LEONE XIII
EPISTOLA
CI SIAMO GRANDEMENTE
Agli Arcivescovi e ai Vescovi delle Province ecclesiastiche di Torino, Vercelli e Genova.
Il Papa Leone XIII. Venerabili Fratelli.
Ci siamo grandemente compiaciuti della Vostra pastorale sollecitudine, Venerabili Fratelli, nel prendere alacremente la difesa del matrimonio cristiano, ora che viene minacciato da un nuovo sfregio con la promulgazione di un penale interdetto contro la religiosa celebrazione del medesimo. Ben ricordiamo come Voi stessi, e generalmente tutto l’Episcopato italiano, sentitamente protestate, anche in passato, contro proposte di simil fatta che andavano a ferire la dignità e la libertà del connubio cristiano. Ma ora Voi, raddoppiando gli sforzi per scongiurare dalla cattolica Italia questa nuova sciagura, rinnovaste le Vostre rimostranze ed autorevoli richiami: e quantunque questi non abbiano sin qui altro effetto ed altro onore che quello di un’arida menzione, condannati poi all’archivio senza lettura e senza esame, non è per questo men degna di essere da Noi commendata l’opera Vostra per avere opportunamente proclamata la verità cattolica al cospetto anche di quelli che, decisi di battere la via dell’errore ad ogni costo, schifano la voce amica che alla verità li richiama.
Del resto ben a ragione, Venerabili Fratelli, lamentavate come funesta alla religione e alla morale una riforma di tal fatta, che dopo aver tolto ogni valore giuridico al cristiano matrimonio, ne inceppa la celebrazione e la sottopone con penali sanzioni alle esigenze di un procedimento civile. Conviene sconoscere i principii fondamentali del Cristianesimo, e diremo anche le nozioni elementari del naturale diritto, per affermare che il matrimonio sia una creazione dello Stato, e niente più che un volgare contratto e un sociale consorzio, tutto di ragione civile. La connubiale unione non è opera o invenzione dell’uomo: Iddio stesso, supremo Autore della natura, sin dalle prime con detta unione ordinò la propagazione del genere umano e la costituzione della famiglia: e nella legge di grazia, la volle di più nobilitare con imprimerle il divino suggello del Sacramento. Ondeché il matrimonio per giure cristiano, in quanto concerne la sostanza e santità del vincolo, è un atto essenzialmente sacro e religioso, il cui ordinamento naturalmente appartiene alla potestà religiosa, non per delegazione dello Stato, o per assenso di Principi, ma per mandato del divin Fondatore del Cristianesimo e Autore dei Sacramenti.
Voi ben sapete peraltro, Venerabili Fratelli, come per coonestare le intrusioni del potere civile nella legislazione cristiana del matrimonio, pongasi in campo, qual portato del moderno progresso, il concetto della dissociazione del contratto dal Sacramento; sicché consideratolo isolatamente come contratto, lo si vuole in tutto assoggettare alla signoria dello Stato, lasciando alla Chiesa la sola ingerenza di una rituale benedizione. Ad accreditare poi simile teorica si ricorre all’autorità di codici stranieri, e al fatto di qualche nazione cattolica, presso cui il matrimonio è oggidì governato da una legislazione al tutto civile e laicale.
Ma checché dicano giuristi acattolici o ligi all’autocrazia dello Stato, egli è certo che la coscienza di quanti sono sinceramente cattolici non può accogliere questa dottrina come base d’una legislazione cristiana sul matrimonio, per la ragione che fondasi sopra un errore dommatico più volte condannato dalla Chiesa, quale è quello di ridurre il Sacramento ad una estrinseca cerimonia e alla condizione di un semplice rito; dottrina che sovverte l’essenziale concetto del matrimonio cristiano, nel quale il vincolo connubiale santificato dalla religione s’identifica col Sacramento, e costituisce inseparabilmente con esso un solo soggetto ed una sola realtà. Perloché dissacrare il connubio in mezzo ad una società cristiana val quanto degradarlo, fare onta alla fede religiosa dei sudditi, ed ordire un funesto inganno alle loro coscienze, essendoché la sola legalità dell’atto civile senza il Sacramento non valga, né possa valere, ad onestare le loro unioni e felicitare le loro famiglie. Né monta l’esempio di quelle nazioni cattoliche che, travagliate già profondamente da fiere lotte e da sconvolgimenti sociali, si videro costrette a subire una riforma di tal tempra, o ispirata da dottrine ed influenze eterodosse, o stabilita dalla prepotenza degl’imperanti; la quale riforma peraltro, oltr’essere stata ivi feconda di amarissimi frutti, non ebbe mai pacifico possesso, ma fu costantemente disapprovata dalla coscienza degli onesti cattolici e dal legittimo magistero della Chiesa.
