PAOLO VI
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 27 luglio 1966
Tutti invitati a dare testimonianza di Cristo
Diletti Figli e Figlie!
Anche Voi certamente, come tutti quelli che, dentro o fuori della Chiesa, sono stati obbligati dal grande avvenimento del Concilio Ecumenico a riflettere sulla natura e sulla missione della Chiesa medesima, vi sarete domandati: in sostanza, che cosa fa la Chiesa? Qual è la sua missione? Qual è precisamente la sua attività?
PROLUNGAMENTO E SVILUPPO DEL VANGELO
Queste domande hanno risposte facili, ma assai importanti e interessanti. È chiaro che la Chiesa vive ed opera per continuare e diffondere la missione stessa di Cristo. L’idea fondamentale, che presiede a tutta la dottrina sulla Chiesa, è quella della continuazione. La Chiesa è un prolungamento e uno sviluppo del Vangelo. La Chiesa porta Cristo nel tempo, nei secoli, nella storia; e cammina verso l’incontro finale, escatologico con Cristo glorioso. Una parola del Signore la fiancheggia: «Io sono con voi, tutti i giorni, sino alla fine del mondo» (Matth. 28, 20). Ma questa continuità non è puramente statica, immobile, conservatrice. La Chiesa non è un’istituzione chiusa in se stessa, e sollecita soltanto di difendersi e di conservarsi. La Chiesa è nata per dare testimonianza: «Voi, - disse il Signore agli Apostoli prima di lasciarli - voi sarete testimoni miei . . . fino agli ultimi confini della terra» (Act. 1, 8). La Chiesa è destinata a coprire la terra, è istituita per tutta l’umanità: è universale, cioè cattolica.
Bisogna riflettere bene su questa vocazione nativa della Chiesa, e ricordare come il Signore ha voluto che pensassimo a lei come ad un seme, che di natura sua deve germinare, espandersi e fruttificare; o come ad un fermento, che penetra, solleva, gonfia e infonde sapore alla massa.
PREDICARE DIFFONDERE PROCLAMARE LA DOTTRINA DI CRISTO
La Chiesa cioè è per natura sua apostolica, cioè missionaria; vogliamo dire sempre attiva e tutta impegnata nella fatica di diffondere il suo messaggio di salvezza, la sua concezione della vita e del mondo, il suo Vangelo.
Che cosa fa dunque la Chiesa? È chiaro: essa parla, essa predica, essa insinua, diffonde, proclama la dottrina di Cristo. Predica sopra i tetti, ciò che le è stato confidato all’orecchio (cfr. Matth. 10, 27). La Chiesa: dov’è viva, dov’è capita, dov’è fedele al mandato di Cristo, ha una prima e indispensabile attività: quella dell’annuncio della Parola divina. La fede, radice di tutto il sistema dottrinale e morale del cristianesimo, esige tale annuncio, esige la predicazione: «La fede - dice S. Paolo - deriva dall’ascoltazione, fides ex auditu» (Rom. 10, 17). La catechesi - una catechesi esatta, fedele, ortodossa, non arbitraria, non mutevole - è il suo primo dovere. La liturgia della parola precede quella eucaristica. La Chiesa è l’eco continua, esatta e autorevole, degli insegnamenti del Signore. La Chiesa è un apostolato, è una scuola, è una «propagazione della fede», è uno sforzo, che arriva fino all’ostinazione (ricordate gli Apostoli? «. . . Non possumus . . . non loqui», non possiamo tacere: Act. 4, 20); fino al sacrificio (ricordate Stefano? E che cosa sono i martiri, se non predicatori, testimoni del Vangelo col sangue?).
Noi non finiremmo più queste semplici considerazioni, se volessimo documentare, con citazioni di testi conciliari, come e quanto la Chiesa, nel grande atto di riflessione, compiuto su se stessa nel solenne Sinodo Vaticano secondo, abbia confermato ed espresso questa sua propria missione fondamentale: essere apostolica, essere missionaria, essere diffusiva. «La Chiesa, che vive nel tempo, per sua natura è missionaria», proclama il Decreto conciliare «ad Gentes» (n. 2).
