LEONE XIII
EPISTOLA
DA GRAVE SVENTURA
Il Papa Leone XIII. Al Signor Cardinale Lorenzo Nina, nuovo Segretario di Stato.
Signor Cardinale, da grave sventura fu colpito e di vivo cordoglio ricolmo l’animo Nostro per l’inopinata morte del Cardinale Alessandro Franchi, Nostro Segretario di Stato. Chiamato a così alto ufficio per la fiducia che Ci avevano di lui ispirato le non comuni sue doti di mente e di cuore ed i lunghi servigi da lui prestati alla Chiesa, seppe corrispondere così pienamente alla Nostra aspettazione nel breve tempo che lo avemmo al fianco, che la sua memoria non si cancellerà mai dalla Nostra mente, e presso i posteri, come tra i presenti, resterà caro e benedetto il suo nome.
Ma poiché piacque al Signore di sottoporci a questa prova, Noi, adorati con animo sommesso i divini consigli, rivolgemmo tosto tutti i Nostri pensieri alla scelta del Successore, e fissammo gli occhi sopra di Lei, signor Cardinale, di cui Ci era ben nota la molta perizia nel maneggio degli affari, la fermezza dei propositi, lo spirito di generoso sacrificio, onde è animata in pro della Chiesa.
Ci parve tuttavia opportuno nell’intraprendere l’esercizio della nuova carica dirigerle la presente lettera per aprirle la Nostra mente sopra alcuni rilevantissimi punti, ai quali dovranno in particolar modo essere rivolte le incessanti sue cure.
Già fin dai primi giorni del Nostro Pontificato, dall’altezza dell’Apostolico Seggio volgemmo i Nostri sguardi sulla presente società per conoscerne le condizioni, per indagarne i bisogni, ed arrivare ai rimedi. E sin d’allora nella Lettera Enciclica scritta a tutti i Venerabili Fratelli nell’Episcopato deplorammo lo scadimento delle verità non pure soprannaturali conosciute per fede, ma naturali altresì sia speculative sia pratiche, la prevalenza di funestissimi errori, ed il gravissimo pericolo che corre la società per i disordini sempre crescenti, ond’è sconvolta. Dicemmo cagione potissima di tanta rovina essere una proclamata separazione e la tentata apostasia della presente società da Cristo e dalla sua Chiesa, nella quale sola è virtù che basti a ristorarne i gravissimi danni. Alla luce sfolgorante dei fatti, mostrammo allora che la Chiesa fondata da Cristo per rinnovare il mondo, fin dalla sua prima comparsa in mezzo ad esso, incominciò a fargli sentire grande conforto della sua virtù sovrumana, e che nelle epoche più tenebrose e funeste fu il solo faro che additava la via sicura, il solo rifugio che prometteva tranquillità e salvezza. Da ciò era facile inferire che, se nei tempi che furono la Chiesa valse a spargere sulla terra benefìci così segnalati, lo può senza fallo anche al presente: ché la Chiesa, come tiene per fede ogni cattolico, animata sempre dallo spirito di Gesù Cristo, il quale le promise l’immanchevole sua assistenza, fu costituita maestra di verità e custode di una legge santa ed immacolata, e come tale possiede anche oggidì tutta la forza per opporsi al guasto intellettuale e morale che ammorba la società, e richiamarla a salute. E poiché nemici scaltrissimi, per metterla in mala vista e inimicarle il mondo, vanno spargendo gravi calunnie contro di essa, Noi Ci facemmo sin dalle prime a dissipare i pregiudizi e a sventare le accuse, certi che i popoli, conosciuta la Chiesa qual è realmente e la sua benigna natura, sarebbero da ogni parte tornati volonterosi al seno di Lei.
Guidati da tali intendimenti volemmo far sentire la Nostra voce a quelli altresì che reggono le sorti delle nazioni, invitandoli caldamente a non rifiutare, in questi tempi che così stringe il bisogno, il validissimo appoggio che loro offre la Chiesa. E spinti dall’Apostolica carità Ci rivolgemmo anche a coloro, che non sono a Noi uniti col vincolo della religione cattolica, desiderosi che anche i loro sudditi sperimentino i benèfici influssi di questa divina istituzione.
