CAPPELLA PAPALE PER IL TERZO ANNIVERSARIO DELL'INCORONAZIONE
DEL SOMMO PONTEFICE
OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI XXIII*
Sabato, 4 novembre 1961
La celebrazione liturgica che qui vi aduna nel tempio massimo della cristianità — rappresentanti di molte nazioni della terra e di ogni ordine ecclesiastico e civile — si adorna di tre riferimenti di alta significazione. Innanzitutto, oggi stesso, il terzo anniversario della Nostra Coronazione, o come meglio suol dirsi nella locuzione antica, assumptionis Nostrae; al tocco del 25 corrente, il chiudersi dell'anno ottantesimo della Nostra umile vita; infine oggi stesso ancora, 4 novembre, la festiva solennità di S. Carlo Borromeo il cui nome, la cui vita, il cui culto rappresentano una sintesi stupenda dell'esercizio del ministero pastorale a glorificazione della vitalità della S. Chiesa, in trionfo del regno di Cristo nelle anime, nei secoli.
Venerabili Fratelli e diletti figli, sopra ciascuno di questi tre punti luminosi, vogliamo esporvi, in brevità ed in semplicità, alcuni pensieri a comune edificazione, a fervoroso incitamento di retto sentire, e di nobile, vigoroso operare.
I.
L'ANNIVERSARIO DELLA INCORONAZIONE
NEI RICORDI DI SAN LEONE MAGNO
Quanto al III anniversario dell'inizio del Nostro servizio pontificale, le circostanze di questo anno benedetto Ci pongono davanti ad una coincidenza, fino a queste ultime settimane inattesa e felicissima: cioè il compiersi 1'11 novembre, fra pochi giorni adunque, del decimoquinto centenario della morte gloriosa del papa S. Leone Magno: 461-1961.
Le proporzioni della grandezza di questo veramente eccelso fra i grandi Pontefici che si assisero sulla Cattedra apostolica, sono così vaste da sgomentare chiunque dei suoi successori amasse di accostarsi a lui.
Abbiamo pensato di rendergli omaggio, con uno speciale e diffuso documento, una Enciclica di imminente pubblicazione, che ne illustri in devota ammirazione i meriti preclari e caratteristici personali in faccia alla storia della S. Chiesa di tutti i secoli. Accanto alle sue gesta Pontificalia, S. Leone ha tanti insegnamenti da offrirci nelle sue omelie, e tanta esperienza sua da riferire nelle sue lettere, da infonderci coraggio a cogliere con umiltà e con rispetto qualche ispirazione anche alla Nostra parola per la solennità che stiamo celebrando, precisamente attingendola da quelle che egli ripetutamente pronunciò per cinque volte innanzi ai Romani del suo tempo, e verosimilmente dal Laterano, nella festa del Natale suo, in festo Natalis sui.
Oh ! nobili pensieri ! oh ! sante parole !
« Laudem Domini loquetur os meum [1], la mia lingua e il mio spirito benedicano al nome santo di lui ». Così comincia S. Leone nella festa del suo primo anniversario. E così il suo lontano successore riprende alla distanza di quindici secoli, da questa Cattedra apostolica, presso la tomba di S. Pietro, e a pochi passi dal prezioso altare votivo, dove giacciono le spoglie mortali di S. Leone, il primo e il più grande Pontefice, con quanti dello stesso nome furono onorati della ufficiale glorificazione di culto.
Diletti figli, arrossire per quanto piacque alla buona Provvidenza disporre della Nostra povera persona di umile servo dei servi del Signore, è ben naturale. Ma tacerne, proprio, beneficia tacere divina, non sarebbe segno di anima presuntuosa e sconoscente?
Lasciatecelo dunque dire anche con rossore: Dominus memor fuit nostri ... et ipse fecit nobis mirabilia solus [2].
