PAOLO VI
ANGELUS DOMINI
Domenica, 8 aprile 1973
Noi abbiamo continuamente delle «Giornate» da inserire nel nostro Calendario spirituale e civile. Oggi è la «Giornata Universitaria» che si innesta nel poema liturgico della Passione di Cristo. Ma hanno la loro ragion d’essere tali Giornate che apportano di solito grandi motivi di interesse comunitario per la nostra vita contemporanea; e il motivo della «Giornata» per la nostra Università è di tale natura e di tale importanza che non turba la nostra meditazione religiosa rivolta alla prossima Pasqua, ma vi associa una realtà che ne rende più vicino e più nostro il salutare pensiero: Cristo, dalla Croce, attira a Sé ogni nostra cosa.
La realtà della «Giornata» per l’università Cattolica è la sorte della nostra cultura cristiana nella sua espressione istituzionale più rappresentativa e più feconda. Si tratta, sì, di ricordare a tutti gli strabocchevoli e implacabili bisogni economici d’una Scuola superiore moderna e privata, che attinge quasi tutti i suoi mezzi dalla carità intelligente e generosa del popolo: perché questi dovrebbero mancare per un’opera di comune interesse, di così alta dignità e di tanto indispensabile funzione? Cuore, Fratelli! pensateci.
Ma non si tratta soltanto di generosità economica; si tratta altresì e soprattutto di capire come l’Università Cattolica assurge a simbolo della nostra cultura cristiana, oggi, nella sua duplice missione scientifica e pedagogica; essa segna un punto qualificato d’incontro fra il pensiero religioso e quello profano; essa è eredità e missione, documenta cioè il passaggio vitale fra il patrimonio del sapere tradizionale e la ricerca e la conquista delle libere e nuove discipline; essa afferma come propria caratteristica la sintesi concreta della fede e della scienza, sintesi tanto importante per l’una e per l’altra; essa porta nel severo impegno sia dell’insegnamento che dello studio, un coefficiente imponderabile e superlativo per i più positivi risultati, l’amicizia interiore, l’amore cristiano, che fa della scuola una «comunanza di spirito», come dice San Paolo (Phil. 2, 1), un’ascensione in cordata, una libera gara concorrente verso la Verità, una iniziazione sempre cosciente verso la solidarietà sociale e i doveri pubblici del sapere personale; essa insomma rappresenta un fatto che non può oggi mancare, pena la sua degradazione, in un Paese di civiltà come la nostra. Vale la pena quindi di ammirare lo sforzo e lo sviluppo di questa istituzione per essere pari all’idea che l’ha generato, e di sostenerla con la nostra simpatia e con la nostra preghiera.
Invochiamo per essa Maria, la «Sedes sapientiae».
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