E qui mette bene notare, quanto immeritatamente viene incolpata la Chiesa di voler esercitare un’azione invasiva in fatto di legislazione matrimoniale a danno, come dicono, delle prerogative dello Stato e della politica autorità. La Chiesa interviene a tutelare solamente ciò che è sotto l’impero del gius divino, e che a lei inalienabilmente fu commesso, cioè la santità del vincolo e le religiose attinenze che gli sono proprie. Niuno poi contende allo Stato quelle parti che possono competergli per ordinare temporalmente il matrimonio al bene comune, e per regolarne secondo giustizia gli effetti civili. Ma non così quando esso, entrando nel santuario della religione e della coscienza, si fa arbitro e riformatore delle intime attinenze d’un vincolo augusto, che Iddio da se stesso ordinò, e che le potestà del secolo, come non possono annodare, così non possono sciogliere né mutare giammai.
Laonde ben comprendete, Venerabili Fratelli, qual giudizio può farsi di uno Stato cattolico che, messi da banda i santi principii e le sapienti discipline del giure cristiano sul matrimonio, si pone nel triste impegno di creare una moralità connubiale tutta sua, d’indole affatto umana, sotto forme e guarentigie meramente forensi; e di poi, per quanto è da lui, coattivamente la impone alle coscienze dei sudditi, sostituendola a quella religiosa e sacramentale, senza la quale il coniugio fra cristiani non può essere né lecito, né onorato, né stabile. Vi confessiamo, Venerabili Fratelli, che non poco Ci accuora il vedere che questa è la sorte preparata dagli odierni reggitori alla cattolica Italia, e che in questa Metropoli stessa del cattolicesimo si va ora maturando l’ingiurioso e infausto disegno.
Riguardato difatti in se stesso e nelle sue conseguenze un tale disegno, purtroppo s’appalesa ingiurioso ed infausto sia alla religione e al Sacerdozio, sia alla libertà delle coscienze ed alla pubblica morale. Imperocché lo Stato, invadendo audacemente il campo religioso e disponendo di materia non sua, tien conto del Sacramento solamente per vincolarne l’esercizio, e sottoporlo all’impero del Codice e alle esigenze d’un formalismo forense. Anzi, dal Sacramento trae un titolo di reità per colpire il sacro Ministro e i contraenti con pene pecuniarie ed afflittive; riguarda come illegittima e di niun valore, quantunque benedetta da Dio, la unione sacramentale, se non è preceduta dalla formalità civile; volge ingiustamente a colpa della Chiesa e del Clero ciò che è effetto naturale dell’istituzione e delle religiose convinzioni del popolo italiano, l’infrequenza cioè delle civili celebrazioni e la noncuranza del legale procedimento. E per non dire altro, impedisce al sacro Ministro, anche quando il dovere glielo impone, di provvedere prontamente ed opportunamente in supremi frangenti con la sacramentale celebrazione alla riconciliazione di angustiate coscienze, ed alla pace e all’onore compromesso delle famiglie. E in riguardo poi ai sudditi, vincola indebitamente la loro fede e libertà religiosa col divieto di usare il Sacramento se non dipendentemente dallo Stato; impone alle loro coscienze per il coniugale consorzio e per la creazione della famiglia la sola moralità del Codice, che innanzi a Dio e alla religione non li giustifica; e nel medesimo tempo lascia libero il vizioso concubinato, sicché possa impunemente dilatarsi e signoreggiare in mezzo al civile consorzio (come dimostrano le statistiche), eludendo i doveri cristiani e le prescrizioni stesse del Codice: e quel che è sommamente periglioso, mette in mano un’arma legale ad uomini frodolenti per tradire la coscienza di timorate fanciulle e di onesti genitori con rifiutarsi dopo l’atto civile alla religiosa celebrazione.
