DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL PACIFICO
Venerdì, 29 ottobre 1993
Eminenza, Fratelli Vescovi,
Cari pastori della Chiesa nel Pacifico,
1. “Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo” (Fil 1, 2). Vi do un cordiale benvenuto, membri della Conferenza Episcopale del Pacifico, a Roma per la vostra visita “ad limina Apostolorum”. Ricordo con gioia la mia Visita Pastorale ad alcune delle vostre Chiese particolari, dove il Signore mi ha concesso la grazia di partecipare all’inno di lode e di ringraziamento che, con notevole devozione si eleva fino a Dio nostro Padre da quella bellissima parte del mondo. La vostra visita è segnata dalla tristezza della morte improvvisa del Vescovo Patelisio Final di Tonga che è stato chiamato alla casa del Padre Celeste mentre si stava recando a questo incontro. Possa Dio misericordioso concedergli la ricompensa che attende i servi fedeli del Vangelo.
L’antica pratica di “venire a vedere Pietro” ci ricorda i giorni che Paolo trascorse con Cefa a Gerusalemme (cf. Gal 1, 18). Nell’abbraccio fraterno di Pietro e Paolo, la comunità originale riconobbe i convertiti di Paolo come veri fratelli e vere sorelle nella fede. Nel racconto di Paolo circa l’abbondante dono della grazia ai Gentili, la comunità ha trovato ancor più ragioni per lodare l’infinita bontà di Dio (cf. At 15, 6 ss). Allo stesso modo, attraverso i nostri incontri di questi giorni viene riconfermata l’unione delle vostre Chiese particolari con la Chiesa universale, e di fronte al mondo intero voi siete testimoni del fatto che in Melanesia, in Polinesia e in Micronesia le parole del profeta Isaia si sono completamente concretizzate: “In Oriente, glorificate il Signore, nelle isole del mare, il nome del Signore, Dio d’Israele” (Is 24, 15).
2. Nel prossimo futuro, alcune delle vostre Chiese celebreranno il centenario o seicentenario dell’arrivo dei primi missionari cattolici. Queste solennità mostreranno l’abbondante raccolto già ricavato da quella prima plantatio Ecclesiae. Ringraziamo di cuore Colui che fa crescere (cf. 2 Cor 9, 10) per gli innumerevoli uomini e le innumerevoli donne che hanno lasciato la propria casa e la propria famiglia per diffondere la Buona Novella della salvezza conquistata per noi da Cristo. Essi erano animati da quello stesso zelo per il Vangelo che portò San Pietro Chanel e il Beato Diego de San Vitores a sigillare la loro consacrazione missionaria con il proprio sangue.
Allo stesso tempo, siamo consapevoli del fatto che nelle vostre terre, così come in altre giovani Chiese nel mondo, il compito dell’evangelizzazione non è stato ancora portato a termine. Come disse il mio predecessore Paolo VI quando visitò le Samoa Occidentali: “L’opera missionaria... è sempre necessaria ed urgente”, poiché vi sono ancora molte persone “che non hanno trovato la verità” (Omelia a Leulumoega, 30 novembre 1970). Dobbiamo pregare costantemente affinché molti cuori generosi rispondano all’esortazione di dividere con i loro fratelli e con le loro sorelle la grazia della Redenzione che Dio ha così generosamente donato (cf. Redemptoris missio, 65-66). Prego con particolare fervore affinché giovani uomini e donne delle famiglie cristiane delle vostre numerose isole si facciano avanti in numero sempre maggiore per riempire le file dei sacerdoti e dei religiosi.
