DISCORSO DEL CARD. ANGELO SODANO
A NOME DI GIOVANNI PAOLO II
IN OCCASIONE DELLA 29ª CONFERENZA DELLA FAO
(ROMA, 7-18 NOVEMBRE)*
Sabato, 8 novembre 1997
Signor Presidente,
Signor Direttore Generale,
Distinti Delegati ed Osservatori,
Signore e Signori,
Desidero in primo luogo ringraziare Lei, Signor Presidente, per avermi dato la parola dinanzi a questa qualificata assemblea che vede convenuti i Rappresentanti di tutti i Paesi del mondo, segno di una concreta universalità come pure di effettiva adesione intorno agli ideali che sin dalla istituzione animano la FAO.
A Lei Signor Direttore Generale va il mio sentito ringraziamento per l’accoglienza riservatami, ma soprattutto per aver consentito questo incontro al momento dell’apertura solenne della 29ª sessione della Conferenza della FAO.
Le parole che Ella ha appena pronunciato nell’illustrare alla Conferenza le linee d’azione dell’Organizzazione nel prossimo biennio, sono una garanzia di continuità in un'opera meritoria e un forte richiamo ai compiti ed alle responsabilità di ognuno.
1. Il saluto del Papa
Questa mia presenza si colloca nella consolidata tradizione che dal 1951, anno dell’arrivo della FAO a Roma, vede ad ogni Conferenza un incontro con il successore di Pietro.
Quest’anno, circostanze particolari non consentono al Papa di rinnovare personalmente l’incontro e di sostenere con la sua parola e il suo incoraggiamento gli sforzi che andate compiendo. Il Santo Padre mi ha quindi incaricato di portarvi il Suo saluto e di rinnovarvi la Sua stima.
A nome del Sommo Pontefice, vorrei poi offrirvi qualche spunto di riflessione, alla luce del Magistero della Chiesa.
2. L’impegno della FAO
Non vi è dubbio che attraverso la creazione della FAO la Comunità internazionale evidenzia il dovere di un’azione da compiere per raggiungere l’importante obiettivo di liberare tanti esseri umani dalla malnutrizione, dalla minaccia di sofferenza per fame.
Nel contempo l’azione anche recente intrapresa dall’Organizzazione ha segnato un'importante evoluzione, non solo concettuale, per la cultura delle relazioni internazionali. Questa è stata troppo spesso dimenticata, per lasciare spazio ad un pragmatismo privo di un solido fondamento etico-morale.
Nelle conclusioni del Vertice Mondiale sull’Alimentazione viene infatti sottolineato che la fame e la malnutrizione non sono fenomeni solo naturali o addirittura un male endemico di aree determinate. In realtà è piuttosto la risultante di una più complessa condizione di sottosviluppo, povertà, degrado. La fame dunque è parte di una situazione strutturale — economica, sociale, culturale — fortemente negativa per la piena realizzazione della dignità umana.
Una tale prospettiva è del resto sintetizzata dal Preambolo della Costituzione della FAO, che proclama l’impegno di ciascun Paese ad aumentare il proprio livello di nutrizione, a migliorare le condizioni dell’attività agricola e delle popolazioni rurali così da accrescere la produzione ed attivare un’efficace distribuzione degli alimenti in ogni parte del pianeta.
3. Il diritto alla nutrizione
Tra i primi diritti fondamentali dell’uomo si colloca giustamente il diritto alla nutrizione, che non solo è parte integrante del diritto alla vita proprio di ogni essere umano, ma oserei dire ne è una condizione essenziale.
Come dimenticare questa realtà nel momento in cui la Comunità internazionale si appresta a dare il dovuto risalto alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo a cinquant’anni dalla sua proclamazione? Gli impegni sottoscritti di recente nelle conclusioni del Vertice sull’Alimentazione poi, hanno giustamente individuato nel diritto alla sicurezza alimentare di popoli, gruppi e nazioni, la dimensione comunitaria di tale diritto fondamentale.
Dunque quello della FAO resta un obiettivo primario che oggi è diventato quanto mai necessario raggiungere. Resta un dato tangibile infatti che il sottosviluppo, la povertà e quindi la fame minando alla radice l’ordinaria convivenza di popoli e nazioni, possono diventare altrettante cause di tensioni e quindi minacciare la pace e la sicurezza internazionale.