Dal che, Venerabili Fratelli, sorge naturale il dubbio che l’odierna riforma contro il matrimonio religioso sia dettata, più che da sentimento di ordine e di rettitudine sociale, dal proposito di recare nuove tribolazioni alla Chiesa ed al Clero, e di accrescere incentivi di perversione al popolo italiano. E il dubbio purtroppo si avvalora, se si osservi come la detta riforma vada a colpire di maggior pena il sacro Ministro, che non i principali trasgressori, lasciando pure a questi uno scampo per esimersi, entro un termine, dall’azione penale, ma non così al sacro Ministro: e se inoltre si ponga mente agl’ignobili commenti e alle irreligiose declamazioni, onde si volle innanzi al pubblico accreditare la riforma stessa, non senza offesa e cordoglio d’ogni cuore cattolico. Poiché si osò dire senza ambagi: Che la morale sociale non è la morale religiosa, ed il legislatore civile non deve farla da moralista; Che lo Stato non guarda a Sacramenti, né si perita di punire anche un Sacramento per sostenere le sue istituzioni; Che la presente riforma è una rappresaglia contro la Chiesa, perché condanna come iniqua la legge civile, che disconosce il carattere religioso del Sacramento; Che il Sacramento del matrimonio è un’unione simulata, è un concubinato che offende la legge sociale, Voi ben vedete, Venerabili Fratelli, dopo siffatte manifestazioni, da quali principi è ispirata, ed a qual termine intenda la proposta riforma!
Preghiamo perciò di tutto cuore l’Altissimo che Ci risparmi l’angoscia di vedere spargere nella vigna evangelica questa nuova semenza, la quale non può recare che frutti perniciosi alla fede ed alla domestica e pubblica morale, e sarà pure una sorgente di nuove offensioni e violenze a danno dei sacri Ministri. In pari tempo non desistiamo, Venerabili Fratelli, di premunire i fedeli con opportune esortazioni sulla grande verità cattolica, che l’origine e santificazione delle nozze sono da Dio, e che fuori delle forme da Dio e dalla Chiesa stabilite non v’è onestà, né santità di vincoli, né grazia di Sacramento. A smentire poi le speciose accuse che oggi si vanno lanciando contro la Chiesa ed il Clero, facendoli credere sistematicamente ostili a quegli ordinamenti che regolano il matrimonio nelle sue civili attinenze, non abbiamo che a ricordare le sapienti istruzioni con cui la Chiesa stessa, posta in salvo l’integrità del domma e la dignità del Sacramento, lascia che i fedeli, di fronte a siffatte legislazioni, fruiscano dei sociali vantaggi che da quelle discendono. Queste istruzioni Voi ben le conoscete, Venerabili Fratelli, da moltissimi atti della Sede Apostolica, e segnatamente dal Breve di Benedetto XIV ai Vescovi di Olanda Reddite sunt, del 17 settembre 1746; dal Breve di Pio VI al Vescovo di Luçon del 28 maggio 1793; dall’Enciclica di Pio VII all’Episcopato francese del 17 febbraio 1809; e ai giorni nostri dalla generale Istruzione della S. Penitenzieria ai Vescovi d’Italia del 15 gennaio 1866.
Quanto Vi abbiamo esposto, Venerabili Fratelli, potrebbe certo valere ad illuminare le menti e a scongiurare il temuto pericolo. Che se, ciò malgrado, la malvagità degli uomini Ci costringesse a vedere con queste ed altre perniciose riforme sempre più compromesso il Sacramento, Noi con Voi ne saremmo per fermo profondamente addolorati: ma dall’invitto esempio degli Apostoli e dei Nostri Predecessori trarremmo le norme per tutelare mai sempre, secondo il divino mandato, la santa causa del matrimonio cristiano, e la salute spirituale dei fedeli.
Intanto, a pegno della Nostra particolare benevolenza a Voi, Venerabili Fratelli, a tutto il Clero e al popolo alle Vostre cure affidato impartiamo con effusione di cuore l’Apostolica Benedizione.
Roma, dal Vaticano, il giorno di Pentecoste, 1° giugno 1879.
LEONE PP. XIII
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