IN OGNI BATTEZZATO LA DEDIZIONE AL REGNO DI DIO
E ciò che dà al recente Concilio una sua nota caratteristica, voi lo sapete, è il riconoscimento della vocazione, estesa a tutti i fedeli, dell’obbligo, anzi, che essi hanno di «diffondere e di difendere con la parola e con l’opera la fede come veri testimoni di Cristo» (Lumen Gentium, 11). E questo riconoscimento si precisa nell’affermazione che estende ai Laici cattolici il diritto-dovere dell’apostolato (ibid. 33 : Apostolicam actuositatem, 2, 3, etc.).
Questa meravigliosa, e, in certo senso, nuova dottrina indica ciò che fa la Chiesa: chiama gli uomini, li istruisce, li fortifica, li mobilita, li fa partecipi della sua missione salvatrice, sveglia in essi la coscienza d’un messianismo comune e promuove in ciascuno di essi la dedizione alla causa di Cristo, non per un sogno di conquista e di potenza, ma per un impegno d’amore a tutti i viventi e per la gloria del regno di Dio.
Vorremmo, a questo punto, domandare a ciascuno di voi se avete posto attenzione a questa nuova vivacità apostolica, che deve oggi invadere gli animi di coloro che si dicono cattolici, e che deve tutti abilitare a dare nuova e positiva testimonianza a Cristo. Questo dovrebbe essere il «postConcilio»; questo il rinnovamento, l’aggiornamento auspicato dal Concilio Ecumenico.
OLTRE OGNI STANCHEZZA IL VIGORE DI ANIME GENEROSE
A questo riguardo voi osserverete due fenomeni diversi e divergenti. Quello di figli della Chiesa, che si direbbero stanchi d’essere cattolici, e che profittano di questo periodo di revisione e di assestamento della vita pratica della Chiesa per mettere tutto in discussione, per instaurare una critica sistematica ed eversiva della disciplina ecclesiastica, per cercare la via più facile al cristianesimo; un cristianesimo svigorito dell’esperienza e dello sviluppo della sua tradizione; un cristianesimo conformista allo spirito delle altrui opinioni e ai costumi del mondo; un cristianesimo non impegnativo, non dogmatico, non «clericale», come dicono. Può mai logicamente derivarsi dal Concilio una simile stanchezza d’essere cattolici?
L’altro fenomeno invece è la scoperta d’essere cattolici, e la gioia d’esserlo, e con la gioia il vigore operativo nuovo, che mette in tanti cuori desideri, speranze, propositi, audacie di nuova attività apostolica. Il Concilio ha sollevato una generazione di spiriti vigilanti, che hanno udito la voce chiamante e implorante della Chiesa a maggiore sforzo d’apostolato; che si sono affrancati dal gregarismo, dalla passività, dall’acquiescenza che fa spiritualmente schiava tanta gente del nostro mondo odierno; e che si sono imposti qualche sacrificio - per alcuni, un grande sacrificio - per essere disponibili alla buona operosità della Chiesa. Non hanno temuto alcuni di offrire a Cristo la loro vita (il fenomeno delle .vocazioni adulte è eloquente e magnifico); altri, anche Laici - marito e moglie, talvolta -, sono partiti per i Paesi di missione; altri, già fissi al loro posto di lavoro, hanno deciso per un rinnovamento spirituale profondo e per un’attività più generosa ed ecclesiale; hanno «scelto la santità». E la santità, com’è noto, oggi comporta la carità dell’apostolato.
Figli e Figlie, che Ci ascoltate: siete voi fra questi?
Noi lo speriamo, Noi lo auguriamo con la Nostra Benedizione Apostolica.
