INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON LA CURIA ROMANA, CON IL GOVERNATORATO
E CON GLI ORGANISMI CONNESSI
Sabato, 27 giugno 1992
1. “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16, 15). La Chiesa di Dio che è in Roma non cessa mai di ascoltare queste parole – ultime e decisive – che il Signore Gesù Cristo pronunciò prima della sua “dipartita” per entrare nella gloria del Padre. A Roma infatti rimane sempre viva la memoria dei due grandi Apostoli: di Pietro, che insieme con i suoi fratelli nell’apostolato udì con i propri orecchi quest’ultimo mandato di Cristo risorto; e di Paolo – che lo senti più tardi e in circostanze speciali, alle porte di Damasco – lo senti pronunciare con una potenza tale che da quel momento esso divenne l’unico motivo-guida della sua vita, come egli stesso lasciò scritto: “Guai a me se non predicassi il Vangelo!” (1 Cor 9, 16).
2. La Chiesa, che poggia su queste due colonne apostoliche, sta vivendo in modo particolarmente intenso l’anno corrente, perché in esso cade il quinto centenario di quel 1492 in cui le fu svelata l’esistenza di un nuovo “mondo”, prima sconosciuto. E tale mondo divenne subito una nuova sfida per i discepoli di Gesù Cristo, il quale aveva detto una volta a Pietro e agli altri Apostoli: “Andate in tutto il mondo”. Anche i ministri del Redentore, che vivevano nell’anno 1492, non poterono perciò non sentire come rivolto a se stessi quel “guai a me” di Paolo: “Guai a me se non predicassi il Vangelo!”. Come non fare, a questo punto, un paragone tra l’anno 1492 e il Battesimo della Ruthenia (Rus) nell’anno 988? Anche allora ebbe inizio la diffusione del Vangelo tra nuovi popoli e nazioni, questa volta tuttavia in direzione Est. Anche quei popoli e quelle nazioni costituivano un “mondo” distinto: uno di quei mondi a cui il Redentore aveva inviato i suoi Apostoli, al sopraggiungere della “pienezza dei tempi” (cf. Ef 1, 10).
3. È giusto, dunque, che noi, radunati qui presso le “soglie degli Apostoli”, eleviamo con più profonda intensità l’inno di gloria al Dio unico nella maestà della Santissima Trinità, ringraziandolo per il dono della missione del Redentore (Redemptoris missio), che si rinnova nelle epoche diverse della storia, per raggiungere i cuori delle persone e le comunità dei popoli e abbracciarle nell’eterno Disegno della Verità e dell’Amore salvifici.
4. Questo è il contesto storico in cui la Chiesa che è in Roma è entrata nel cammino del Sinodo pastorale, i cui lavori sono ormai molto avanzati, come abbiamo potuto udire anche oggi dalla puntuale e ricca relazione del Cardinale Vicario. A lui e a tutto il Consiglio Episcopale, come pure ai collaboratori della Diocesi va il mio vivo ringraziamento. Ho voluto questo Sinodo diocesano, annunciandolo nella Pentecoste dell’anno 1986, poco dopo la celebrazione dell’Assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi a venti anni dal Concilio, per promuovere una profonda penetrazione del magistero dottrinale – e al tempo stesso pastorale – del Concilio Vaticano II nella vita della Chiesa in Roma. In particolare, le due grandi Costituzioni conciliari sulla Chiesa e sulla sua presenza nel mondo contemporaneo, Lumen gentium e Gaudium et spes, nella loro profonda unità, rappresentano la base e la sorgente ispiratrice sia del lavoro sinodale svolto finora – con i suoi momenti forti nelle Assemblee presinodali di Prefettura e poi nel “Confronto con la Città” – sia di quello a cui si accingono le Assemblee plenarie ormai imminenti, attraverso le quali il Sinodo giungerà a compimento per irradiarsi in tutte le dimensioni della pastorale diocesana verso il grande Giubileo dell’inizio del terzo Millennio cristiano.
