PAOLO VI
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 9 marzo 1966
Il «Popolo di Dio»
Diletti Figli e Figlie!
Ogni riunione di carattere religioso, ma questa riunione settimanale, in modo speciale, che Ci obbliga a considerare il numero e le qualifiche dei partecipanti alla riunione, sveglia in Noi il ricordo della concezione, che il recente Concilio ecumenico ha voluto nuovamente e ampiamente insegnare e quasi proclamare circa il «Popolo di Dio». Ecco, diciamo a Noi stessi guardando a voi qui presenti, ecco una porzione del Popolo di Dio!
Voi sapete come questa nozione di «Popolo» sia stata studiata ed esaltata dalla cultura moderna, sotto i suoi vari aspetti: etnico, sociale, nazionale, politico, eccetera; e sapete anche come nel campo religioso l’idea di «Popolo» abbia avuto grande sviluppo e varie interpretazioni; quella che a noi interessa è l’idea che Dio stesso si degnò di svelarci attuando storicamente il suo disegno di salvezza, prima nell’antico Testamento, e poi nel nuovo Testamento. Dio non ci salva fuori d’un disegno collettivo, ma dentro un piano nel quale ogni anima singola è parte d’una comunità scelta e assistita da Dio. Dice il Concilio: «Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame fra loro, ma volle costituire di loro un Popolo, che lo riconoscesse nella verità e fedelmente lo servisse. Scelse quindi per Sé il Popolo israelitico» (Const. de Eccl. 9). Cristo, com’è noto, istituì un nuovo patto fra Dio e l’umanità, chiamando a comporre il Popolo di Dio gente di tutte le nazioni, non collegata da vincoli di razza e di sangue, ma da una stessa fede nella Parola di Dio, da uno stesso Spirito e da uno stesso corpo sociale, chiamato Chiesa «segno visibile e imprescindibile di unità: inseparabile unitatis sacramentum» (S. Cipriano, Ep. 69, 6; P.L. 3, 1142).
Ora questo Popolo nuovo, a cui noi tutti abbiamo la fortuna di appartenere, è un Popolo di «santi», di «consacrati», di «pietre vive», che formano la «casa spirituale» di Dio, di anime rivestite d’un sacerdozio santo, che le rende idonee a offrire vittime spirituali gradite a Dio, per mezzo di Gesù Cristo (cfr. 1 Petr. 2, 5). Si tratta di quel «sacerdozio regale» (ibid. 9), di cui oggi tanto si parla e che giustamente si riconosce essere la prerogativa e costituire la dignità, sacra ed incomparabile rispetto a qualsiasi altra dignità terrena, d’ogni cristiano. Non è cosa nuova, se le parole, ora riferite, le troviamo nella prima Enciclica pontificia, nella prima lettera cioè dell’apostolo Pietro ai cristiani dell’Asia; e se S. Ambrogio, fra altri, afferma che «omnes filii Ecclesiae sacerdotes sunt», tutti i figli della Chiesa sono sacerdoti, (Exp. in Lucam, V, 33), cioè abilitati a trattare con Dio, a offrirgli come dono sacrificale se stessi (cfr. Rom. 12, 1).
Faremo bene a leggere e a meditare le bellissime pagine della Costituzione conciliare sulla Chiesa, dedicate al Popolo di Dio, dalle quali risulta non solo l’eccellenza del Popolo stesso, ma quella altresì d’ogni singola anima, d’ogni singola vita che vi sia iscritta: il titolo stupendo di «Fedele» distingue e riveste di straordinaria bellezza spirituale il cristiano, che cerchi d’essere cosciente della sua vocazione e voglia esservi coerente: Fedele!
È questa qualifica, messa in grande luce dal Concilio, che risplende al Nostro sguardo spirituale, quando, come in questo momento, Ci vediamo circondati da cittadini del Popolo di Dio; una qualifica che Ci riempie di stupore, di riverenza, di stima, di affetto, di fiducia e di gaudio! Ecco la Chiesa, Noi diciamo a Noi stessi; ecco l’assemblea dei Fedeli, cioè dei chiamati al regno di Dio, degli eletti alla figliolanza adottiva di Dio, alla fraternità profonda e soave della carità del Signore; ecco gli spiriti accesi dalla fiamma interiore dello Spirito Santo; ecco i segnati dal carattere di cristiani, di testimoni della vita nuova, di destinati, se essi lo vogliono, alla vita divina ed eterna. Ecco la «personalità, che è conferita al cristiano: ecco il fondamento dei suoi diritti e dei suoi doveri». Ecco i Fedeli, ecco il Popolo di Dio!
Figli carissimi! perché vi diciamo queste cose? Le diciamo, affinché sappiate quanto Ci è gradita la vostra visita, e quale effetto consolante e edificante essa produca nel Nostro animo: da Fedeli, voi venite: grazie, grazie, o Fedeli di Cristo, e della santa Chiesa! E le diciamo perché le andiate a leggere e a studiare nelle grandi pagine dei testi conciliari, e perché a Noi sembra che non potremmo dirvi nulla di meglio: Noi risvegliamo in voi la coscienza, forse dormiente, di chi voi siete; Noi vi richiamiamo al senso della vostra dignità cristiana, al carattere puro e sacro delle vostre persone, al dovere di conservare in ogni momento, in ogni condizione della vita profana l’impegno del titolo, che vi definisce: Fedeli! E Fedeli siate, figli carissimi, all’onore e alla sorte, che Cristo vi ha concessi e che la Chiesa in voi riconosce e difende.
E come Fedeli, Figli carissimi, tutti vi benediciamo.
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