Commosso incontro con i grandi sofferenti
Per l'udienza generale di mercoledì 27 luglio, tra i gruppi annunciati era quello di alcuni ciechi-sordomuti, di recente associati in un Sodalizio di alta e cristiana fraternità, sorto nella Diocesi dei Marsi, e denominato la «Lega del filo d’oro». Ne fanno parte, oltre coloro che sono colpiti dalla tremenda sventura di aver perduto la vista, l’udito e la favella, anche altri non vedenti che assumono l’ufficio di essere essi stessi i più vicini consolatori dei più provati fratelli. La Lega ha avuto l’approvazione e riceve l’incoraggiamento e l’appoggio del Vescovo diocesano, S. E. Monsignor Domenico Valerii.
Con atto di squisita bontà, il Santo Padre dispone che il gruppo, anziché essere accolto con gli altri pellegrinaggi nella grande aula delle udienze, salga al palazzo pontificio: ed ivi, nella sala detta dello Svizzero, avviene l’incontro del Padre di tutte le anime con questi carissimi fedeli.
La «Lega del filo d’oro», cioè della regale carità di Cristo, è sorta lo scorso anno, per iniziativa della Signorina Sabina Santilli, di San Benedetto dei Marsi, colpita ella stessa, nella fanciullezza, dalla triplice infermità, e applicatasi da vari anni, con grande fede ed encomiabile serenità, ad una tenace opera di quotidiana fatica, riuscendo ad intendere ed anche ad esprimersi. Un gruppo di assistenti si dedica con generosa premura a rendere possibile la comunicazione degli infelici col mondo esterno: e tra i mezzi più efficaci è il metodo Malossi, la segnalazione, cioè, delle varie lettere dell’alfabeto sulle falangi delle dita di una mano.
Alla udienza partecipano rappresentanti delle due sezioni - maschile e femminile - del Sodalizio, le quali, in periodi distinti, trascorrono qualche settimana dei mesi estivi presso il santuario della Madonna dell’Oriente - nelle vicinanze di Tagliacozzo - officiato dai Religiosi Frati Minori, che fraternamente coadiuvano il Rev.do Don Dino Marabini, il sacerdote assistente, istruttore e direttore spirituale dei due gruppi.
Don Marabini presenta al Santo Padre gli inconsueti pellegrini, dando notizie su quanto viene compiuto per alleviare l’indicibile pena. La stessa Sig.na Santilli pronuncia, assai distintamente, alcune frasi di filiale e riconoscente omaggio a nome di tutti.
Paolo VI subito ringrazia, con paterne commosse ed affettuose parole, i dilettissimi figli per la visita. Assicura che Egli pregherà per loro, invocando a vantaggio di ognuno le più ampie consolazioni divine, e chiede, a sua volta, il valido aiuto delle loro orazioni.
Le affettuose espressioni del Papa, immediatamente comunicate agli intervenuti, suscitano in tutti la più viva riconoscenza. Una voce, interprete degli unanimi sentimenti, dice con fervido slancio: Grazie dal profondo del cuore, Santità.
L’Augusto Pontefice ammette poi al bacio della mano i singoli intervenuti - oltre sessanta, e di ogni età, dagli adolescenti agli anziani (tra questi un maestro di musica che, già cieco, da oltre cinquant’anni ha perso l’udito) - e dona a ciascuno una medaglia ricordo della memorabile udienza, interessandosi delle varie provenienze, nonché delle attività svolte dai non vedenti in molteplici mansioni.
Al termine dell’udienza, un gentile epilogo. Il gruppo delle non vedenti esegue, a tre voci, un delicato canto: «La tua Chiesa, che fondasti . . .», con speciale invocazione a Gesù, Pastore eterno delle anime, perché moltiplichi grazie ed energie per il Capo visibile della Chiesa.
Dopo aver impartito la Benedizione Apostolica, il Santo Padre vuole ancora una volta salutare amabilmente il gruppo, ringraziando ed elogiando il Sacerdote direttore, i Religiosi e tutti gli altri assistenti per la loro altissima opera di splendente carità.
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