5. Con lo sguardo rivolto tanto al cammino percorso quanto a quello che sta davanti a noi, ricordiamo anzitutto quella dimensione “fondativa” del Sinodo, come di tutta la vita della Chiesa, che è la preghiera: l’adorazione, il rendimento di grazie, la supplica al Padre ricco di misericordia, attraverso il Figlio fatto uomo per noi, nella luce e nella consolazione dello Spirito, devono salire incessanti dal cuore della Chiesa di Roma riunita in Sinodo. Le assemblee liturgiche, solenni e quotidiane, la preghiera nascosta e silenziosa dei sacerdoti e dei fedeli, l’assiduo stare accanto al Signore delle comunità di vita contemplativa, abbiano una costante intenzione comune: il Sinodo e i frutti del Sinodo. Per la mutua relazione che sussiste tra Chiesa pellegrina e Chiesa celeste, sappiamo e confidiamo che questa preghiera è sostenuta dall’intercessione della Vergine Maria, nostra Madre e nostra Fiducia, e insieme da quella degli apostoli Pietro e Paolo e di tutto il coro dei Santi e delle Sante, che attraverso i secoli hanno illustrato e reso feconda con la loro testimonianza la Chiesa di Roma.
6. L’orizzonte del Sinodo diocesano è definito dall’impegno della “nuova evangelizzazione”: entro questa prospettiva vanno letti – nella loro intima relazione – i due grandi temi sinodali, la comunione e la missione, secondo la preghiera di Gesù: “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 21). Il compito dell’evangelizzazione, connaturato nell’essenza stessa della Chiesa, acquista certamente un’urgenza nuova per la situazione spirituale, morale e sociale di questa Città, in cui è ben viva e vitale la grande tradizione cristiana e cattolica di fede e di carità operosa, ma sono pure ampiamente diffusi l’indifferenza religiosa, il permissivismo, con il conseguente degrado morale e sociale. Perciò l’azione pastorale della Chiesa è chiamata a svilupparsi sul duplice versante di una profonda formazione cristiana, personale e comunitaria, che sappia generare autentici testimoni e apostoli di Gesù Cristo, e di uno slancio missionario che non si limiti a coloro che già frequentano le nostre chiese, ma si sforzi di raggiungere le persone, le famiglie, le categorie sociali là dove esse vivono e attraverso quelle forme di cultura e quegli strumenti di comunicazione dai quali esse vengono largamente plasmate nei propri convincimenti e stili di vita. La Chiesa non può rinunciare infatti a offrire a tutti la possibilità di un incontro personale con Cristo e di una vita modellata sull’esempio di Lui.
7. Se questo è l’orizzonte del Sinodo diocesano di Roma, esso a più di un titolo domanda che convergano in un impegno solidale tutte le energie vive della Chiesa di Dio che è in Roma, da quelle più propriamente diocesane a quelle – salva restando la diversità delle funzioni – che sono al servizio della dimensione universale del ministero del Successore di Pietro. La “esemplarità” che è propria della Chiesa di Roma, in virtù del suo essere la Sede di Pietro, imprime un significato e un valore non soltanto diocesano al Sinodo che essa sta celebrando. Al Sinodo Romano guardano e guarderanno le Chiese sorelle, sparse nel mondo, per trarne ispirazione, stimoli e suggerimenti per l’opera della nuova evangelizzazione che, pur nelle differenze delle culture e delle situazioni, è il grande compito comune dei discepoli di Cristo nell’epoca che stiamo attraversando. Il Sinodo è quindi un’occasione privilegiata per promuovere e incrementare la comunione e il raccordo organico tra coloro che sono al servizio delle due dimensioni, diocesana e universale, dell’unico ministero del Romano Pontefice. Già questo raccordo è in atto, con beneficio evidente del popolo di Dio che è in Roma, nella multiforme disponibilità pastorale dei Padri Cardinali, dei Vescovi e dei Sacerdoti, dei Religiosi e delle Religiose, e di non pochi laici che sono al servizio della Sede apostolica o comunque sono presenti in Roma perché in questa Città ha Sede il Successore di Pietro. E reciprocamente, proprio da questo impegno pastorale e dall’esperienza del contatto vivo con la Chiesa particolare di Roma, lo stesso servizio alla Sede apostolica riceve sostegno spirituale e aiuto ad entrare nella realtà concreta dei problemi. Ma è largo ancora lo spazio perché questa comunione operosa e questo scambio di doni crescano in intensità e organicità, senza ostacolare l’adempimento dei compiti propri di ciascuno.