Avete organizzato le commemorazioni della prima evangelizzazione delle vostre comunità in modo tale che esse possano costituire un’occasione di rinnovato impegno per il compito di diffondere la luce del Vangelo. In tal modo state esortando i fedeli a mantenere viva l’orgogliosa eredità missionaria della Chiesa nel Pacifico, proprio mentre essi crescono nella “piena maturità di Cristo” (Ef 4, 13); (cf. Redemptoris missio, 48). Poiché l’evangelizzazione è “concepita non già come un compito ai margini della Chiesa, ma inserito nel cuore della sua vita, quale impegno fondamentale di tutto il Popolo di Dio” (Ivi, 32) l’impegno per questa impresa è una fonte di crescita in tutti gli altri aspetti della vita di una comunità cristiana; poiché “la missione, infatti, rinnova la Chiesa, rinvigorisce la fede e l’identità cristiana, dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni. La fede si rafforza donandola!” (Ivi, 2).
3. I Padri del Concilio Vaticano II hanno affermato che il Collegio dei Vescovi, presieduto dal Successore di Pietro, ha la responsabilità primaria di eseguire l’ordine del Signore di predicare “il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16, 15) (cf. Ad gentes, 38). Quella “santa unione di energie” (Christus Dominus, 37), che il Concilio ha indicato come il frutto dello scambio di opinioni e risorse all’interno di una Conferenza Episcopale, è di grande aiuto per voi che lottate per adempiere al mandato missionario. Durante questo XXV anniversario della fondazione della vostra conferenza, è un gioia riconoscere la notevole unità di idee e di azione che voi avete raggiunto, in particolare se si considerano le grandi sfide che dovete affrontare. Non solo le vostre comunità sono ampiamente disseminate su grandi distanze, ma esse si differenziano anche per cultura, lingua, storia, vita politica e eredità ecclesiastica. Di fronte a queste circostanze, che potrebbero realmente essere un pretesto per l’estraniazione e la divisione, la vostra comunione è perfetta come testimone del potere dello Spirito di Dio che riunisce nell’unico Corpo di Cristo “ogni tribù, lingua, popolo e nazione” (Ap 5, 9). Per i Pastori della Chiesa, uniti nell’amore per il Signore, le differenze non sono barriere che ostacolano quel portare “i pesi gli uni degli altri” che adempie alla “legge di Cristo” (Gal 6, 2). Essi sono doni da condividere nella reciproca sollecitudine e nel reciproco servizio, per l’arricchimento e l’edificazione comuni.
Il compito dei Pastori “di promuovere l’attività missionaria, dirigerla, e coordinarla” (Ad gentes, 3) esige che prestiate una particolare attenzione alla sana formazione del clero, alla promozione della vita religiosa e alla preparazione completa dei catechisti (cf. Ivi, 16-18). Nel preparare questi messaggeri del Vangelo, non dobbiamo mai perdere di vista il fatto che senza santità di vita le doti e le qualità dedicate ad annunciare il Regno dei Cieli daranno scarsi risultati. A questo proposito il celibato e la verginità dei sacerdoti e dei religiosi e la casta vita coniugale dei diaconi e dei capi laici acquistano un particolare significato. La temperanza e la purezza di vita sono segni potenti del fatto che nel Mistero Pasquale l’uomo vecchio con le sue vecchie azioni è stato eliminato (cf. Col 3, 9), ed è stato acquisito un nuovo stile di vita (cf. Ef 4, 24).
4. Certamente, se non si può fare la stessa analisi della situazione per ognuna della società nelle quali i membri delle vostre Chiese particolari vivono la loro condizione di battezzati, è perché le nazioni insulari del Pacifico stanno assistendo a una profonda trasformazione del loro modo di vivere. Durante gli anni trascorsi dopo l’indipendenza, la parte più grande di responsabilità assunta da tutti nell’insieme delle attività politiche ed economiche ha inevitabilmente influito sulle strutture sociali. I popoli del Pacifico, come pure altri popoli nei Paesi in via di sviluppo, si trovano ormai dinanzi alla grande sfida di raggiungere un modello di sviluppo che protegga e rafforzi i migliori valori tradizionali della loro vita in comune.
