori dei beni della Chiesa; dirigenti dei vari sodalizi apostolici” (Redemptoris missio, 73). Tutti hanno formato e formano una comunione di spirito e di fede, una unità armoniosa per l’edificazione della Chiesa angolana. Che il Dio della Pace vi benedica!
6. “Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe con loro” (1 Cor 9, 22-23). Ecco il programma di azione apostolica per tutti: per il clero e per i laici, ministri della Buona Novella. Il loro servizio mostra le vie della pace. Il Vangelo che servono è il vangelo della pace. E quanto ne ha bisogno la vostra Patria tanto straziata da questi anni di guerra civile! La mia sollecitudine per tutte le vittime di questa guerra mi spinge a rivolgere da qui un pressante appello a favore dei rifugiati: la guerra li ha costretti a fuggire, la pace si costruisce con il loro ritorno.
Cari angolani, in quel lontano 1491, Gesù Cristo, nella persona dei suoi missionari, ha chiesto e ricevuto degna ospitalità in queste accoglienti terre dell’antico Regno del Congo. Il Papa rivolge un appello affinché la generosità che i vostri antenati dimostrarono cinque secoli fa ai primi missionari sia oggi il nobile distintivo del cuore e della mentalità degli angolani, nei confronti dei rifugiati che cominciano a ritornare in patria. Essi contano sulla vostra solidarietà affinché divenga possibile un rincontro per tante famiglie disperse e un nuovo inizio per la loro vita. Il loro ritorno è certamente una delle condizioni necessarie ed urgenti affinché l’Angola possa ritrovare quella normalità di vita che le permetta di progettare e costruire il futuro. Certo che, anche se è decisiva, la solidarietà nazionale non basta! Mi rivolgo alla Comunità Internazionale per chiederle di continuare a sostenere i popoli meno fortunati. L’Angola come diversi altri paesi dell’Africa Australe ha bisogno del vostro aiuto per non morire di fame, per intraprendere la via dello sviluppo e per rafforzarsi come Nazione sorella e compagna di tutte le altre Nazioni all’interno dell’unica famiglia umana.
7. Amati fratelli e sorelle: l’Angola ha cinquecento anni di incontro di culture, condizione che la maggior parte dei popoli africani non conoscono. Questo fa del vostro paese un popolo a sé, che non può essere incluso semplicemente in una determinata corrente che trascina i Paesi dell’Africa Australe. In alcuni i colonizzatori vivevano tra i colonizzati. Qui i colonizzatori, nonostante tutto, hanno convissuto con i popoli incontrati. Da qui la differenza specifica che contraddistingue il popolo angolano.
Perciò, nel vostro lodevole sforzo di inculturazione del Vangelo non dimenticate che si tratta di “un cammino lento, che accompagna tutta la vita missionaria e chiama in causa i vari operatori della missione “ad gentes”, le comunità cristiane man mano che si sviluppano, i pastori che hanno la responsabilità di discernere e stimolare la sua attuazione” (RM 52).
8. La liturgia di oggi, prima di condurci, con Cristo e gli Apostoli, sul monte dell’Ascensione, ci porta su un altro monte che il Profeta Isaia vede con gli occhi dell’anima. È “il monte del tempio del Signore” (Is 2, 2). Il profeta osserva come affluiscono a questo monte numerosi popoli che dicono: “Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri” (Is 2, 3). E subito dopo: “Egli sarà giudice tra le genti. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci. Casa di Giacobbe, vieni, camminiamo nella luce del Signore” (Is 2, 4-5).
Popoli dell’Africa, popolo dell’Angola:
Il Dio della pace sia con voi!
Camminate nella luce del Vangelo di Dio!
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