É ben giusto che questa prima espressione della Nostra gratitudine si levi qui innanzi al Datore di ogni grazia e di ogni bene: Omnipotens et misericors Deus. Le meraviglie dell'Altissimo
Questo atto, che è soprattutto personale del Papa, nel cui spirito umile e devotissimo e nella cui sacra attività tutto vuol essere inteso primieramente alla salute ed alla grazia delle singole anime sparse nel mondo, di cui è universale Pastore, prende qui una significazione particolarmente vasta e solenne. Gliela conferisce la maestà di cui viene circondato dalla assistenza così nobile, cara e imponente, delle Rappresentanze ufficiali convenute da tutti i punti della terra. Perciò, se spetta al Papa dare la nota iniziale a questo « Te Deum » del terzo anniversario della sua Coronazione, appare bello, diviene commovente che a quel tocco il canto si allarghi e si distenda dalle voci di tutti i componenti il ceto ecclesiastico e di tutti gli inviati diplomatici ; si distenda, diciamo, come in accordo musicale di sentimento e di elevazione con le nazioni da loro qui rappresentate, e con tutto il resto del popolo cristiano. Questo spettacolo, che è vera gioia degli occhi ed esultanza dei cuori, è un richiamo del quam bonum et quam iucundum habitare fratres in unum del Salmo antico [3]: ed un saggio di quel in commune nobis omnibus pacis bonum [4], che S. Leone Magno, riferendosi agli ordinamenti della convivenza umana, affermava essere compito della Chiesa procurare con ogni sollecitudine e fervore, a beneficio delle singole nazioni, in esempio e ad incoraggiamento del mondo intero.
Lasciate, dunque, venerabili Fratelli nell'ordine sacro e diletti figli, che in nome di Cristo ci appartenete, lasciate che a distanza di quindici secoli da quando papa S. Leone Magno salì alla gloria celeste, Noi ripetiamo in eco e facciamo Nostre le sue elevazioni circa la dignità altissima di cui egli si sentiva onorato, come Noi, che vi parliamo, dello stesso incarico Ci sentiamo onoratissimi e confusi.
Al pensiero della grande missione conferitaCi di pascere il gregge universale di Cristo, certo la trepidazione è grande per le contratte responsabilità ; ma è pur lecito godere del dono. Chi Ci ha imposto il grave peso, il Signore benedetto, ipse est administrationis adiutor [5]; è lui che Ci deve bene sorreggere a sopportarlo con coscienza e con dignità. S. Leone Magno ce l'assicura con parole sue: Ne sub magnitudine gratiae succumbat infirmitas, dabit virtutem qui contulit dignitatem [6]. Oh ! che conforto ! anche solo a sentircelo ripetere. Perchè sotto il peso della responsabilità lo spirito debole o infermo non soccomba, il Signore Gesù, che Ci conferì l'onore e l'impegno, darà la forza di sostenerlo.
No: nessuno presuma di esser valido e perfetto : ma nessuno dubiti o diffidi della divina misericordia.
Motivi superni di incoraggiamento e letizia
Lo spettacolo che sta innanzi ai Nostri occhi — le altissime dignità dell'ordine Cardinalizio, lo stuolo venerando dei componenti il Corpo Episcopale, i figli e continuatori dei grandi Ordini e Congregazioni religiose, gli illustri personaggi preposti al governo o rappresentanti di numerosi popoli, la maestà imponente del clero e dei fedeli di ogni lingua, di ogni classe, di ogni nazionalità, partecipanti alla manifestazione di rispetto e di venerazione all'umile successore di S. Pietro, in questa ricorrenza del terzo anniversario ordinationis suae, permette a lui di ripetere il saluto che S. Leone Magno rivolse ai suoi, in eguale circostanza dei primi anni di quel suo Pontificato glorioso.
Confesso: si confesso — diceva lui — che tanta devozione intorno alla mia umile persona mi è motivo di molto gaudio spirituale. Contemplando la folla splendidissima — sono parole esatte — splendidissimam frequentiam dei miei venerabili consacerdoti, ho l'impressione che questo sia quasi un convegno di angeli e di santi, insieme associati in superna esaltazione.
È ben certo che questa nostra festività segna una diffusione abbondante di grazia celeste : come accade quando insieme sono riuniti e rutilanti di uno stesso chiarore tanti speciosissimi tabernacoli di Dio, tante membra preziose del Corpo di Cristo » [7].