8. E perché sia sempre chiara l’origine di questa condizione unica della Chiesa di Dio che è in Roma, occorre avere costantemente presente il legame indissolubile che sussiste tra “romanum” e “petrinum” alla luce di tutta la Tradizione ecclesiale. La Sede episcopale di Roma è infatti il titolo in forza del quale il Vescovo designato a questa Sede è congiunto, per l’ininterrotta successione apostolica, con la persona stessa di Pietro e ottiene così il ministero pastorale della Chiesa universale, a Pietro direttamente e immediatamente conferito dal Signore Gesù. Perciò, se in ciascuna delle Chiese particolari “è veramente presente e operante la Chiesa di Cristo, Una, Santa, Cattolica e apostolica” (Christus Dominus, 11), e vi è quindi un rapporto di “mutua interiorità” con la Chiesa universale (cf. Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione, 9), la Chiesa che è in Roma ha anche sotto questo profilo una peculiare identità, a cui segue una responsabilità ugualmente peculiare. Essa è per se stessa aperta e riferita in maniera singolare all’universalità dell’unica Chiesa. Di qui anche nasce la vocazione di esemplarità che le è affidata: più di ogni altra Chiesa particolare, essa ha la responsabilità di rendere in sé presente e operante il mistero dell’unica Chiesa di Cristo, depositaria “di tutta la verità rivelata da Dio e di tutti i mezzi di grazia” (Unitatis redintegratio, 4). Il Sinodo diocesano di Roma chiama e aiuta noi tutti a vivere questa esemplarità nella conversione, nella fedeltà, nel rendimento di grazie.
9. Conviene ricordare qui, ancora una volta, l’insegnamento del Concilio Vaticano II sulla collegialità dell’Episcopato nella comunione con il Successore di Pietro. La Chiesa, per volontà di Cristo, ha una struttura gerarchica, e la Gerarchia – a sua volta – ha un senso ministeriale: è una gerarchia di servizio. Ciò vale per tutti coloro che nella Chiesa sono i soggetti del ministero gerarchico: per ciascuno secondo una proporzione adeguata. Per il Vescovo di Roma dunque – in ragione del “ministerium petrinum” – in modo del tutto particolare. Ciò è espresso nella maniera migliore dal titolo di “servus servorum Dei”, del quale il Papa San Gregorio Magno per primo volle fregiarsi (Epistula ad Eulogium Episcopum Alexandrinum, PL 77, 933).
10. Questa fondamentale prospettiva non deve mai essere persa di vista quando ci riferiamo alle articolazioni della compagine ecclesiale. Così, anche se nel linguaggio profano si usano con facilità i termini “centralizzazione” e “decentramento”, noi dobbiamo sottolineare che la specificità della Chiesa è diversa. Come un “corpo”, un organismo vivente, la Chiesa ha un solo Capo, che è Cristo stesso, operante nella potenza dello Spirito Santo. Nell’ambito della struttura gerarchica, il potere ministeriale della Chiesa è esercitato dai Vescovi nell’unità collegiale con il Vescovo di Roma, in quanto Successore dell’apostolo Pietro. Si può dire dunque che il “munus episcopale”, particolarmente nella sua dimensione collegiale, e il “munus petrinum” si compenetrano e si connettono profondamente a vicenda. Nel periodo post-conciliare la dimensione collegiale del ministero episcopale si è molto intensificata. A parte, infatti, l’istituzione più significativa in questo campo, che è il Sinodo dei Vescovi nelle sue diverse attuazioni, si devono ricordare altre molteplici forme di raccordo tra la Santa Sede e l’Episcopato mondiale, quali, ad esempio, la vasta e capillare consultazione posta in atto per la preparazione del nuovo Codice di Diritto Canonico e del Catechismo della Chiesa Cattolica, le convocazioni straordinarie del Collegio Cardinalizio o degli Episcopati di determinate Nazioni per lo studio di problemi di interesse generale, gli incontri con i Vescovi dei vari Paesi in occasione dei viaggi apostolici, oltre che nelle consuete visite “ad limina”, e la collaborazione di alcuni di loro in qualità di consultori con i diversi Dicasteri della Curia Romana. Alla base di tutto ciò vi è la consapevolezza che il Successore di Pietro ha di dover restare costantemente in ascolto di “ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (Ap 3, 6), agendo con e per i suoi fratelli nell’episcopato, così da favorire una sempre più intensa comunione nell’opera di evangelizzazione del mondo contemporaneo. Anche la Costituzione Pastor bonus dimostra in quale maniera la Sede apostolica e la Curia Romana cerchino di adeguare la loro opera all’intensa attività dell’Episcopato nella sua dimensione collegiale, affinché il “munus petrinum” del Vescovo di Roma possa svolgere adeguatamente il compito espresso dalla formula gregoriana “servus servorum Dei”.