Sono sotto i nostri occhi tristi situazioni nelle quali si muore per fame perché la pace è dimenticata e la sicurezza non garantita, o realtà in cui per sfamarsi gli uomini giungono a combattersi fino a dimenticare la propria umanità.
Anche il pane quotidiano per ogni uomo sulla terra, quel «Fiat panis» che la FAO ha voluto a suo motto, è strumento di pace, è garanzia di sicurezza. È questo l’obiettivo da raggiungere ed ai lavori di questa Conferenza è dato il compito di individuare le strade da percorrere.
4. L’esigenza della solidarietà
Dalla documentazione predisposta per i vostri lavori emerge un significativo elemento al quale mi sembra doveroso rivolgere l’attenzione: la realtà mondiale va modificata se si vuole garantire un’equilibrata attività agricola e quindi un’efficace lotta contro la fame. La situazione odierna, nel profilo economico-sociale, ci rende tutti consapevoli di quanto la fame e la malnutrizione di milioni di esseri umani siano il frutto di iniqui meccanismi della struttura economica, di ineguali criteri della distribuzione delle risorse e della produzione di politiche attuate esclusivamente a salvaguardia di interessi di parte o di forme differenti di protezionismo ristretti ad aree particolari.
Una realtà che se letta attraverso categorie di ordine morale, fa emergere il riferimento a certe impostazioni come l’utilitarismo o, ancor più radicalmente, l’egoismo e quindi alla negazione, nei fatti, del principio di solidarietà.
La solidarietà infatti è una scelta di vita che si attua nella piena libertà di chi dà e di chi riceve. Ma di una libertà autentica, capace cioè di realizzarsi spontaneamente perché pronta a cogliere i bisogni, a manifestare le necessità, a mostrare concrete possibilità di condivisione.
Realizzare in concreto la solidarietà nei rapporti internazionali richiede il superamento degli angusti limiti dettati da una limitata affermazione del principio di reciprocità che vuole a tutti i costi considerare sulla stesso piano Paesi resi invece diseguali da un differente grado di sviluppo umano, sociale ed economico.
5. Vi è cibo per tutti
Di un quadro così complesso è necessario comprendere le ragioni per poi modificare l’atteggiamento di ognuno di noi, anzitutto quello interiore. Se vogliamo che il mondo sia libero dalla fame e dalla malnutrizione, dobbiamo interrogarci sulle nostre convinzioni più profonde, su cosa ispira la nostra azione, su quanto il nostro talento sia messo a frutto del presente e del futuro della famiglia umana.
Molti sono infatti i paradossi che sorreggono le cause della fame, ad iniziare da quello «dell’abbondanza» (cfr Giovanni Paolo II, Discorso alla Conferenza Internazionale sulla Nutrizione, 5 dicembre 1992). Credo qui di interpretare anche i sentimenti di quanti si accostano alla vostra documentazione, in cui continua a destare non poca meraviglia il dato che attualmente la terra con i suoi frutti è in grado di nutrire gli abitanti del pianeta. Nonostante in singole regioni permangano oscillanti livelli della produzione e conseguentemente i parametri di sicurezza alimentare, a livello globale si produce a sufficienza. Perché allora di fronte ad una potenziale disponibilità sono molti quelli che soffrono la fame?
Le cause che ben conoscete, pur se diversificate, presentano alla radice una cultura dell’uomo privata di ragioni etiche e di fondamento morale che si riflette sull’impostazione delle relazioni internazionali e sui valori che dovrebbero guidarli. Nel recente Messaggio per la Giornata Mondiale per l’Alimentazione, lo scorso 16 ottobre, Giovanni Paolo II ha voluto sottolineare la priorità di costruire rapporti tra i popoli sulla base di un continuo «scambio di doni». Sostiene questo atteggiamento una concezione che pone la persona a fondamento e fine di ogni attività, la supremazia del dare sull’avere, una disponibilità all’aiuto o a politiche di assistenza, una condivisione della realtà di ogni nostro «prossimo»: persona, comunità, nazione. Sono quelle diverse componenti che sole possono ispirare una vera e fattiva «cultura del dare» che renda ogni Paese pronto a condividere i bisogni dell’altro (cfr Giovanni Paolo II, Discorso in occasione del 50° della FAO, 23 ottobre 1995).