Papa Leone Magno che così parla godette di un lungo Pontificato di oltre venti anni [8].
Dei discorsi per l'occasione dell'anniversario Natalis sui non se ne conoscono che cinque. Poche pagine invero, ma mirabili pagine di cui a voi non è sfuggito lo scintillio.
Oh ? veramente, questa terza celebrazione anniversaria del compito apostolico e pastorale che la bontà del Signore affidò alla Nostra vita verso l'ora del Nostro tramonto, basta ad incoraggiamento e a letizia Nostra personale, e resterà quale testimonianza e quale ricordo della devotissima e festosa vostra pietà verso il successore di Pietro.
Concedete, venerabili Fratelli e diletti figli, che alla dolcezza di questa testimonianza Noi associamo la preghiera che deve essere di tutti insieme, pastore e gregge, anziani e giovani, perchè la clementissima misericordia del Signore sempre infiammi il nostro fervore, fortifichi la nostra fede, accresca il nostro vicendevole amore, assicurando così il trionfo perfetto di quel donum pacis che, come S. Leone Magno non cessa di ripetere, costituisce la ragione attraente, persuasiva
sostanziale della floridezza e della tranquillità prosperosa e santa della Chiesa di Cristo, e dell'ordine sociale da Lei vivificato dei popoli delle nazioni.
E quanto a questo humilis servulus a cui fu affidato, a manifestazione di ricchezza inesauribile della grazia divina, l'onore di presiedere al governo della Chiesa universale, si degni Iddio onnipotente e misericordioso di rendere questo onore sufficiente a tanto impegno, e aperto alla edificazione e alla santificazione del mondo intero.
Tale è il voto che con tanta amabilità voi, Fratelli e figli, gli ripetete in questi giorni. Purché si adempia in gloriam Dei et ad bonum pacis, perchè non accettarlo?
Sì: ecco: l'humilis episcopus Ecclesiae Dei accetta, con grazia serena e benedicente, anche l'augurio di prolungamento della sua vita temporale: ma alla sola condizione espressa nelle parole dello stesso S. Leone Magno: ut proficiat devotioni quod fuerit largitum aetati [9].
III.
« AETAS LARGITUR UT DEVOTIONI PROFICIAT »
Ed eccoci all'augurio per il compiersi dell'anno ottantesimo di vita.
Queste stesse parole di San Leone, amiamo ripeterle, venerabili Fratelli e figli carissimi, ad espressione di augurio circa il secondo motivo dell'odierno e solenne convegno, cioè la celebrazione del Nostro ottantesimo di età e di vita.
La condizione dell'augurio è veramente ben posta e ben chiara: aetas largitur ut devotioni proficiat. Questa della longevità è una aspettazione nobile e sicura, perchè posta nelle mani di Dio, supremo e generoso largitone di tutto ciò che è ottimo e perfetto a beneficio dell'uomo, e della Chiesa santa sua.
La longevità è venerabile in se stessa: degna di rispetto in ogni tempo: ma soprattutto grande dono di Dio — donum Dei.
Come tale, diletti Fratelli e figli, voi la voleste oggi accogliere e festosamente salutare nella Nostra umile persona. Siate benedetti.
A riguardare indietro fin su, negli anni della innocenza, era Nostra delizia incontrarCi in questa venerabile senectus, sentirne le carezze, nella Nostra modesta casa natale e divenirne motivo di letizia presso ai Nostri genitori, agli avi di famiglia. Perdonate alla confidenza che vi facciamo. I Nostri genitori sorpassarono ambedue e di buona lena gli anni ottanta. Il nonno paterno Ci morì — e Noi l'assistemmo nel suo trapasso — a ottantanove anni. I quattro fratelli di lui si inerpicarono sulle sue tracce, chi sino a ottantotto, chi a ottantasette, a ottantasei e ottantacinque. Omnes vixerunt in pace longaeva: sepolti in senectute bona [10].
