PAOLO VI
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 30 marzo 1966
Suscitare in ogni uomo il riflesso di Dio
Diletti Figli e Figlie!
Dopo il Concilio, voi stessi lo avvertirete, si è fatta più viva la questione dei rapporti fra la Chiesa e il mondo. La grande Costituzione pastorale, discussa e approvata alla fine del Concilio, circa la Chiesa nel mondo contemporaneo, presenta appunto tale questione nei termini più ampi, toccando una quantità di problemi dottrinali, morali e pratici di antico e perenne interesse alcuni, di attuale e contingente importanza gli altri. È questa amplissima e formidabile discussione, che richiama intorno al Concilio l’attenzione non solo dei fedeli, ma altresì dei profani, e che dimostra anche a quelli che non praticano la religione quanto la religione cattolica sia viva in se stessa, e quanto aderente alle realtà, spirituali e temporali, dell’umana esperienza.
La scienza dell’uomo, la filosofia, la storia, l’etica, la sociologia, la cultura in genere, l’economia, le realtà terrestri, come ora si dice, sono poste dal Concilio sotto il cono di luce della teologia cattolica, per un nuovo e audace giudizio, per uno sforzo di comprensione e di classifica, per un atto di studio e di scoperta, che non mai, prima d’ora, il magistero della Chiesa aveva compiuto in forma così diretta, così sistematica e così autorevole. Vi sarà materia di riflessione per molti anni e per tutti.
In questo breve momento Noi ora Ci limitiamo a farvi osservare come il semplice fatto d’aver presentato tale questione fa sorgere negli animi una domanda, oggi molto diffusa sia fra gli studiosi, che fra la gente comune, circa l’atteggiamento fondamentale della Chiesa nei riguardi del mondo: è un atteggiamento di condanna? di separazione? d’indifferenza? di acquiescenza? di simpatia? di alleanza?
La realtà, che è designata con l’etichetta di «mondo contemporaneo», è troppo complessa, perché si possa dare una risposta semplice ed univoca. La Chiesa è positiva nei suoi giudizi, non è aprioristica, non è superstiziosa, non è superficiale. Ella sa che nel mondo, cioè nella nostra realtà umana, vi sono tanti difetti, tanti mali; ella non ignora tutte le ragioni del pessimismo moderno; anzi la Chiesa ne svela la causa fatale e radicale, il peccato originale; ella insegna anche, con tutti i più sinceri e spietati diagnostici dell’animo umano e della storia terrena, che i mali dell’uomo sono profondi, sono rinascenti, sono, di per se stessi, inguaribili. Ella conosce gli abissi del dolore, del peccato, della morte; ella sa vedere le profondità delle ingiustizie umane, delle miserie personali e sociali; ella sa denunciare l’insidia paurosa della «potenza delle tenebre»; ella sa chiamare le cose col loro nome, spesso doloroso, ignobile, criminale; ella sa piangere. La liturgia della prossima Settimana Santa ci dirà parole commoventi e tremende a questo riguardo.
Anzi la Chiesa non smentirà una sua pedagogia, una sua ascetica, «de contemptu mundi», la quale ebbe tanta parte nell’educazione medioevale alla liberazione dell’uomo dalla materialità e dall’animalità della vita pagana e barbara, e continuerà a marcare il distacco spirituale, che deve intercedere fra il cristiano orientato al «regno dei cieli» cioè alla vita dello spirito e alla vita escatologica oltre il tempo, e la concezione autosufficiente della vita terrena, il mondo cioè pago di sé e tutto ripiegato sui beni effimeri e fallaci di questa terra. Non per nulla è diventato abituale il parlare della «Ecclesia pauperum», come della Chiesa ideale, come pure attribuire alla «Chiesa costantiniana» riprovevoli contaminazioni temporali (sebbene l’espressione sia tanto impropria e sembri disconoscere il grande evento storico della iniziale libertà della Chiesa).
Tutto questo è vero, e rimane. Ma non possiamo dimenticare l’ottimismo - dovremmo dire: l’amore -, con cui la Chiesa del Concilio guarda al mondo, in cui ella stessa si trova, e che la circonda, la soverchia, la opprime con i suoi giganteschi e travolgenti fenomeni.
È questo uno degli aspetti salienti del Concilio: esso considera il mondo, in tutte le sue realtà, con l’attenzione amorosa, che sa scoprire dappertutto le tracce di Dio, e perciò la bontà, la bellezza, la verità. Non è soltanto la sua filosofia questa; è la sua teologia. Ecco a che cosa serve la Rivelazione. La luce del Vangelo rischiara il panorama del mondo: le ombre sono là, terribili e forti: il peccato e la morte, soprattutto. Ma dovunque quella luce si posa, il riflesso di Dio risalta. La Chiesa lo cerca, lo coglie, lo gode. Lo trova nel cosmo: nessuno come un vero cristiano può essere attratto dal fascino dell’universo; il suo sguardo incrocia quello lampeggiante di Dio creatore, che, dice la Scrittura: «vide tutte le opere sue, ed erano assai buone» (Gen. 1, 31). Il suo sguardo si ferma sulla faccia dell’uomo, e vi scorge, qui specialmente, il riflesso divino. Si ferma sulla storia dell’umanità e vi trova un filo conduttore, un senso, che arriva a Cristo e in Lui s’incentra; e così via. E si posa, sì, su questo mondo moderno; e non teme, non rifugge, ma contempla e benedice. Contempla. e benedice l’opera umana: la scienza, il lavoro, la società. Vede, come sempre, la miseria e la grandezza; ma oggi, di più, un’altra cosa: la Chiesa vede la sua vocazione, vede la sua missione, vede il bisogno della sua presenza: gli uomini hanno bisogno della sua verità, della sua carità, del suo servizio, della sua preghiera.
Oh! quante cose sarebbero da dire! Ma questa vi basti: comprendete con quale genio, con quale cuore la Chiesa del Concilio si avvicina al mondo moderno; si apre verso di lui, non per contaminarsi con i suoi costumi, ma per infondergli il fermento della sua salvezza; e comprendete come a questa concezione della Chiesa e del mondo dobbiamo d’ora innanzi educare noi stessi. Vi sia auspicio di questo rinnovamento la Nostra Apostolica Benedizione.
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