6. La salvaguardia delle risorse
Per un’efficace lotta contro la fame non basta quindi puntare ad una corretta impostazione dei meccanismi di mercato o a raggiungere livelli di produzione sempre più elevati e funzionali. Occorre certamente dare un’adeguata collocazione al lavoro agricolo valorizzando sempre più le risorse umane che di tale attività sono i protagonisti, ma è necessario recuperare il vero senso della persona umana, la sua centralità quale fondamento ed obiettivo prioritario di ogni azione.
Un esempio concreto in tale prospettiva lo si trova nell’agenda dei lavori di questa Conferenza per l’attenzione rivolta alla questione ambientale intesa come salvaguardia dell'«ambiente umano ». Un’azione che vede la FAO impegnata nel contenere i danni dell’ecosistema agricolo, salvaguardandolo da fenomeni come la desertificazione e l’erosione o da un’attività umana sconsiderata. Come pure consentendo un più razionale e ridotto uso di sostanze fortemente inquinanti attraverso specifici «Codici di condotta» che appaiono efficace strumento accettato nelle politiche degli Stati membri.
La sfida del domani in questo delicato settore è data soprattutto dagli impegni assunti sul piano internazionale a difesa dell’ambiente naturale, che fanno risaltare il ruolo centrale della FAO nell’attuazione di molteplici dei programmi dell’«Action 21» di Rio de Janeiro e nella conservazione delle specie biologiche diverse.
Quest’ultimo profilo richiede un ulteriore sforzo, per assumere quella necessaria impostazione di ordine etico e concettuale nel ritenere che è una questione di giustizia internazionale quella della disponibilità comune del patrimonio genetico naturale.
La disponibilità delle risorse biologiche è dell’umanità, in quanto rientra nel suo patrimonio comune, come la FAO sottolineò nel 1983 adottando lo specifico «International Undertaking on Plant Genetic Resources».
Realizzare un’effettiva giustizia nelle relazioni tra i popoli significa essere coscienti della universale destinazione dei beni e che il criterio verso cui orientare la vita economica e quella internazionale resta una comunione dei beni stessi.
7. La collaborazione della Chiesa
In questo vostro sforzo la Chiesa cattolica vi è vicina. È quanto testimonia anche l’attenzione e il coinvolgimento con cui la Santa Sede, da parte sua, segue fin dal 1947 — sono ormai cinquant'anni — l’azione della FAO, prima tra le Organizzazioni intergovernative del Sistema delle Nazioni Unite con cui ha stabilito rapporti formali.
Nel proseguire la propria missione di diffondere la Buona Novella a tutte le genti la Chiesa non manca di ricordare l’invito di Cristo a chiedere al Padre che sta nei cieli il «pane quotidiano». Per questo è vicina alla realtà degli ultimi, dei dimenticati; come pure conosce la vita di quanti lavorano la terra con fatica e trepidazione, ed è pronta a sostenere l’iniziativa di coloro che operano per procurare a tutti gli uomini il pane quotidiano. Essi collaborano in un’azione che nel significato del messaggio cristiano diviene la prima tra le opere di misericordia, poiché metro dell’agire umano resta il pronto corrispondere all’«avevo fame» (Mt 25, 42).
Uno spunto che sembra accompagnare tutta l’azione della FAO, con uno sforzo giustamente realistico e allo stesso tempo serenamente ottimista. Come dimostra la vostra presenza e il vostro impegno, la FAO non sembra scoraggiarsi guardando i numerosi ostacoli sul suo cammino, né arrestarsi di fronte ad oggettive difficoltà, preferendo affrontarle.
La Chiesa, fedele al suo messaggio, non può che dare ampio risalto a questo spirito positivo, di servizio disinteressato, di ragionevole sfida, sorretto dalla fiducia nella possibilità di risolvere uno dei grandi problemi della famiglia umana.
Che Dio Onnipotente e ricco di misericordia, faccia scendere le grazie della Sua Benedizione sulle vostre Persone e sui vostri lavori. È questo l’augurio che sono incaricato di portare da parte di Sua Santità Giovanni Paolo II.
*L'Osservatore Romano 9.11.1997 p.4.
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