È da questi ricordi che prese inizio e nutrimento di venerabilità quanto si riferiva alla vita religiosa, al santuario delle Nostre famiglie, modeste, laboriose, timorate di Dio, e serene. Ci era edificante il sentir parlare del grande Pontefice Pio IX, defunto a ottantasei anni, di cui trentadue di Pontificato: più volte i Nostri occhi estasiati seguirono poi gli ultimi novantatre anni di Papa Leone, che stette come a guardia intrepida della Chiesa e del diritto cristiano sull'incontrarsi di due secoli. Il quarto precetto del Signore
Le genealogie della Bibbia non sono del resto la più classica esaltazione delle età venerabili dei Patriarchi, sui quali poggiava la sicurezza e la robustezza delle generazioni successive?
Alto rilievo in onore della longevità promessa all'uomo da Dio, balza
dal codice Mosaico su cui si fondano per il popolo eletto i rapporti dell'uomo con Dio e degli uomini tra di loro, i Dieci Comandamenti, in quel quarto precetto che è un monito solenne e grave che impone all'uomo il rispetto e l'obbedienza ai suoi genitori. Lo impone e lo esalta come a promesssa di longevità: « Honora patrem tuum et matrem tuam, ut sis longaevus super terram quam Dominus Deus dabit tibi ».
Fratelli e figli Nostri, è su questo comandamento che il consorzio umano si sostiene.
Pensate. Il sacerdozio stesso, anche conferito in giovani anni, non è ritenuto forse anch'esso consacrazione di longevità? Di fatto, chi ne è investito prende il posto suo nella successione genealogica recente delle varie famiglie, ma assume insieme la rappresentanza, innanzi all'altare del Signore, del popolo tutto intero.
È per questo che nel sacerdozio, anche sulle fronti dei giovani, prende presto tono e colore quella venerabilità, che è esaltazione di giovinezza perenne per ciò che è più sacro quaggiù nelle istituzioni domestiche e sociali, religiose e civili.
Di fatto l'ordine sociale, in tutti i campi, si avvale del contributo della giovinezza: in slancio di maturità — osservate bene — e di attività generosa e continuata: attingente dagli antichi quel succo vitale che è arte di governo, equilibrio prudente, misura attentissima del dire e dell'operare.
Il nome, il regno, la volontà di Dio
Ma occorre che vi diciamo che la sostanza preziosa di questa venerabile longevità a cui tutti i viventi aspirano, di fatto è grazia e privilegio di pochi. Essa ha il suo fondamento nella perfetta conformità della volontà dell'uomo alla santa volontà del Signore. Il grande poema della vita e della storia dell'uomo e della umanità intera è tutto risonante, e contenuto nella Dominicalis oratio: il Pater noster che Gesù è venuto dal cielo ad insegnarci, e che riassume — ancora vuolsi ripeterlo — tutta la filosofia della vita e della storia di ogni anima, di ogni gente, di ogni età, passata, presente, futura. Tutto è infatti là: il trionfo del nomen Dei, regnum Dei, voluntas Dei: e nell'ordine della vita umana il pane quotidiano dello spirito, e del corpo per tutti: il sentimento intimo e in ciascuno di umiltà personale, e di perdono fra noi, e di perdono di Dio padre sopra tutti e sopra ciascuno di noi, a perfetta libertà di pensiero e di vita, nella luce di Cristo e del suo Evangelium, a sicurezza di eterna felicità e di eterna benedizione.
Venerabili Fratelli e diletti figli, questo significa vivere sino ad ottanta anni, ed ultra, secondo i vostri voti : questo significa per la Nostra persona, tenersi fedele con fermezza e con amore alla volontà del Signore, secondo le varie e misteriose movenze della sua grazia e della sua misericordia sopra questo indignum famulum suum Ioannem, quem gregi suo universali, divina miseratione, praeesse voluit.
E pregate il Signore perchè Ci mantenga sempre così: ben disposti giorno per giorno a tutto. La venerabilis senectus Nostra anche protratta alcun poco, aetas largita, deve corrispondere alla edificazione universale del popolo cristiano: devotioni proficiat, secondo la parola di San Leone Magno. É commovente al Nostro spirito il constatare come questa espressione del gran Papa abbia un'eco, — quasi si sentissero sospirare insieme due grandi contemporanei a breve distanza di luogo e di tempo — nella voce già un po' stanca in vero, ma egualmente ardente e soave, di S. Martino di Tours, che ai suoi dava coraggio dal suo giaciglio: Si adhuc populo tuo sum necessarius, non recuso laborem: fiat voluntas tua.