11. È presente oggi tra noi una delegazione del Patriarca ecumenico, Sua Santità Bartolomeo I, qui venuta, secondo una bella consuetudine, per prendere parte alla celebrazione romana della festa dei Santi Pietro e Paolo, così come una delegazione cattolica si reca al Patriarcato ecumenico per la festa di Sant’Andrea apostolo, fratello di Pietro. Saluto con sentimenti di fraterna cordialità la delegazione, guidata dal Metropolita del Nord e Sud America Sua Eminenza Iakovos, ed esprimo la mia gioia per la comunione nella commemorazione degli Apostoli e per quanto vien fatto in vista del ristabilimento di quella piena unità che Cristo vuole per i suoi discepoli. La presenza dei fratelli ortodossi attira visivamente la nostra attenzione sulla preoccupazione per la dimensione ecumenica del Sinodo Romano. Il suo regolamento prevede che si invitino, “data la peculiarità della diocesi di Roma”, delegati fraterni delle altre Chiese e Comunità ecclesiali che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica, perché prendano parte all’assemblea sinodale romana cattolica. Ciò esprime la sollecitudine del Sinodo per la ricerca della piena unità tra i cristiani, la quale è una priorità nella pastorale della Chiesa nel nostro tempo e in particolare in quella del Vescovo di Roma.
12. Nella Declaratio conclusiva della Sessione speciale del Sinodo dei Vescovi per l’Europa, i Padri, sulla scia dell’insegnamento del Concilio Vaticano II, hanno dichiarato: “Ci siamo resi conto di quanto la nuova evangelizzazione sia compito comune di tutti i cristiani e di quanto dipenda da ciò la credibilità delle Chiese nella nuova Europa” (III, 7). In questa linea, il Sinodo pastorale diventa un momento di fattiva applicazione della preoccupazione ecumenica in una diocesi concreta con le caratteristiche peculiari della diocesi di Roma. Per l’esemplarità del ruolo che essa esercita nella Chiesa di Cristo, l’intento ecumenico, che non proviene da una iniziativa pastorale contingente, ma dalla stessa volontà di Cristo (CIC, can. 755 § 1), deve starle particolarmente a cuore. La presenza al Sinodo Romano dei fratelli delle altre Chiese e Comunità ecclesiali potrà, tra l’altro, arricchire le stesse deliberazioni sinodali, contribuendo a introdurre maggiormente la preoccupazione ecumenica nella pastorale normale, facendo crescere la reciproca conoscenza, la carità vicendevole e possibilmente la fraterna collaborazione. Una simile vicendevole partecipazione, oltre ad esprimere la comunione – vera seppur parziale – che esiste, non mancherà di stimolare il concorde impegno nella ricerca della piena unità. In tal modo, sin da ora sarà possibile dare una autentica testimonianza di fronte al mondo, una testimonianza che diventi anche fonte di evangelizzazione.
13. Carissimi, in questa antivigilia della Festa dei Principi degli Apostoli a cui la Chiesa di Roma deve le sue origini, mi è caro concludere ricordando la tradizione che ci parla degli immediati collaboratori di San Pietro, partecipi delle sue sollecitudini universali, collaboratori della sua missione, responsabili, sia pure in gradi diversi, delle sorti della Sede apostolica. Voi siete subentrati a loro e avete il compito di collaborare da vicino col Successore di Pietro. Il Papa non si sente solo, conta su di voi, su ciascuno di voi. Vi saluto a uno a uno, con viva gratitudine per l’opera generosa che quotidianamente prestate nell’ufficio a ciascuno affidato. Con voi saluto le vostre famiglie, alle quali auguro ogni bene. Un pensiero di speciale riconoscenza desidero rivolgere anche a voi, Religiosi e Religiose degli Ordini e delle Congregazioni presenti in Roma e contemporaneamente operanti nel mondo. La vostra collaborazione col ministero petrino si rivela singolarmente preziosa a motivo della ricca esperienza ecclesiale che la vastità del raggio di azione dei vostri Istituti vi consente di acquisire. Anche su di voi il Papa fa speciale affidamento.
Nell’invocare su ciascuno dei presenti a questo incontro la celeste intercessione degli Apostoli Pietro e Paolo per un rinnovato impegno di dedizione al servizio della Chiesa, a tutti imparto di cuore la mia benedizione.
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