DISCORSO DEL SANTO PADRE GIOVANNI XXIII
AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO
DEI REVISORI ECCLESIASTICI,
APPARTENENTI AL CLERO DIOCESANO
E AL CLERO RELIGIOSO*
Mercoledì 18 novembre 1959
Siamo lieti di darvi il più affettuoso benvenuto, diletti figli addetti alla previa revisione dei libri, che col presente incontro Romano avete voluto concludere il vostro Convegno. Salutiamo in voi una eletta schiera di sacerdoti studiosi, cui è affidato un incarico assai delicato, e che pertanto vogliono distinguersi per una amabile fusione di provate virtù. Non per nulla il Codice di Diritto Canonico vi vuole aetate, eruditione, prudentia commendati [1]: e da tale definizione Ci è gradito trarre motivo per esprimervi il Nostro fervido apprezzamento.
Nell'ambito del libro voi svolgete infatti un'opera paziente, silenziosa ed equilibrata, in aiuto e alle dipendenze dei vostri Ordinari, sulla cui coscienza ricade in primo luogo la responsabilità di custodire, difendere, diffondere la sana dottrina. Di fatto questo lavoro è diretto alla scoperta dei genuini valori umani e cristiani, ed alla ferma e leale riprovazione di errori e di atteggiamenti perniciosi.
La vostra opera è per voi causa di dura fatica e di continuo assillo: non soltanto perchè essa esige sacrificio di tempo, e anche logorìo di energie fisiche; ma soprattutto perchè una pesante responsabilità grava sul vostro lavoro, e vi accompagna come un vivace stimolo, ricordandovi il numero delle coscienze che si affidano al giudizio dell'Autorità Ecclesiastica, per trarne una regola morale, ed un sicuro criterio cui uniformarsi. La missione che svolgete è, sotto questo aspetto, di altissimo valore, perchè partecipe delle materne sollecitudini della Chiesa nel guidare ed istruire i propri figli nella conoscenza della verità, e nel difenderli da ogni pericolo.
Già il Nostro Predecessore Pio XII di ven. mem., nella Udienza accordata nel febbraio 1956 agli Ecclesiastici addetti alla recensione del libro, ebbe a definire la loro posizione di collaboratori della Chiesa in opus ministerii [2], dicendo testualmente: « in ciascuno di voi Ci pare di riconoscere un valido e fido cooperatore del Nostro ministero pastorale » [3]. Queste parole tanto più debbono dirsi di voi, che dovete essere preziosi strumenti e fidi collaboratori dei vostri Ordinari, e quindi della autorità. ecclesiastica, al servizio della verità, per la salvaguardia del patrimonio di fede e di morale, che deve essere tramandato intatto alle generazioni che verranno.
Nel campo in cui si svolge la vostra attività c'è stato in questi anni un incessante progresso, che può venire riguardato con sereno apprezzamento, pur nel doveroso rilievo dei difetti in cui si può incorrere.
Diletti figli!
Qual'è il vostro dovere in tale situazione, in cui si ha una contrapposizione così rilevata di luci e di ombre? Non Ci sfuggono le difficoltà che spesso possono disorientarvi o scoraggiarvi nel vostro lavoro. Ma se da una parte è per voi pericoloso lasciarvi abbattere dalla considerazione degli aspetti meno consolanti, dall'altra non sarebbe meno dannoso abbandonarvi ad un facile ottimismo, che potrebbe portare a pericolosi accomodamenti e transazioni, con rischio di danneggiare il sacro deposito della dottrina, e le anime dei fedeli.
Vi è dunque necessario un sano realismo, che non dimentichi la condizione dell'umana natura ferita dal peccato originale; ma esso non va disgiunto da uno slancio apostolico, dettato da profondo zelo, ricordando quanto è stato detto del Divin Salvatore: « Egli non romperà la canna scheggiata, né smorzerà il lucignolo fumigante, finché non conduca a vittoria la giustizia [4].
