PAOLO VI
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 28 luglio 1965
Essere veri discepoli della Chiesa insuperabile maestra
Diletti Figli e Figlie!
La vostra visita, Noi lo sappiamo, nasconde una tacita e filiale aspirazione, quella di scoprire qualche cosa dei pensieri del Papa. Sappiamo anche che non è difficile al vostro buon senso cattolico rintracciare molti Nostri pensieri, molti Nostri desideri. Se Noi infatti vi chiedessimo: provate a indovinare che cosa ora occupa maggiormente il Nostro animo, voi tutti forse rispondereste: il Concilio! la prossima quarta sessione del Concilio ecumenico vaticano secondo. Proprio così. Lo abbiamo Noi stessi annunciato la scorsa settimana, al Nostro arrivo a Castel Gandolfo. E non può essere altrimenti. Queste grandi riunioni mondiali del Concilio costituiscono avvenimenti molto importanti, sia per la vita della Chiesa, sia indirettamente per quella del mondo; tanto per oggi, e quanto ancor più per domani. La quantità e la natura dei temi da trattare, la loro gravità e complessità, non che il fatto che con questa Sessione si concluderà ufficialmente il Concilio e si apriranno i suoi immensi problemi successivi, riempiono il Nostro spirito di grande attenzione e di trepidante sollecitudine; ed è facile supporre l’impegno da Noi a ciò reclamato.
E Noi lasciamo che la vostra filiale curiosità Ci legga nel cuore le cure, lo studio, le apprensioni, le speranze d’un tale pensiero, sapete perché? per due ragioni.
La prima, tante volte ripetuta in questi anni, si è che il Concilio non dev’essere pensiero esclusivo del Papa e dei Vescovi, ma deve interessare tutto il Popolo di Dio, tutta la Chiesa; in modo assai diverso, ben si comprende, ma con comunione di sentimenti e con solidarietà di atteggiamenti pratici. Per il fatto che la comunità dei fedeli è recettiva delle verità della fede, che il magistero della Chiesa, custode e interprete della Rivelazione divina, le propone, e che poi essa stessa, la comunità dei fedeli, diventa custode e teste delle verità medesime, si produce negli animi dei buoni figli della Chiesa uno stato di attesa, di sospensione, di apertura e di fervore operativo, dal quale dipenderà, poi, in gran parte, il frutto del Concilio. Ed è questo atteggiamento spirituale il più giusto ed il più alto, che, tanto chi ha voce responsabile nel Concilio, come chi tale voce deve ascoltare e far propria, possa offrire al felice esito del Concilio, perché rende più facile e più feconda l’azione misteriosa dello Spirito Santo, nella guida, nell’animazione e nella santificazione del Corpo mistico di Cristo, ch’e la Chiesa, che siamo noi, quando siamo debitamente uniti a Cristo medesimo. Bisogna mettersi in stato di vigilanza spirituale, se vogliamo che il Concilio raggiunga i suoi fini e diventi un momento rinnovatore e decisivo della vita della Chiesa. Vigilanza, che vuol dire attenzione, vuol dire conoscenza, vuol dire fiducia. Vuol dire tensione, umiltà, capacità di accettare e di godere delle novità, che il Concilio ci può recare.
Non diremmo che sia altrettanto sintonizzato con la spiritualità del Concilio l’atteggiamento di coloro che prendono occasione dai problemi ch’esso solleva, e dalle discussioni ch’esso genera per eccitare in sé e in altri uno spirito d’inquietudine e di riformismo radicale, tanto nel campo dottrinale, che in quello disciplinare, come se il Concilio fosse l’occasione propizia per mettere in questione dogmi e leggi, che la Chiesa ha iscritto nelle tavole della sua fedeltà a Cristo Signore; e come se esso autorizzasse ogni privato giudizio a demolire il patrimonio della Chiesa di tutte le acquisizioni che la sua lunga storia e la sua convalidata esperienza le hanno procurato nel corso dei secoli. Vorrebbero forse che la Chiesa tornasse bambina, dimenticando che Gesù ha paragonato il regno dei cieli ad un minuscolo seme che deve crescere e diventare pianta frondosa (Matth. 13, 31 ), e che ha preannunciato lo sviluppo per opera del Paraclito della dottrina da lui insegnata (Io. 14, 26 e, 16; 13)? vorrebbero che, per essere autentica, la vera Chiesa si contentasse di ciò ch’essi definiscono essenziale? si riducesse cioè a puro scheletro e rinunciasse ad essere corpo vivo, crescente ed operante, non ipotetico e idealizzato, ma reale ed umano nella vissuta esperienza della storia?
Così pure, per un altro verso, non diremo che siano buoni interpreti dell’ortodossia coloro che diffidano delle deliberazioni conciliari e che si riservano di accettare soltanto quelle che essi giudicano valide, quasi che sia lecito dubitare della loro autorità, e che l’ossequio alla parola del Concilio possa fermarsi là dove non esige alcun adattamento della propria mentalità, e dove si limita a confermarne la stabilità.