Venerabili Fratelli e diletti figliuoli, restiamo sopra gli ultimi accenti di queste due grandi anime di santi e di pastori : S. Leone Magno e S. Martino di Tours.
I vostri voti per la Nostra longevità oltre gli ottant'anni Ci sono cari: e ve ne siamo gratissimi. Non recuso laborem, ma alla duplice condizione: quod aetas devotioni proficiat: et voluntas Dei semper fiat.
III.
L'ESEMPIO DI SAN CARLO BORROMEO
Ed ora una breve parola sopra il grande Santo, il grande Pastore della cui luce gloriosa splende e si avviva la liturgia della Chiesa universale di questo 4 novembre: S. Carlo Borromeo.
Nella solennità della Nostra Incoronazione di tre anni or sono volemmo introdotto ad invocazione sul nuovo Papa quel nome benedetto. Il sentir ripetere, sotto le volte della basilica Vaticana, quel Sancte Carole, tu illum adiuva, in accento di supplicazione per l'avviarsi del Nostro servizio pontificale, fu come un richiamo di altri ricordi intrecciati al nome di San Carlo, veneratissimo Cardinale della Santa Romana Chiesa, e Arcivescovo insigne della chiesa Mediolanense.
Sul suo altare, che nella cripta del duomo di Milano ne custodisce le spoglie gloriose, Noi deponemmo le Nostre confidenze di giovanetto seminarista, quando nel 1901 partivamo da Bergamo per proseguire gli studi al Seminario Romano. Su quello stesso altare celebrammo poi, nel 1904, la prima Messa in terra Lombarda, nel quarto giorno della Nostra Ordinazione sacerdotale.
Ritrovammo poi presto San Carlo nel voluminoso incarto della sua Visita Apostolica del 1575 a Bergamo; e sotto lo sguardo grave incoraggiante di quel Prefetto di allora degli Archivi arcivescovili di Milano, Monsignor Achille Ratti — oh? lasciateCi alla commozione di questo ricordo — Ci disponemmo a quella pubblicazione, che fu delizia e conforto, ed anche preziosissima ed amabile distrazione, di oltre cinquanta anni di umile servizio della diocesi Nostra natale e poi della Santa Sede.
Presso la preziosa reliquia del Cuore di San Carlo, nel tempio omonimo a Roma, sul Corso, Ci fu conferita la consacrazione episcopale. Potete ben credere che dai primi contatti della Nostra piccola anima con la fiamma viva di San Carlo, fino allo studio provvidenziale delle sue gesta pastorali e alla penetrazione del Nostro spirito, egli fu in passato e resta tuttora un punto di attrazione e di fascino, nel senso del servizio della Santa Chiesa e del popolo cristiano.
Dal Concilio di Trento al Vaticano II
In questo pervigilium del secondo Concilio Vaticano, come non pensare a San Carlo, così distinto nelle sollecitudini ansiose per la conclusione del Concilio di Trento; a quel suo mettersi in viaggio senza esitazione, da Roma verso Milano, per ottemperare con l'esempio alla applicazione immediata, esatta ed attenta, della nuova legislazione canonica?
Di fatto dal Concilio di Trento venne a lui l'ispirazione e il proposito ben deciso a celebrare i Concili Provinciali e i Sinodi Diocesani che, assieme alle Visite pastorali alla vastissima diocesi, restano saggi incomparabili di paterna sollecitudine, di giuridica dottrina, di perfetta corrispondenza alle necessità del tempo suo.
Ed è sollevando lo sguardo verso questo incontro riservatoCi dalla Provvidenza, che diviene ogni giorno più intenso per Noi lo studio degli esempi e degli ammonimenti saggi di San Carlo, quasi a trarne di là, come per la Nostra persona il 4 novembre 1958, così ora nella preparazione del Concilio Ecumenico Vaticano II, l'incoraggiamento all'immenso lavoro che Ci attende, e l'auspicio di una bene organizzata e generosa fusione di intelligenze e di buone disposizioni, destinate a dilatare subito la rinnovata grande seminagione evangelica, e ad assicurarne — non importa quando — il prodigioso raccolto che è nei disegni e negli altissimi segreti del Signore.