Ella ben sa, Signor Cardinale, che per assecondare questi impulsi del Nostro cuore dirigemmo la parola anche al potente Imperatore dell’illustre nazione Germanica, la quale, per le difficili condizioni fatte ai cattolici, richiamava in modo particolare la nostra sollecitudine. Quella parola ispirata unicamente dalla brama di vedere ridonata la pace religiosa alla Germania venne accolta favorevolmente dall’Augusto Imperatore e sortì il buon effetto di condurre ad amichevoli trattative: nelle quali non fu Nostro intendimento di addivenire ad una semplice tregua che lascerebbe aperta la via a nuovi conflitti; ma di stringere, rimossi gli ostacoli, una pace vera, solida e duratura. L’importanza di questo scopo, giustamente apprezzata dall’alto senno di coloro che hanno in mano i destini di quell’Impero, li condurrà, ne abbiamo fiducia, a darci amica la mano per conseguirlo. Se ne allieterebbe senza dubbio la Chiesa per vedere in quella nobile nazione ristabilita la pace; ma non meno se ne allieterebbe l’Impero che, pacificate le coscienze, troverebbe, come altre volte, nei figli della Chiesa Cattolica i sudditi più fedeli e più generosi.
Neppure potevano sfuggire alla Nostra paterna vigilanza le contrade dell’Oriente, nelle quali i gravissimi avvenimenti, che vi si vanno svolgendo, preparano forse un migliore avvenire agli interessi della Religione. Nulla da parte della Sede Apostolica sarà omesso per favorirli; e Ci sorride la speranza che le illustri Chiese di quelle regioni tornino finalmente a vivere di vita feconda, e a brillare dell’antico splendore.
Questi brevi cenni le rivelano abbastanza, signor Cardinale, il Nostro disegno di portare largamente l’azione benefica della Chiesa e del Papato in mezzo a tutta quanta l’odierna società: è necessario che anch’Ella metta tutti i suoi lumi e tutta la sua operosità per mandare ad effetto questo disegno che Iddio Ci pose nel cuore.
Oltre a ciò dovrà rivolgere la sua più seria attenzione sopra un altro punto di altissima importanza, cioè sopra la difficilissima condizione creata al Capo della Chiesa in Italia ed a Roma, dopo che fu spogliato del temporale dominio, che la Provvidenza da tanti secoli gli aveva concesso a tutelare la libertà del suo spirituale potere. Non vogliamo qui fermarci a riflettere che la violazione delle ragioni più sacrosante della Sede Apostolica e del Romano Pontefice è fatale anche al benessere e alla tranquillità dei popoli, nei quali, al vedere i più antichi e i più sacri diritti impunemente violati nella stessa Persona del Vicario di Cristo, resta profondamente scossa l’idea del dovere e della giustizia; viene meno il rispetto alle leggi e si giunge a rovesciare le stesse basi della civile convivenza. Neppure intendiamo intrattenerla a considerare che i cattolici dei diversi Stati non potranno mai essere tranquilli, finché il loro Pontefice Sommo, il Maestro della loro fede, il Moderatore delle loro coscienze non sia circondato di libertà vera e di reale indipendenza. Non possiamo però dispensarci dall’osservare che mentre il Nostro spirituale potere, per la sua divina origine e sovrumana destinazione, e per esercitare la sua benefica influenza a favore dell’umano consorzio, è necessario che goda di pienissima libertà, per le presenti condizioni invece resta così impedito che Ci diviene difficilissimo il governo della Chiesa universale. La cosa è notoria e confermata da fatti quotidiani. Le solenni doglianze mosse dal Nostro Antecessore Pio IX di f.m. nella memoranda Allocuzione Concistoriale del 12 marzo 1877, possono ad uguale ragione ripetersi anche da Noi, con la giunta di altre non lievi, per i nuovi ostacoli frapposti all’esercizio del Nostro supremo potere. Per fermo non solo dobbiamo lamentare, come l’illustre Nostro Antecessore, la soppressione dei Religiosi, che toglie al Pontefice un valido aiuto nelle Congregazioni ove si trattano i più rilevanti affari della Chiesa: non pure dobbiamo dolerci che si tolgano al culto divino i ministri con la legge sopra il reclutamento militare, la quale tutti indistintamente costringe al servizio delle armi; che vengano sottratte a Noi ed al Clero le istituzioni di carità e di beneficenza erette in Roma o dai Romani Pontefici, o dalle cattoliche nazioni, che le posero sotto la vigilanza della Chiesa; non pure con immensa amarezza del Nostro cuore di Padre e di Pastore, siamo costretti a vedere sotto i Nostri occhi i progressi dell’eresia in questa stessa città di Roma, centro della cattolica Religione, ove impunemente templi e scuole eterodosse s’innalzano in gran numero, ed a scorgere il pervertimento che ne consegue, specialmente di tanta parte di gioventù, alla quale viene propinata un’istruzione scredente; ma, come se tutto ciò fosse poco, si tenta di render vani gli atti stessi della Nostra spirituale giurisdizione.