In questi campi, come in tutti i “diversi campi in cui uomini e donne dispiegano le loro attività, in cerca della felicità, pur sempre relativa, che è possibile in questo mondo”, la Chiesa “dà il suo primo contributo alla soluzione dell’urgente problema dello sviluppo, quando proclama la verità su Cristo, su se stessa e sull’uomo, applicandola a una situazione concreta” (Sollicitudo rei socialis, 41). A imitazione di Cristo che provava compassione vedendo la folla (cf. Mc 6, 34), dobbiamo continuare a proclamare in ogni occasione opportuna e non (cf. 2 Tm 4, 2) che tutto il sistema economico e sociale deve essere messo al servizio della persona umana, rafforzando la solidarietà fra i popoli, assicurando una prudente gestione delle risorse naturali e difendendo l’ambiente da ogni forma di inquinamento (cf. Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 1990, n. 12).
L’autentico progresso dei popoli è di ordine morale: esso “non deriva primariamente né dal denaro, né dagli aiuti materiali, né dalle strutture tecniche, bensì dalla formazione delle coscienze, dalla maturazione delle mentalità e dei costumi” (Redemptoris missio, 58). A questo proposito, spero che la recente Enciclica Veritatis splendor, con la sua riflessione sui principi fondamentali della morale, aiuti voi, come anche tutti coloro che insegnano sotto la vostra autorità, ad apportare un contributo significativo per il rafforzamento del tessuto sociale delle vostre nazioni. La Chiesa offre ai popoli del Pacifico, come a tutti i popoli del mondo, la certezza che esiste una verità eterna in funzione della quale tutti gli atti umani possono essere giudicati. Dal momento che questa verità può essere conosciuta, le persone e le società sono responsabili dei loro atti. L’edificazione di una società veramente degna della persona umana non scaturisce da processi deterministici o da scelte aleatorie, ma dagli atti liberi di uomini e di donne che cercano ciò che è buono, vero e giusto.
5. La priorità che date alla cura pastorale delle famiglie e della gioventù dimostra la vostra sollecitudine per coloro che sono sottoposti a pressioni particolari a causa dei mutamenti culturali che si stanno verificando nel Pacifico. Una catechesi sistematica e completa circa lo scopo dell’esistenza umana, la dignità della vita dal concepimento fino alla morte naturale, la santità della sessualità e dell’amore coniugale e la natura della vera felicità e della vera realizzazione, è una tutela contro gli eccessi di una cultura materialistica e consumistica. Come ho scritto nell’Enciclica Centesimus annus: “Non è male desiderare di vivere bene; ...è sbagliato lo stile di vita (che) vuole avere di più, non per essere di più, ma per consumare l’esistenza in un godimento fine a se stesso. È necessario, perciò, adoperarsi per costruirsi stili di vita, nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune” (n. 36) determineranno le scelte delle persone. “Lo scudo della fede” in Cristo (1 Cor 1, 24), è una difesa sicura contro le forze che producono quel vuoto spirituale che spinge uomini e donne, in particolare fra i giovani, a un comportamento autodistruttivo e privo di speranza. A questo proposito, il successo delle associazioni e dei movimenti laici che sostengono i propri membri nella lotta per essere fedeli alla via di Cristo è un fattore da tener presente in tutta l’attività pastorale, in particolare alla luce della sempre maggiore proliferazione delle sette nella regione del Pacifico.
6. Amati fratelli, prego affinché il vostro pellegrinaggio alle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo vi dia nuova forza per il ministero apostolico, cosicché non vi stanchiate mai di predicare la parola di Dio, di celebrare i sacramenti, di condurre il gregge che vi è stato affidato e di cercare i peccatori che si sono smarriti. Mi unisco a voi nell’intercedere per la salvezza del vostro popolo, in particolare contro le tempeste tropicali, i terremoti e altri disastri naturali che sopraggiungono con tale frequenza e repentinità. Affido voi e il vostro clero, i religiosi e i laici, all’amorevole protezione di Nostra Signora Ausilio dei Cristiani e imparto la mia benedizione apostolica come supplica di grazia e pace in Gesù Cristo.
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