La vita di San Carlo sta racchiusa fra due termini molto prossimi fra loro: 1538-1584: quarantasei anni appena, poco più della metà degli ottanta della Nostra umile vita.
Antichi e perenni auspici
E naturale conchiuderne che su quella giovinezza ardente e laboriosissima Dio aveva deposto in soprabbondanza le virtù dell'età più venerabile e matura.
Ed oggi accostandosi alla figura del Santo ornai canonizzato da oltre 350 anni (1610) ed ascoltando, qui venutaCi da Milano, la voce del suo degnissimo e caro successore in quella sede illustre — ed anche qui invitato per felice coincidenza di ordinamenti rituali, alla celebrazione presieduta dal Papa, della odierna manifestazione liturgica, pare a Noi di poter dire che in realtà il Signore sceglie gli uomini e i sacerdoti suoi, e li plasma e se ne serve, a misura che da giovinetti o da anziani, null'altro si cerca, null'altro si brama che di compiere per omnia la santa volontà di Dio.
Venerabili Fratelli e figli carissimi.
In questo perenne richiamo alla volontà del Signore, Ci piace porre termine al Nostro colloquio riuscito di fatto più diffuso che non pensassimo.
L'anniversario della Coronazione del Pontefice era motivo di festa per il popolo cristiano, dai tempi più lontani. Sant'Agostino lo constatava con compiacenza: Ad laetitiam venistis: Natalis hodie episcopi dicitur.
Ebbene invochiamo San Carlo ed invitiamolo a radunare accanto a noi, e presso questo altare della Confessione di San Pietro, i Santi tutti del Cielo e della terra: Apostoli, Martiri, Dottori, Confessori, Vergini sacre ed anime di fratelli e figli nostri immolate al sacrificio ed all'apostolato per Cristo, per la verità, per la libertà, per la giustizia. Sovente il gemito di molti di loro arriva da lontano al Nostro cuore e lo strazia. Più sanguinoso Ci è, più mesto e triste il pensiero del sacrificio di tanti ignoti, che neppure riescono a svelare il loro misterioso martirio.
Venerabile Fratello, successore di San Carlo, riprendete il sacro rito che raccoglie le voci in tono di fiducia o di dolore di quanti spiritualmente qui assistono intorno al Papa da tutti i punti del mondo.
Nelle antiche formule per l'anniversario della incoronazione del Pontefice, i tre Cardinali Vescovi di Albano, di Porto e di Ostia, ciascuno con la sua intenzione, rappresentava tre grazie speciali implorate per il Papa.
Il Vescovo di Albano: ut Pontifex sentiat tuo munere, Domine, ad hunc apicem pervenisse.
Il Vescovo di Porto pregava perchè il Papa in capite ecclesiarum nostrae servitutis ministerio constitutus Domini virtutis soliditate roboretur.
Il Vescovo di Ostia pregava più diffusamente perchè il Papa, trasferito da umile cattedra al trono del Principe degli Apostoli, nell'incremento di tanta dignità, sia così accumulato dai meriti suoi virtuosi, da sopportare ecclesiasticae universitatis onus e da tenersi con tanta nobiltà che gli valga premio e beatitudine della terra e del cielo.
E così sia, e così sia per Noi e per voi, padre e figli, in augurio rinnovato di perfetto abbandono in Dio, e di lietissima pace e benedizione.
* A.A.S. vol. LIII, 1961, pp. 760-770.
[1] De nat. ipsius, Serm. I: Migne, PL 54, 141.
[2] Ibid. col. 141.
[3] 132,1.
[4] Loc. cit. PL 54, 142.
[5] Serm. II, 1: PL 54, 143.
[6] Ibid. col. 143.
[7] Ibid. cap. 2: PL 54, 143.
[8] 440-461.
[9] Ibid. col. 144. t
[10] Cfr. Gen. XV, 15.
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