Non si pensa abbastanza che, quando la Chiesa Maestra tiene cattedra, bisogna tutti diventare discepoli.
Comprendete allora meglio anche la seconda ragione, per cui Noi siamo lieti di avere voi, quali rappresentanti di tutti i figli buoni e fedeli della santa Chiesa, partecipi delle Nostre apprensioni e delle Nostre speranze relativamente al Concilio; siamo lieti, perché come voi siete con Noi «in tribulatione patientes», siate anche «oratione instantes», come esorta San Paolo (Rom. 12, 12). Sì, bisogna riprendere, più fervorosi che mai, a pregare; a pregare per il buon esito del Concilio; ed è questa una collaborazione preziosa, che ogni fedele può offrire; e che Noi a ricordo di questo breve incontro, di cuore vi raccomandiamo: pregare per il Concilio.
Lo farete? Sicuri che, si, lo farete, vi ringraziamo e vi benediciamo.
La dignità della scuola
Merita un particolare saluto, merita un plauso il folto gruppo dei partecipanti al corso estivo biennale di pedagogia. catechistica per gli Insegnanti di Religione nelle scuole medie e per i dirigenti diocesani delle attività catechistiche, promosso dall’Istituto Superiore di Pedagogia del Pontificio Ateneo Salesiano di Roma e avente sede al Centro Internazionale Pio XII di Rocca di Papa.
Ecco un’iniziativa che raccoglie la Nostra speciale compiacenza ed il Nostro sincero incoraggiamento: innanzi tutto per le autorità da cui trae origine ed impulso: e cioè la Sacra Congregazione del Concilio unitamente alla Sacra Congregazione dei Seminari e delle Università degli studi ed alla Conferenza Episcopale Italiana; i quali alti organi ecclesiastici hanno trovato nel menzionato Istituto superiore di Pedagogia il degno strumento per realizzare l’iniziativa medesima; siamo Noi stessi obbligati a quanti hanno ideato, favorito, organizzato la provvida impresa, alla quale non possiamo non augurare l’esito più felice.
Essa Ci sembra rispondere a bisogni ed a scopi degni del più vivo interesse. La preparazione degli Insegnanti di Religione nelle scuole, la loro qualificazione - come oggi si dice -, il loro perfezionamento sono finalità alle quali si sente interessato, per eminente responsabilità, il Nostro ministero di maestro e di pastore; ed alle quali sono state rivolte in questi ultimi decenni studi, aspirazioni, esperimenti, tentativi, attività che documentano come la Chiesa non sia stata insensibile al dovere e alla fortuna di offrire alla Scuola italiana un insegnamento religioso conforme alla dignità della Scuola stessa, all’eccellenza della materia insegnata ed ai bisogni della gioventù. Ma il compito è tale che non si fa torto ad alcuno, se dobbiamo riconoscere essere tuttora necessario dedicarvi cure nuove, più ampie, più sistematiche, più esigenti, e più pertinenti.
L’insegnamento religioso scolastico deve fare nuovi progressi, specialmente nell’attitudine di coloro che hanno la ventura di poterlo e di doverlo impartire. Lo esige, per non dir altro, la difficoltà stessa che tale insegnamento presenta. Non è da tutti saper insegnare come si conviene una Religione, come la nostra, straordinariamente ricca di storia, di dottrina, di rapporti con la vita; una Religione anzi che giustamente pretende d’identificarsi con la vita, nel senso di costituire le più intime, le più autorevoli, le più efficaci, le più benefiche, le più feconde ragioni informatrici dello spirito che le apre, come a soffro vitale, gioiosamente l’accesso. Un vero insegnamento religioso non è il semplice studio d’un libro, non è la semplice esposizione della materia, non è un comune esercizio scolastico; anche se sobrio e delicatamente sensibile alle peculiari esigenze dell’ambiente in cui si svolge, l’insegnamento religioso deve tradurre qualche cosa della sua natura di messaggio della salvezza, qualche cosa della sua spirituale sicurezza, qualche cosa della sua incomparabile umanità, qualche cosa della sua ineffabile verità. Esige una speciale «ars docendi», una speciale pedagogia; a possedere la quale non basta la comune informazione, spesso approssimativa ed empirica, che può avere qualsiasi sacerdote o religioso, o qualsiasi laico religiosamente istruito. Troppi elementi culturali, didattici e soprattutto morali sono necessari per dare al maestro di Religione il prestigio e l’efficacia che lo devono qualificare: non vi è forse pericolo che, mancando di tali specifici requisiti, l’insegnamento della Religione riesca non solo infruttuoso, ma talvolta perfino nocivo? Il maestro di Religione è un testimone; guai se non lo fosse con i carismi del sapere, della virtù e anche dell’abilità didattica, i quali devono conferire virtù persuasiva alla sua parola, anzi alla sua stessa presenza nella Scuola!