Le è ben noto, signor Cardinale, come dopo l’occupazione di Roma, al fine di tranquillizzare in parte le coscienze dei cattolici altamente preoccupati della sorte del loro Capo, con pubbliche e solenni dichiarazioni, si protestò di voler lasciare in piena libertà del Pontefice la nomina dei Vescovi alle diverse Sedi d’Italia. Ma poi sotto i pretesto che gli atti della loro canonica istituzione non venivano sottoposti al placito governativo, non solo furono negate ai novelli investiti le rendite delle loro mense, cagionando così un gravissimo dispendio alla Sede Apostolica costretta a provvedere al loro sostentamento; ma con gravissimo danno delle anime alle loro cure affidate, neppure si vollero riconoscere gli atti di episcopale giurisdizione da loro emanati, quali sono le nomine alle parrocchie e ad altri ecclesiastici benefici. E quando, per ovviare a questi mali gravissimi, fu dalla Sede Apostolica tollerato che i Vescovi d’Italia nuovamente eletti presentassero le Bolle di nomina e d’istituzione avvenuta secondo i canoni, non per questo divenne più tollerabile la condizione della Chiesa; ché nonostante la presentazione voluta, a molti Vescovi per vani motivi si continuò a negare le rendite e a disconoscere la giurisdizione. Quelli poi che possono conseguire l’intento veggono le loro domande rimesse dall’uno all’altro ufficio e assoggettate a lunghissimi indugi: e uomini rispettabili, per virtù e dottrina distinti, giudicati dal Pontefice degni di occupare i primi gradi dell’ecclesiastica gerarchia, sono costretti a subire l’umiliazione di vedersi sottoposti a segrete e minutissime inquisizioni, a guisa di gente sospetta e volgare. Lo stesso Venerabile Fratello da Noi destinato ad amministrare in nome Nostro la Chiesa Perugina, quantunque già preposto al governo di un’altra Diocesi, e in essa legalmente riconosciuto, dopo lungo tempo attende ancora invano una risposta. Così con infelice astuzia si toglie alla Chiesa con la mano sinistra quello che per ragioni politiche si finse di darle con la diritta.
A rendere più grave lo stato delle cose, per non poche Diocesi d’Italia si vollero recentemente mettere in campo i diritti di regio patronato con pretensioni così esagerate e con sì odiose misure, che al Venerabile Nostro Fratello l’Arcivescovo di Chieti con giudiziale intimazione non solo si contrasta la giurisdizione, ma inoltre si dichiara irrita la sua nomina, e si disconosce lo stesso suo carattere episcopale.
Non è Nostra mente fermarci a mostrare l’insussistenza di tali diritti, che d’altronde viene riconosciuta da molti anche della parte avversa. Ci basta solo di ricordare, che la Sede Apostolica, alla quale è riservata la provvista dei Vescovati, non fu solita concedere il diritto di patronato se non a quei Principi che molto bene avessero meritato della Chiesa, sostenendone le ragioni, favorendone l’ampliamento, accrescendone il patrimonio; e che quelli che la combattono impugnandone i diritti, appropriandosene le sostanze, addivengono per ciò solo incapaci, secondo i canoni, di esercitarlo.
I fatti che abbiamo finora toccato, evidentemente accennano al proposito di continuare in Italia un sistema di sempre crescente ostilità verso la Chiesa, e mostrano ben chiaro qual sorta di libertà le sia riservata, e di qual rispetto si voglia circondare il capo della Religione Cattolica.
In questa condizione di cose così deplorevole, non ignoriamo, signor Cardinale, i sacri doveri che C’impone l’Apostolico Ministero; e con gli occhi fissi in Cielo, con l’animo confortato dalla certa speranza del divino aiuto, Ci studieremo di non fallirvi giammai. Ella poi, che dalla Nostra fiducia fu chiamata a parte delle Nostre altissime cure, rechi, come l’illustre suo Antecessore, all’adempimento dei Nostri disegni il concorso della sua ferma ed intelligente operosità, certa che non le verrà mai meno la Nostra assistenza.
Intanto come pegno del Nostro particolare affetto riceva l’Apostolica Benedizione che dall’intimo del cuore le impartiamo.
Dal Vaticano, 27 agosto 1878.
LEONE PP. XIII
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