Il Revisore ecclesiastico non dovrà pertanto lasciarsi portare a quella intransigente durezza, che abbatte ma non riedifica, scoraggia ma non rianima, addolora ma non ad poenitentiam; egli eviterà altresì ogni facilità e corrività di giudizio, affinché la sua opera si distingua sempre per intelligenza, sensibilità e perspicacia, nella chiara visione dei propri compiti, per il fedele servizio dell'autorità ecclesiastica. A questo proposito è utile ricordare che l'accennato canone esige dai censori ecclesiastici che in doctrinis probandis improbandisque medio tutoque itinere eant. La vostra opera dovrà quindi essere costantemente ispirata ad un retto equilibrio, per indicare fermamente ed amabilmente le vie della giustizia.
Queste caratteristiche si compendiano in una nota massima, attribuita a diversi autori, ma non per questo meno preziosa e utile. L'abbiamo ricordata nella Nostra prima Enciclica, e pensiamo che opportunamente si adatti anche al vostro lavoro: In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas.
Questa unità trae la sua ragione dall'inviolabile santità della religione, che si deve sostenere e difendere contro ogni mutevole moda del tempo e ogni infido ondeggiamento di pensiero: essa è perciò garanzia di ordine e di sicurezza, ma al tempo stesso comunica una, forza meravigliosa e invincibile alle nostre intraprese.
Ispirandosi a tale dovere di unità, il Revisore ecclesiastico dovrà anzitutto possedere, nei limiti del possibile, una conoscenza approfondita della Teologia e della Morale cattolica, della Patristica e della Tradizione ecclesiastica, dell'insegnamento Pontificio: e attenervisi conseguentemente nella applicazione ai casi concreti, con serietà, disciplina e scrupolosità, mirando alla tutela del bene comune: si eviterà così una diversità di giudizio, che potrebbe portare a confusioni e disorientamenti pericolosi.
La accennata libertà è poi quella che si affida alla coscienza e al buon senso del Revisore, alla sua maturità di giudizio e prontezza di orientamento: in un campo così vario ed elastico, qual'è dato dalla produzione culturale e letteraria, ove si presentano, rivestiti dalla lucentezza della forma artistica, i casi più diversi e impreveduti dell'esistenza umana, è assai importante sapersi muovere con facilità, non soltanto per individuare gli aspetti positivi, e sottolineare i negativi, ma altresì per orientarsi saggiamente nell'esame di quanto sfugge ad una più precisa presa di posizione dottrinale o morale.
Infine, ma sopra ogni cosa, la carità, virtù regina nella quale si compendiano l'insegnamento e la pratica della Legge [5]: essa preserva il giudizio dal pericolo di freddezza e di disprezzo, come pure ne tempera. la eventuale severità con la soave delicatezza, che ispira negli animi. Anche per il vostro lavoro trovano dunque piena attuazione le caratteristiche attribuite da San Paolo a questa virtù, nell'immortale elogio: « La carità è paziente, è benefica: non astiosa, non è insolente, non sì gonfia... non si muove ad ira, non pensa male, non gode dell'iniquità, ma si rallegra del godimento della verità » [6]. La carità, a cui voi vi ispirate, non farà certamente velo all'amore per la verità: sicché anche qui vi può essere di sicuro orientamento l'esortazione paolina: Veritatem facientes in caritate [7].
Questi, diletti figli, sono i pensieri e le esortazioni che, pensando a questa Udienza, Ci sono sgorgati dall'animo, e che così semplicemente vi abbiamo voluto comunicare. Siamo certi che voi già ve ne ispirate e che, riconfermati nei vostri propositi, ne trarrete rinnovato conforto a continuare con serenità e prudenza nel vostro arduo e delicato lavoro.
Noi vi accompagnamo con la Nostra preghiera assidua, con cui invochiamo dal Cielo lumi copiosi e continui su le vostre menti e su le vostre fatiche. Ed augurandovi di trarre dal vostro Convegno ogni auspicato frutto per le vostre future attività, in pegno dei divini favori vi impartiamo la Nostra paterna, propiziatrice Benedizione Apostolica.
* AAS. vol. LI, 1959, pp. 867-870.
[1] Can. 1393, par. 3.
[2] Eph. 4, 12.
[3] A. A. S., XLVIII (1956), p. 127 - Discorsi e Radiomessaggi, XVII, 1955-56, p. 515.
[4] Matth. 12, 20; cfr. Is. 42, 3.
[5] Cfr. Rom. 13, 8.
[6] 1 Cor. 13, 4-6.
[7] Eph. 4,15.
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