Sono cose conosciute e ripetute. Ma non mai abbastanza, finché non sia formata una profonda coscienza della missione del maestro di Religione, non si sia formata una categoria di Insegnanti veramente competenti e votati a così alto e delicato ministero. Perciò è chiaro il merito dell’iniziativa che convoca ad un corso di vera pedagogia persone valenti, volonterose e già informate della «problematica» in questione, quali voi siete, ottimi e cari Insegnanti di Religione; ed è comprensibile l’augurio, pieno di trepidanti speranze, accompagnato da affettuose preghiere, che Noi formuliamo per il fortunato e fecondo successo del corso medesimo. Convalideremo poi questi voti con la Nostra Benedizione Apostolica.
Gli Assistenti Ecclesiastici delle ACLI
Accogliamo con piacere il gruppo numeroso e valoroso degli Assistenti Ecclesiastici delle ACLI, chiamati a Roma per celebrare nel loro XV Convegno il ventesimo anniversario dell’istituzione delle ACLI stesse, cioè delle Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani.
L’anniversario inviterebbe a rifare la storia dell’istituzione, a fare il bilancio, a ricordare le persone e le imprese meritevoli di memoria e di riconoscenza, inviterebbe a riesaminare a fondo le ragioni, i programmi, le esperienze, le situazioni di tale ben noto movimento dei nostri Lavoratori. Non basta il tempo, non è propizio il momento per così ampia visione; pensiamo che essa sarà oggetto delle lezioni e delle discussioni del Convegno, dove voci esperte ed autorevoli vorranno certamente illustrare fatti e problemi di tanto interesse, e dove ciascuno dei presenti non è impreparato a portare la riflessione a quei punti essenziali e critici, che possono convalidare l’esperienza goduta e sofferta, e ispirare nuovi propositi per il nuovo cammino che le ACLI si apprestano a continuare con vigorosa volontà e con serena fiducia in Dio.
Noi ora vi incoraggiamo e benediciamo. E Ci limitiamo a confortare i cari e bravi Sacerdoti, che il mandato dei rispettivi Vescovi consacra a cotesto genere di ministero. Ben conosciamo le difficoltà che lo circondano. Conosciamo le critiche non sempre benevole e obbiettive, che ne mettono in discussione i risultati (a che giova questo apostolato?), ovvero che lo mettono a confronto, per svalutarlo, con quello della consueta vita pastorale, o che infine lo giudicano nocivo alla stessa causa ch’esso vorrebbe servire, la causa del senso cristiano nel mondo del lavoro.
Noi invece vogliamo riconoscere il bene compiuto dagli Assistenti Ecclesiastici delle ACLI; Noi riconosciamo come apostolica la vostra missione; essa non è un’evasione dalla fatica pastorale, a cui è votata la vita del Sacerdote; se la natura di tale missione obbliga il Sacerdote ad un ministero «d’ambiente», che lo porta fuori dei normali recinti del culto, non è per questo difforme dalle finalità essenziali della «cura d’anime», che fanno grande e sacra la funzione del Prete; anzi la rivolge e la stende là dove più difficile ne è l’esercizio, più urgente il bisogno, più meritorio lo zelo. Aver compreso l’importanza e l’ampiezza dei problemi del mondo del lavoro, l’aver capito che la nostra società trova in esso l’espressione caratteristica e maggiormente influente non solo nel campo economico e sociale, ma altresì e sommamente, nel campo morale e religioso, l’aver accettato di fiancheggiare il grande sforzo di elevazione della fatica umana nelle sue profonde e legittime aspirazioni, l’aver compreso che senza l’infusione di forze spirituali, quali solo il cristianesimo può dare, tale sforzo può essere meno efficace, meno nobile, meno buono, e l’aver sognato di non limitare l’ascensione del Lavoratore al livello delle sempre insufficienti e insoddisfacenti realtà temporali, ma di farla progredire più in alto, al grado di una vera e compiuta umanità, giusta, libera, onesta, religiosa, cristiana in una parola, tutto questo non solo giustifica il ministero del Sacerdote in mezzo al popolo lavoratore, ma lo fa grandeggiare di sapienza civile, di virtù coraggiosa, di carità pastorale, di sacrificio cristiano.
Perciò Noi vi incoraggiamo, diletti Sacerdoti, a perseverare nel compito, che vi è affidato; con due sole raccomandazioni: quella di non stancarvi mai; e quella di amare molto il Lavoratore. Amarlo vuol dire essergli vicino, vuol dire capirlo e studiarlo, vuol dire stimarlo, ammonirlo e difenderlo, vuol dire saper cavare dal suo cuore, spesso chiuso ed esacerbato, ma sempre vivo, e in fondo ancora tanto capace di bene, le risorse magnifiche del senso della giustizia, del desiderio della pace, dell’amicizia, dell’amore e della fede. Coraggio : avete con voi la Nostra benedizione; portatela ai vostri, ai Nostri Lavoratori.
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